L'ultimo lupo (2015, di Jean-Jacques Annaud) |
di Luca Ferrari
Cina, 1967, la Grande rivoluzione culturale è la legge imperante. Chen Zhen e l’amico Yang Ke (Shawn Dou) sono partiti. Il governo di Pechino li ha assegnati a una minuscola tribù della Mongolia interna per insegnare a leggere e scrivere. In cambio gli verrà dato un alloggio, vitto e sarà loro insegnato a cavalcare e condurre una mandria facendo bene attenzione a non incappare nella grande minaccia della zona: i lupi.
La vista di uno di questi esemplari scatena la curiosità del giovane metropolitano che lo porterà ad avere un incontro fin troppo ravvicinato con le bestie, rischiando anche la pelle. Sarà l’inizio di un desiderio sempre più profondo di avvicinarsi a questi predatori selvaggi. L’occasione poi gli sarà fornita dal Governo stesso, nelle vesti del rigido funzionario Bao Shunghi (Yin ZhuSheng) che obbligherà lui e l’amico a uccidere tutti i cuccioli di lupo. Una mattanza in piena regola cui anche Chen Zen si sottometterà, salvo risparmiarne uno, allevandolo in cattività. Non tutti però lo gradiscono, men che meno la neo-vedova Bayar Gasma (Ankhnyam Ragchaa) di cui Chen Zen è innamorato.
Se Into the Wild (2007, di Sean Penn) regalò panoramiche da lacrime di pura commozione, L’ultimo lupo non è da meno mostrando una terra altrettanto cruda, piena di spiritualità e poesia. Alle volte però il film diretto dal regista francese lascia emergere più il lato documentaristico, come nella scena in cui il branco attende il momento propizio per attaccare le prede.
Sul pianeta Terra nessun paradiso è destinato a rimanere tale. Prima o poi arriva sempre la stupidità di un inferno incapace di capire e ascoltare. Così l’uomo, chiuso nella sua ottusità e comandato dalla voglia di colonizzare, ara e distrugge. A dispetto degli avvisi dei saggi pastori, altera l’ecosistema con tutte quelle conseguenze che poi andrà a rimpiangere. L’uomo potrà anche costruire grattacieli ma è davanti a un fuoco e sotto le stelle che c’è davvero da imparare.
Cosa c’è di diverso dalle imposizioni del governo cinese dalle strutture pericolanti che qui in Italia portano alle ben note inondazioni o crolli di edifici con annesse tragedie? Nulla. La cieca ideologia ordina ed esegue. La fame di danaro lascia un territorio alla merce’ di progetti sordi all’equilibrio di Madre Natura. Pensare poi che il best seller da cui è tratta la pellicola sia il libro più letto dopo il Libretto rosso di Mao, lascia intuire che cosa senta dentro di sé il popolo cinese.
Chen Zhen non è un santo. La sua salvifica scelta per il piccolo lupo col tempo si fa giogo nei confronti dell’animale, ansioso di ritrovare la propria libertà. Il resto dei lupi intanto cade impotente sotto il fuoco dinamitardo e dei fucili. Il mondo dei nomadi mongoli soccombe dinnanzi al pressante materialismo della nuova linea governativa. Ormai non c’è più posto per miti e leggende. Ormai lì (come altrove) domina la ratio della schiavitù. Resta un solo lupo da uccidere ma sopravvivrà. Esattamente come la speranza, qualcosa che nessuna dittatura è mai riuscita a estinguere.
L'ultimo lupo - l'arrivo di Chen Zhen (Shaofeng Feng) e Yang Ke (Shawn Dou) in Mongolia |
L'ultimo lupo - Chen Zhen (Shaofeng Feng) e l'anziano guardano i lupi da lontano |
L'ultimo lupo - Bayar Gasma (Ankhnyam Ragchaa) con un cucciolo di lupo |
L'ultimo lupo - il funzionario di partito Bao Shunghi (Yin ZhuSheng) |
Il magnifico paesaggio de L'ultimo lupo (2015, di Jean-Jacques Annaud) |
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