La regola del gioco - il giornalista Gary Webb (Jeremy Renner) |
by Luca Ferrari
Droga, CIA e Contras nicaraguensi. Una scia di sangue, taciti giochi politici e morte su cui è piombato (non per caso) il deciso giornalista del San José Mercury News, Gary Webb (Jeremy Renner), pronto a rivelare una verità bomba a dispetto delle pressioni d’alto livello. Una missione la sua, votata ai più alti ideali costituzionali e dare così modo al pubblico americano di conoscere la verità. Michael Cuesta dirige La regola del gioco (2015, Kill the Messenger).
“Ora che sa la verità, dovrà fare la scelta più difficile della sua vita. Condividerla o no” dice il narcotrafficante Norwin Menes (Andy Garcia) a Gary Webb, mentre tira di golf dal campo privato della sua prigione in Nicaragua. La notizia è di quelle che scottano. La notizia è di quelle troppo vere per essere raccontate, come lo ammonirà in seguito l'ex-funzionario federale Fred Weil (Michael Sheen).
Già affermato giornalista e vincitore del Pulitzer per una serie di servizi sul terremoto di Loma Prieta (California), in seguito a un suo pezzo sulle case confiscate dal Governo a sospetti trafficanti di droga, quindi non ancora colpevoli, Webb viene contattato dall’avvenente Coral Baca (Paz Vega), il cui compagno Rafael Cornejo è in carcere per questioni legate alla cocaina.
Una storia come l’altra? In apparenza. Quando la scaltra Coral gli rivela d'essere entrata in possesso (per sbaglio) di un dossier dove emerge in modo inequivocabile che il narcotrafficante Danilo Blandon (Yul Vazquez), pagato dalla CIA, aveva introdotto illegalmente negli Stati Uniti tonnellate di cocaina, e oggi quello stesso ambiguo personaggio siede sul banco dei testimoni ad accusare il suo compagno, lo stesso Webb inizia a drizzare le antenne. Ha inizio così un viaggio giornalistico lungo un anno che lo porterà a realizzare il celebre reportage The Dark Alliance (L’alleanza oscura).
Arriva il gran giorno. La pubblicazione sbarca su carta e online. Le parole non sono interpretabili. Le prove e testimonianze raccolte dimostrano chiaramente come gli Stati Uniti e Los Angeles in particolare siano stati invasi dalla droga per raccogliere fondi da destinare via CIA ai Contras, e sostenere così la ribellione anti-Sandinista. E tutto ciò mentre ogni neo-presidente degli anni Settanta-Ottanta sbandierava la droga come primo problema interno.
È un’autentica “bomba-carta” quella che esplode. I fuochi della ribalta però durano poco per Gary. I piani alti dei Servizi Segreti a stelle e strisce cominciano a fare pressioni sui direttori dei grandi quotidiani perché smontino pezzo per pezzo la storia pubblicata e questi, da bravi cagnolini, rispondono affermativo dando così il via al massacro del singolo che ha osato scoperchiare i panni sporchi (e sanguinari) di Washington.
Inizia la discesa e di mezzo ci finisce anche la famiglia di Webb, la moglie Sue (Rebecca DeWitt) e i tre figli Ian, Eric e Christine. Scoperto che lo stavano spiando nella sua casa, scattata la denuncia ma oltre alla polizia arrivano anche degli agenti che con la scusa del trambusto entrano nel suo studio per leggere appunti privati. Gary viene allontanato dal suo lavoro e spedito altrove. Viene comunque eletto il giornalista dell’anno ma sarà l’ultimo bagliore di una carriera che non si rimetterà più in carreggiata. Da quel suo primo fiero servizio sui cani all’Oscura alleanza, nel mondo pilotato del giornalismo per uno come Gary Webb non ci sarebbe stato più posto. Ma proprio mai più.
“Gary era un doberman. Grintoso e insistente, affrontava i fatti con la convinzione incrollabile che il pubblico avesse diritto a sapere la verità” ha sottolineato il regista, “Era il cronista della gente comune, del popolo. Aveva un’idea molto chiara del significato di cose come verità e giustizia. Era una persona autentica, che amava i gruppi punk e l’hockey. Non aveva paura di mettersi contro i pezzi grossi. Abbiamo bisogno di persone come lui, soprattutto oggi che rischiamo di perderci nel labirinto mediatico di politicanti e opinionisti”.
Erede dei grandi classici della settima arte sul lavoro d’inchiesta giornalistica, dal celeberrimo Tutti gli uomini del Presidente (1976, di Alan J. Pakula) incentrato sullo scandalo Watergate al comunque ispirato a fatti veri The Hunting Party (2007, ambientato nel post Guerra dei Balcani), La regola del gioco lascia emergere quel tragico destino che accomuna tutti i grandi giornalisti caparbi: l'isolamento. Prima collocato sul carro del trionfo, poi alle prime difficoltà scaricato da tutti a cominciare ovviamente dal vicedirettore e direttrice del giornale, Jerry Ceppos (Oliver Platt) e Anna Simons (Mary Elizabeth Winstead).
In prima linea a decretarne l’oblio dunque, quelli che dovrebbero essere i suoi stessi alleati. Quelli che dovrebbero avere a cuore il suo lavoro: i media. Ed è "curioso" o quanto meno casuale come su entrambi le riviste del settore più lette in Italia, Ciak e Best Movie, nel mese di uscita della pellicola (giugno), La regola del gioco abbia avuto un misero trafiletto (vedi ultima foto) a dispetto di parecchie pellicole ben più mediocri e insignificanti, con Best Movie capace pure di sbagliare il titolo e scrivendo: Le regole del gioco.
In un un'epoca cinematografica sempre più ingolfata di supereroi che tanto non salveranno nessuno, dinosauri clonati, patetici remake spacciati per i migliori film della stagione e altro materiale narcotizzante, sarebbe ora che il pubblico cominciasse un po' a svegliarsi, scegliendo la qualità e non solo Disneyland e marshmallow. Ragionando su pellicole che ambiscono a essere qualcosa di più di mero entertainment come appunto La regola del gioco, film che al contrario mostra un vero eroe in carne e ossa: un giornalista che si batte per la verità.
Un giornalista le cui rivelazioni interessano meno di una storia di sesso dalle tinte bianche (Casa). Perché è questo che succederà. Pochi anni dopo la CIA ammetterà il proprio coinvolgimento nei finanziamenti “drogati” per i Contras ma alla gente questo non interesserà più. In quegli stessi giorni l’allora inquilino della Casa Bianca Bill Clinton doveva giustificare certe attenzioni rivolte a Monica Lewinsky, ma del fatto che Webb fosse stato abbandonato semplicemente dicendo la verità, a nessuno importava nulla.
La regola del gioco prende il via con immagini d’epoca e prosegue con la narrazione. Ottima la prova di Jeremy Renner (due nomination agli Oscar come Miglior attore protagonista per The Hurt Locker e The Town) che ancora una volta ha dimostrato la sua grande versatilità. Poco azzeccata al contrario, la scelta del titolo in italiano: comunica poco, rischia di far cadere in inganno richiamando alla memoria l’omonimo film francese del 1939 di Jean Renoir e in ultima travia del tutto dall’originale Kill the Messenger che letteralmente significa “Uccidi il messaggero” (il giornalista), molto più in linea con la pellicola.
La regola del gioco è un film che ogni giornalista dovrebbe vedere e poi suggerire ad almeno 10 persone che (non) conosce. La regola del gioco è un film che non riguarda solo il mondo del giornalismo ma l’atteggiamento stesso delle persone nei confronti del mondo che li circonda, perché “dire la verità solo quando è conveniente farlo” non fa dei furbi, rende solo schiavi. E loro, quelli con la pensione dorata e i conti offshore vogliono esattamente questo da voi.
Saluti a tutti, e auguri alla vostra co(no)scienza. Buona fortuna!
La regola del gioco - Gary Webb (Jeremy Rener) a colloquio con Coral Baca (Paz Vega) |
La regola del gioco - il narcotrafficante Norwin Menes (Andy Garcia) |
La regola del gioco - Jerry Ceppos (Oliver Platt), Anna Simons (Mary Elizabeth Winstead) e Gary Webb (Jeremy Rener) |
L'esiguo spazio riservato a La regola del gioco da Best Movie (sx) e Ciak |