Batman v Superman: Dawn of Justice (2015, di Zack Snyder) |
di Luca Ferrari
Virtuosi superattrezzati. Fenomenali attaccabrighe. Sono forti e dall’appeal hollywoodiano. Li vogliono sfidare tutti, extraterrestri inclusi. Sono i supereroi dei fumetti (buoni e/o cattivi). Uomini e donne votati a un qualche grandioso disegno. Sono ormai ovunque. È impossibile non sentirne parlare. Una vera dittatura imposta dai media. Due giorni fa si è concluso il Comic-Con di San Diego e via tutti a parlare e scrivere di supereroi, ormai più fastidiosi delle zanzare che letali ti pungono a ogni ora del giorno di questa afosa estate 2015.
Ti compri tutte queste magliette da supereroe ma quando si tratta di rimboccarti le maniche e fare la cosa giusta, ti nascondi in lavanderia, rimproverava Penny (Kaley Cuoco) all’egoista e viziato Sheldon (Jim Parson) quando per paura dei germi si rifiutava di andare all'ospedale dove era stata ricoverata la madre del suo amico Howard (IV serie, puntata n. 23 La reazione al fidanzamento - The Big Bang Theory).
Come spesso accade, il passaggio alla realtà non sembra essere così diverso. Tutti a fare la fila per vedere questi esseri dotati di superpoteri eppure così scarsi nell’utilizzare le proprie risorse nella vita quotidiana, lasciando alla dimensione onirica il momento delle grandi imprese.
Non che prima di questo boom non ci fossero film del genere, c’erano si ma non con l’esagerata attenzione che gli viene conferita di questi tempi. L’anno di svolta fu il 2008, curiosamente lo stesso dell’esplosione della crisi economica mondiale, quando uscì il primo film della saga Iron Man con il ritrovato Robert Downey Jr. A questi, restando solamente in casa Marvel Comics e citando i più famosi, fecero seguito due sequel, due film su Thor, altrettanti su Captain America, il corale The Avengers e l’anemico sequel di quest'ultimo.
Nel frattempo si erano già ritagliati il loro spazio i mutanti X-Men con prequel vari, la trilogia di Batman si andava affermando senza precedenti, quindi è arrivato il turno di Superman e nel frattempo l’Uomo Ragno, dopo la trilogia di Sam Raimi con Tobie Maguire protagonista, era già approdato a una seconda serie di film con Andrew Garfield, decisamente sotto tono (ora ne è in arrivo una terza con la premio Osca Marisa Tomei nelle vesti di zia Mei). Non entro nemmeno nel merito del piccolo schermo altrimenti rischiamo di fare notta fonda.
Ma perché d’improvviso questo filone è stato letteralmente preso d’assalto dalla settima arte trasformando Stan Lee in un guro non più di soli nerd ma per chiunque? E perché tutto questo successo di personaggi inesistenti? Senza scomodare esperti psicologi la risposta è molto semplice. A seconda del continente nel mondo di oggi vige un’anarchica dittatura politica, economica e/o militare. L'essere umano non sembra essere in grado venirne fuori in nessuno modo, o qualcuno gli vuol far credere tutto ciò. L'unica salvezza è un supereroe. Una sorta di immaginifico dittatore illuminato che non pretende nessun tributo in cambio. Agisce per il bene supremo caricandosi sulle spalle tutte le conseguenze delle sue azioni.
Un mondo dunque dove l’essere umano normale viene ridotto a una macchietta. A una comparsa. Un mondo che finirebbe facilmente nelle mani spietate dei vari Loki o chicchessia se non intervenissero questi esseri eccezionali. Ma siamo davvero sicuri che nel mondo effettivo non ce ne siano di eroi? Ce ne sono, ce ne sono. Ma vuoi mettere il fascino di un palestrato dai bicipiti scolpiti e resi evidenti dal lattex della propria tuta rispetto a un comune mortale?
C’è un cinema, un altro cinema, capace anch’esso di celebrare i propri eroi. Quello che avrebbero davvero le carte in regola per ispirare l’umanità a compiere grandi azioni. Film recenti come The Search (di Michael Hazanavicious), Il padre (di Fatih Akin) o La regola del gioco (di Michael Cuesta) sono stati praticamente ignorati. Scarso pubblico e ancor meno attenzione da parte di quei giornali che leggono tutti. Chi sono i loro eroi? Un bambino che fugge con la sorellina nell'inferno della guerra cecena, un uomo che sopravvive al genocidio armeno e un giornalista che smaschera un traffico governativo ai massimi livelli.
Nessuno dei tre ha alcun super potere. I primi due lungometraggi sono ambientati durante tragedie realmente accadute che furono ignorate dalla Comunità Internazionale. Non sorprende dunque nemmeno un po’ che i magazine di settore gli abbiano riservato lo stesso trattamento. Il terzo invece è tratto dalla storia vera del giornalista Gary Webb, premio Pulitzer e così bravo da non riuscire più a scrivere per alcun giornale in virtù dei suoi scoop.
Perché il grande pubblico non può essere educato a prendere ispirazione da persone come loro? Persone normali e reali. Anche in questo caso la risposta è molto semplice. Perché così acquisirebbero forza e userebbero il cervello, mentre lasciare la massa a sognare con poteri che non avrà mai ha lo stesso effetto della droga. Prima ti eccita e poi di fa sbattere contro il muro della penosa realtà ma a quel punto la frittata è fatta e non si può più tornare indietro.
Viviamo in un mondo “libero” e se la stampa specializzata vuole consumare ettolitri d'inchiostro e km di web per incensare un certo genere di film, ha tutto il diritto di farlo. Ma parafrasando un “certo insegnamento”, potrei argomentare che: da una simile azione deriva una grande responsabilità, anzi una larga conseguenza di cui si cura molto poco. La stampa cinematografica sta ormai sempre più “privilesaltando” l’analisi tecnica (effetti speciali) dimenticandosi che è la storia a fare grande una pellicola.
Il filone cine-fumettistico è interessante e si merita spazio ma è indubbio che ormai stia diventando invadente a livelli pericolosi. Di film come gli ancora inediti Batman v Superman: Dawn of Justice (2015, di Zack Snyder) e Suicide Squad (2015, di David Ayer) si sta parlando in modo bulimico e da tempo immemore. Se i risultati poi doveesero essere anche solo simili agli ultimi prodotti della Marvel, c’è ben poco di che stare allegri.
E se poi un film come Birdman, spacciatosi per essere l’anti-superhero movie (molto discutibile), si guadagna 4 dei principali premi Oscar a discapito di pellicole come The Imitation Game (2014, di Morten Tyldum) o La teoria del tutto (2014, di James Marsh), allora Houston, abbiamo davvero un grosso problema. Un problema di eroica super-dittatura ma questo è ciò che il grande pubblico vuole. La massa di pecore amerà i supereroi proprio per questo.
(da sx) Il padre, The Search e La regola del gioco |
Suicide Squad (2015, di David Ayer |
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