Lo chiamavano Jeeg Robot - Enzo (Claudio Santamaria) e Alessia (Ilenia Pastorelli) © E. Scarpa |
di Luca Ferrari
“Non gli avevo dato troppa importanza poi il trailer mi convinse e penso che potrebbe essere la sorpresa del 2016”. A pronunziare queste sibilline parole, proprio il sottoscritto qualche giorno fa, commentando su Facebook un post del direttore editoriale di Best Movie, Luca Maragno. A malincuore mi sono dovuto ricredere. Lo chiamavano Jeeg Robot (2016, di Gabriele Mainetti) è un ibrido poco riuscito tra le fiction sbirro-mafiosa e in minima (ma proprio minima parte) cinecomic. Il cinema italiano ci ha provato ma il risultato non è né carne né pesce. Anzi, forse è più carne e pure stopposa.
In un'ipotetica ma attuale Italia segnata da attacchi bombaroli, il solitario lestofante Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) vive di furtarelli appoggiandosi a conoscenti affiliati e a piccoli boss locali. La sua vita cambia del tutto quando, inseguito da due poliziotti (dall'aspetto paiono più sbandati del malvivente), finisce nelle acque del Tevere entrando in contatto con degli oleosi barili radioattivi.
Il risultato? Una forza sovrumana capace di fargli sradicare un bancomat intero e portarselo direttamente a casa. Inevitabile che nell'epoca del “grande fratello”, un simile gesto non passi inosservato ed eccolo finire su Youtube diventando suo malgrado quasi una star. Un effetto questo per niente gradito dallo zingaro (Luca Marinelli), alla disperata ricerca di attenzione criminale dopo aver assaggiato la notorietà (…) anni or sono esibendosi a Buona Domenica.
Ha inizio una sfida a distanza. Da una parte un uomo senza bandiera alla ricerca di un minimo di normalità, dall'altra un pazzo disposto a tutto pur di vedere il proprio nome e soprattutto la propria faccia sui telegiornali a rete unificate. A far incrociare i due personaggi, la giovane e traumatizzata Alessia (Ilenia Pastorelli), figlia del collega Sergio (Stefano Ambrogi), che dopo averlo visto in azione, scambia Enzo per il supereroe Hiroshi Shiba, l'eroe del manga Jeeg root d'acciaio.
Esperimento interessante Lo chiamavano Jeeg Robot ma a dispetto del richiamo d'oltreoceano del cinecomic, nel DNA del regista italiano è ancora troppo forte la cine-cultura del Bel paese. È sempre la solita mafia romano-napoletana vista e stravista anche nel recente e mediocre Suburra (2015, di Stefano Sollima). È sempre la solita malavita violenta e padre-eterna.
Nessuno certo si poteva (né voleva) aspettare un Iron Man sfrecciare davanti a Castel Sant'Angelo o un probo “Captain Italia” ergersi davanti al Quirinale, ma l'aver ammiccato così tanto al genere in questione ha creato inevitabili aspettative. Mainetti cerca la sua strada ma pecca forse di esasperato “Tarantismo”, volendo mettere in poco meno di due ore di lungometraggio (il suo primo) troppi generi, strizzando l'occhio anche al pulp e alla commedia a stelle e strisce.
Fin troppo esasperato l'isolamento di Enzo. Antieroe all'inverosimile. Non ha amici. Si ciba solo di mini-yogurt o budini che sia, guarda dvd porno e non ha nessuna amicizia. Sembrava dovesse essere chissà quale personaggio lo Zingaro, ma alla resa dei conti non è tanto diverso dai tanti giovani malavitosi frustrati moderni che vogliono rispetto e conquistare il mondo. Guarda al Joker di Heath Ledger ma non abbastanza cattiveria né intelligenza.
A salire in cattedra al contrario è la coprotagonista femminile, Alessia. È una giovane donna ma ha l'anima di una bambina. Abusata, ha trovato rifugio nel manga giapponese di Jeeg Robot d'acciaio e quando vede questo fantomatico incappucciato salvarle la vita facendo cose che nessun umano sarebbe mai stato in grado, per lei e la sua mente turbata non ci sono dubbi, lui è Hiroshi Shiba, l'umano che si trasforma in Jeeg.
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Lo chiamavano Jeeg Robot - lo Zingaro (Luca Marinelli) © Emanuele Scarpa |
Lo chiamavano Jeeg Robot - Enzo (Claudio Santamaria) © Emanuele Scarpa |
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