Casablanca - Yvonne (Madeleine Lebeau) canta commossa la Marsigliese
Combattere per la libertà contro la tirannia, sempre. Oggi anche più di allora. Casablanca (1942, di Michael Curtiz) è sempre lì, a cantarcelo "LaMarsigliesamente" nel cuore e all'anima.
Suonate la Marsigliese, suonatela! incita all'orchestra il partigiano Victor Laszlo dinnanzi ai cori nazisti nel locale di Ric Blaine, a Casablanca, zona franca non ancora occupata dalla truce mano di Hitler. Dietro le quinte il presunto indifferente proprietario dà il via libera. Ecco allora ergersi un corso deciso contro la tirannia, salendo di volume fino a zittire gli odiati nemici in divisa militare. Epica cinematografica. Una scena memorabile che ancora oggi fa venire la pelle d'oca. Un oggi dove correnti nazional-fasciste sono sempre più vive. Oggi, anche più di ieri, c'è bisogno degli eroi di Casablanca (1942, di Michael Curtiz).
Fuggito dai campi di concentramento, l'audace Victor Laszlo (Paul Henreid) è arrivato a Casablanca insieme alla moglie, Ilsa (Ingrid Bergman). Raggiungere il Portogallo e poi gli Stati Uniti però, non è cosa facile, anche per uno come lui. Nella città marocchina infatti, non ancora inglobata nella Francia collaborazionista di Vichy, sono già arrivati i nazisti guidati dal Maggiore Henirich Strasser (Conrad Veidt). L'unica possibilità di fuga paiono essere dei visti, rubati proprio ai tedeschi, e arrivati nelle mani di Rick Blaine (Humprey Bogart), proprietario dell'omonimo Café Americanin. Un uomo, in apparenza disinteressato a prendere posizioni politiche, ma da un passato "alleato".
La trattativa è appena agli inizi quand'ecco che Strasser e i suoi ufficiali iniziano fieri a intonare canzoni del Terzo Reich. Tutti le ascoltano senza fare nulla. Tutti le ascoltano infastiditi e impotenti, incluso il Capitano della gendarmeria locale, Louis Renault (Claude Reins), di supporto ai futuri occupanti, e l'alticcia e abitudinaria cliente, Yvonne (Madeleine LeBeau). Tutti come detto, ascoltano abbandonati a se stessi. Tutti meno lui, Victor Laszlo. Sotto gli occhi dell'amata moglie, lascia Blaine e parte come un razzo verso l'orchestra intimando loro di suonare la Marsigliese. I musicisti non sanno che fare. Gurdano il loro padrone che, molto poco neutralmente, acconsente.
E' l'inizio di una scena memorabile della settima arte. Spronati dallo stesso Strasser, i nazisti provano ad alzare la voce ma è poca cosa. Tutta la clientela del Rick's Café Américain va dietro a Laszlo, inclusa la chitarrista tzigana (Corinna Mura). I tedeschi alla fine si arrendono, e si siedono scoraggiati. La Marsigliese intanto va avanti e al coro si unisce anche lei, Yvonne. Si, lei. L'emblema del facile vendersi a chi le offre da bere a prescindere dalla bandiera, riscopre il suo orgoglio francese e intona l'inno della sua patria fino alle lacrime (sue e di chi la guarda, ndr) per poi chiudere la performance collettiva con un memorabile: Viva la libertà!
Non si può dire di conoscere né di essere appassionati della settima arte senza aver visto (e amato) Casablanca, 1942, di Michael Curtiz). Un film che ha segnato un'epoca e la cui scena qui raccontata ne incarna il cuore più sfaccettato. Semplicemente c'è tutto. Coraggio, astuzia, passione, sottomissione e ribellione. Una scena memorabile dove le parole dell'inno nazionale francese hanno il sacro potere di risvegliare per sempre la forza di dire no all'oppressore, qualunque esso sia. Ne vengono tutti coinvolti. Da quelli più decisi (Laszlo), a quelli più sornioni (Rick) e via via tutti coloro che dal silenzio passano a lasciare esplodere la propria ugola.
E poi c'è ovviamente c'è lei, Yvonne. Sempre un po' alticcia. Sempre alla ricerca di qualcuno che le offra un drink, e fa niente se questo onore oggi è toccato a un ufficiale tedesco. Quando Laszlo si avvia deciso verso i musicanti, lei se ne sta accasciata su se stessa a rigirarsi nei pensieri e nell'alcol, ma ecco che quando le note e le parole conquistano la ribalta, qualcosa dentro di lei scatta e si accende. Dirompente. Deciso. Irrefrenabile. Il sangue francese. L'eredità illuminista della libertà irrompe fino alla commozione più lacrimosa. Yvonne alza la voce e canta anche lei La Marsigliese. Yvonne ha deciso che anche lei combatterà la tirannia.
Manca un mese oramai alle elezioni europee e il vecchio continente ha dimenticato la sua Storia. Guarda avanti sospinta da di intolleranza. La Brexit non è bastata per far capire quando non si arrivi da nessuna parte senza unità.. Fino alla fine della II Guerra Mondiale l'Europa era sempre in guerra tra di sé, poi qualcosa cambiò ma oggi, in un drammatico vuoto politico delle Sinistre partigiano-rivoluzionarie, colpevoli di aver smarrito il significato e l'impegno di formare un'autentica democrazia popolare, ci consegnano a rozzi doganieri più interessati a erigere muri e aumentare la militarizzazione della società per il proprio bieco interesse.
Casablanca (1942, di Michael Curtiz) non può essere considerato un semplice film. Non lo è. Rivederlo ha sempre l'effetto di una scossa. Nel corso della II Guerra Mondiale moltissimi uomini, donne e giovani morirono perché credevano nel massimo ideale umano: la libertà. Oggi, la diamo per scontata. Per certi versi oggi siamo più schiavi di una volta eppure sembra che a (quasi) nessuno interessi davvero. Oggi, dinnanzi a un sopruso, se qualcuno si alza per controbattere viene abbandonato a se stesso. Oggi il popolo ha perso la sua capacità di abbattere perfino la tirannia della porta accanto. Se oggi un Victor Laszlo provasse a zittire i canti nazisti, resterebbe da solo e sarebbe subito arrestato. Non in quegli anni. Non al tempo di Casablanca dove si era disposti a tutto nel nome della libertà.
Casablanca, la scena della Marsigliese
Casablanca - Rick Blaine (Humprey Bogart) assiste all'inizio dei cori tedeschi
Casablanca - gli ufficiali cantano e fanno propaganda del Terzo Reich
Casablanca - il Capitano collaborazionista Louis Renault (Claude Rains)
Casablanca - Victor Laszlo (Paul Henreid) e Rick Blaine (Humprey Bogart)
Casablanca - una spenta Yvonne (Madeleine Lebeau) seduta al tavolo del "nemico"
Rocky III - Apollo (Carl Weathers) e Rocky (Sylvester Stallone)
Il campione è caduto. L'amore e l'amicizia lo rialzano. Sulle note di Gonna Fly Now, l'allenamento di Rocky con Apollo incarna la più autentica e genuina forza dell'uomo.
Un uomo sconfitto, ferito e incapace di risollevarsi. Un uomo avviato alla sconfitta ancora prima di tornare sul ring. L'ex-campione dei pesi massimi di pugilato, Rocky Balboa, si trova a un vicolo cieco nella sua carriera e nella sua vita. Ci vorrà l'intervento della sua amata moglie per sbloccarlo psicologicamente e la maestria del suo migliore amico per farlo tornare il dominatore del quadrato. Ritrovata dunque concentrazione e determinazione, ecco andare in scena l'allenamento più epico della saga sulle note di Gonna Fly Now (Bill Conti). Questo è quanto accadde in Rocky III (1982, di Sylvester Stallone).
Rocky Balboa (Sylvester Stalloene) è a terra. Lo sfidante numero uno Clubber Lang (Mr.T) gli ha inferto una pesantissima sconfitta per KO alla seconda ripresa. Poco prima della debacle, il suo storico allenatore, l'irascibile e paterno Mickey (Burgess Meredith), è morto. A provare a risollevare lo Stallone Italiano, una vecchia conoscenza dei guantoni, Apollo Creed (Carl Weathers). Si proprio lui, l'invincibile boxer cui Rocky strappò il titolo anni prima, è pronto a seppellire "il pugno" di guerra e aiutarlo per tornare a vincere. Rocky però ha un problema. E' spento. Combatte male. Ha perso quei famosi "occhi della tigre" che aveva ai tempi dei loro combattimenti.
Lanciata la sfida dunque, gli allenamenti di Rocky passano dalle strade di Philadelphia alla calda Los Angeles, ma in principio sembra tutto inutile. Rocky è ancora scombussolato. Si allena senza incisività. Non recepisce gli insegnamenti di Apollo e il suo storico secondo, Duke (Tony Burton). Nello sport, fisico e muscoli non sono mai sufficienti. C'è la testa a comandare tutto. La sua dolce metà allora, Adriana (Talia Shire), capisce che è arrivato quel momento. Dopo l'ennesimo flop di preparazione, affronta il marito sulla spiaggia tirandogli a forza fuori la verità. Rocky si sfoga e capisce. Rocky accetta le sue paure e si riconnette con la mente. Adesso Rocky è pronto per allenarsi sul serio insieme ad Apollo.
Rocky e Apollo ricominciano sulla sabbia, in un crescendo di sudore e sacrifici. Giorno dopo giorno, Rocky migliora in tutto. Velocità, tecnica e potenza. Apollo è sempre lì, fianco a fianco. A ispirargli costante fiducia c'è anche il burbero cognato Paulie (Burt Young), cui Rocky fa fare un memorabile volo in piscina suscitando la divertita ilarità della moglie e dell'amico pugile. La canzone Gonna Fly Now sale di tono fino a quando Rocky non riesce nell'impresa di superare nella corsa Apolo. La scena successiva è la forza dell'amicizia che trionfa. I due si abbracciano nell'acqua del mare. Adesso Rocky Balboa è pronto per riprendersi il titolo. Comunque vada però, ha già vinto contro i suoi demoni.
Troppo piccolo per ricordarmelo, ma comunque lo vidi al cinema Rocky III. Diverso fu il caso del successivo capitolo dove il pugile italo-americano sfidò il colosso sovietico Ivan Drago. Fu allora, durante quella visione sul grande schermo, che per la prima volta vidi alcune sequenze di questa epica corsa in spiaggia di Rocky e Apollo, nello scorrere della dolorosa ed epocale No Easy Way Out, dove Rocky ripensa a tutti i momenti vissuti con l'amico fraterno ormai deceduto. Quelle scene mi rimasero impresse e ancora oggi, quando scendo a correre sulla battigia, Gonna Fly Now in versione Rocky III è una canzone che non manca mai nella mia playlist ed è in grado di tirarmi fuori quelle energie che non penso di avere.
E' la vera canzone della riscossa. La Gonna Fly Now di Rocky III non teme rivali con altre versioni. Per il sottoscritto, nemmeno quella di Rocky II (1979, di Sylvester Stallone), iniziata baciando il proprio figlioletto in culla e conclusa circondato dai ragazzini in cima alla famosa scalinata. La grandezza di Rocky Balboa non è nelle vittorie. La sua vera forza, rivoluzionaria e ancora oggi controcorrente, è la capacità di cadere trovando la strada per rialzarsi e trionfare, supportato dagli affetti più autentici. Questa è l'anima di Rocky Balboa. Questa è la fiamma vittoriosa che alimenta Rocky (e Apollo) nel corso di Gonna Fly Now in Rocky III.
Rocky III, l'allenamento di Rocky e Apollo
Rocky III - Adriana (Talia Shire) e Rocky (Sylvester Stallone)
Rocky III - Rocky (Sylvester Stallone) e Apollo (Carl Weathers)
"Che bella faccia da cazzo. Non non ne ho mai viste così. Bravo, complimenti". Esordisce così, in pigiama, l'anziano Augusto Scribani (Vittorio Gassman), ospite poco gradito nella sua casa, ormai di proprietà della nuora Carla (Dominique Sanda), rivolgendosi a un illustre giacca e cravatta nel corso di una festa dell'alta società. Uscito da poco da una clinica psichiatrica, l'uomo non usa mezze parole. Un'immagine incubo per qualsiasi figlio all'idea di vedere il proprio genitore fargli fare una figuraccia davanti a ospiti altolocati. Una frase cult tratta dall'amaro Tolgo il disturbo (1990, di Dino Risi).
Due giganti della settima arte, Vittorio Gassman e Dino Risi, interprete e regista di tantissime pellicole, molte delle quali girate insieme. Tra le più importanti collaborazioni: I mostri (1963), In nome del popolo italiano (1971), Carò papà (1979) e anche il celeberrimo Profumo di donna (1971) con cui Gassman vinse David di Donatello (e anche Risi come miglio regista), Nastro d'argento e il premio come migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes. Anni dopo uscì il remake americano Scent of Woman (1992, di Martin Brest) con protagonista Al Pacino che grazie a quella interpretazione vince il BAFTA come Migliore attore drammatico e l'Oscar come Migliore attore protagonista.
Troppe volte ci teniamo le opinioni dentro di noi, facendoci macerare finzioni e nevrosi interne. Dovremmo tutti (un po') imparare dalla lingua lunga di Augusto, ricordandoci che ogni sorriso bugiardo regalato al prossimo e/o frase non voluta, altro non è che un gesto di vigliaccheria e ipocrisia contro noi stessi e gli altri. Augusto Scribani sarà anche un "cane sciolto", eppure capace di stringere un tenero rapporto con la nipotina di nove anni Rosa (Valentina Holtkamp), la cui dolcezza arriverà a farle dire all'anziano parente, un poetico e struggente: "Ti prego nonno, non morire".
Una giusta causa - l'avvocato Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones)
Il mondo è pronto per il cambiamento, adesso bisogna modificare le leggi. Ruth Bader Ginsburg lo aveva capito e non smise mai di lottare per esso. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder).
Ciao donna, mi rivolgo a te perché tu ti renda conto quanto ancora il mondo sia ingiusto nei tuoi confronti. La discriminazione è ovunque, dal posto di lavoro ai rapporti umani dove eguali comportamenti producono reazioni diverse se a compierle sono gli uomini. Esiste la discriminazione perfino sul significato delle parole come ci spiegò in modo sprezzante Paola Cortellesi durante la presentazione dei David di Donatello. Ciao donna, è finito il tempo delle concessioni perché è questo che tu hai sempre avuto. Invece no, il mondo ti spetta di diritto. Quel diritto che l'avvocato Ruth Bader Ginsburg non smise mai di combattere per farlo cambiare. Vedere questo film è imperativo, per donne e uomini. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder).
Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) è una brillante studentessa ammessa alla facoltà di legge di Harvard, dove da pochi anni hanno iniziato ad avere accesso anche le donne. Il clima però che si respira nel prestigioso istituto universitario, è aperto solo di facciata a cominciare dall'ipocrita rettore Erwin Griswold (Sam Waterston). Poco importa che Ruth sia lo studente più scaltro e preparato, i docenti scelgono sempre i colleghi maschi per chiedere le risposte. Nella medesima scuola è iscritto anche il marito, Marty (Armie Hammer), di tutt'altra mentalità e sempre pronto a sostenere la moglie a dispetto di una cultura ancora ed enormemente testosterogena.
Ottenuta entrambi la laurea, la coppia con già una figlia, Jane, si sposta a New York dove lui ha trovato lavoro. Opposta la situazione per Ruth. I suoi colloqui di lavoro sono al limite della farsa, sentendosi dare le risposte più assurde e a tratti anche offensive. Tutte scuse e/o pregiudizi per non assumerla. Stufa di sentirsi sbattere la porta in faccia, accetta l'insegnamento. La delusione però resta. Ora tocca a lei formare e lanciare le nuove menti per un cambiamento, com'è la figlia Jane (Cailee Spaeny) con cui ha spesso scontri. Quel cambiamento però di cui lei stessa voleva essere soldato in prima linea e non stratega nelle retrovie.
Un caso particolare di discriminazione ai danni di un uomo le arriva sotto il naso. Il sangue da avvocato inizia a ribollire. Ruth ha sempre e solo voluto fare l'avvocato, ed è tempo di dimostrarlo. Charles Moritz (Chrisl Mulkey) è uno scapolo che si è dovuto occupare della madre malata. Giustamente ha detratto le spese dell'assistenza, ma all'epoca era una prerogativa delle sole donne e il fisco ora gli chiede il conto. Lì nel mezzo però, c'è Ruth Bader Ginsburg che spalleggiata dalla sua personale eroina, l'avvocato Dorothy Kanyon (Kathy Bates) e al suo fianco in aula anche dal vecchio amico nonché capofila per i diritti civili Mel Wulf (Justin Theroux), si troverà a sfidare i suoi vecchi docenti, Preside e prof. Brown (Stephen Root), ingaggiati dal Governo degli Stati Uniti per venire a capo della faccenda.
Ruth Bader Ginsburg arriva alla Corte Suprema. Dovrà convincere tre giudici maschi che la legge è ingiusta. Dovrà farlo senza avere effettiva esperienza sul campo. Dovrà guardarli in faccia e argomentare in modo da spazzare via preconcetti e diffidenza. La sua battaglia potrebbe dare il via a una nuova pagina di Storia sociale. Una sua vittoria potrebbe spalancare certe porte fino ad allora neanche immaginate. Sono gli anni delle Contestazioni studentesche e una sua eventuale sconfitta però, potrebbe far perdere anni di battaglie alle donne. Ormai è tardi per tirarsi indietro. Ormai si può e si deve vincere. Il mondo è pronto per il cambiamento. Adesso è tempo di cambiare anche la Legge.
Donne, disuguaglianze e diritti delle donne. Non sono molti i film che hanno fatto di questo delicato e importante tema il centro della propria telecamera. Tutti (..) in apparenza dalla parte del gentil sesso ma nella prova decisiva della pratica, anche il grande schermo è una questione ancora molto e troppo maschile. Se le Suffragette (2015) di Sara Gavron hanno raccolto facili consensi grazie anche alla presenza dell'inossidabile Meryl Streep, in Italia è passato quasi sotto silenzio l'intenso Made in Dagenham (2010, di Nigel Cole) per di più storpiato nell'offensivo e imbarazzante We Want Sex.
Se poi, oltre al genere ci si mettesse anche il colore della pelle, come ne Il diritto di contare (2016, di Theodore Melfi) con protagoniste le brillanti Octavia Spencer, Taraji P. Henson e Janelle Monáe, allora la sfida è ancora più ardua. Nel cinema come nella vita reale la donna deve faticare di più dell'uomo: perché? Come dice il rampante e giovane avvocato Jim Bozart (Jack Reynor), "perché è nell'ordine delle cose ed è sempre stato così". Dunque perché cambiare? La stessa logica che avrebbe potuto mantenere la segregazione, la tortura e tutte quelle cose che al giorno d'oggi ci paiono medievali ma che al contrario, molte di esse sono più vive e vegete che mai.
Per tornare alla settima arte, basterebbe vedere poi quante donne abbiano conquistato l'ambita statuetta per il Miglior film e/o Miglior regia per tirare le somme su quanto machismo ancora imperversi a Hollywood e dintorni. Ben venga il movimento #MeToo, ma non si può aspettare uno scandalo per pretendere ciò che spetterebbe alle donne di diritto e non come concessione-reazione dopo un fatto. Bisognerebbe avere il coraggio di dirlo apertamente: nel 2019 le donne sono ancora tragicamente discriminate, e questo senza andare a scomodare fantomatiche e inesistenti nazioni di psicopatici. E' sufficiente guardare in casa nostra e dentro le mura domestiche.
In casa Ginsburg invece, a differenza dell'ipocrisia maschile MadeInDagenhamiana di casa O'Grady (dove la signora Rita è solo in apparenza spalleggiata dal marito), c'è un vero sostegno. Moglie e marito sono una grande squadra. Lei sostiene lui, lui sostiene lei. Questa dovrebbe essere la base di ogni civiltà. Questo dovrebbe essere l'abc di ogni nazione che è fatta dalle famiglie, ed è inutile sorprendersi se anni dopo i maschietti uccidono donne perché lasciati, se fin dalla nascita ci inculcano che noi uomini valiamo più delle donne. Si comincia dal basso. Si comincia dalla tenera età, quando i bambini hanno i giocattoli legati a professioni, le bambine alla cucina. Il mondo si cambia dalle radici.
Regista di celebri pellicole come The Peacemaker (1997, con George Clooney e Nicole Kidman),Deep Impact (1998 con Robert Duvall e Tea Leoni) e Un sogno per domani (2000, con Kevin Spacey ed Helen Hunt), questa volta Mimi Leder si affaccia alla cronaca della vita vera, portando sul grande schermo la storia di una Donna che negli Stati Uniti è più famosa dei rapper. Forte della sceneggiaturadi Daniel Stiepleman, il film è un assolo corale di parole e azioni. Una giusta causa (2018) va diritto alla mente delle persone, incidendo nel cuore la sacra fiamma della giustizia umana. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder) è un costante richiamo al senso di giustizia che lotta per costruire una strada più equa dentro ciascuno di noi.
"Ehi coglione, baci tua madre con quella bocca?" inveisce Jane Ginsburg contro un rozzo operaio che si permette di sbeffeggiare lei e sua mamma con i classici epiteti sessuali. Jane ha in casa un modello femminile che combatte per le proprie cause. Jane è una giovane donna protagonista di un mondo in fermento e a cui vuole dare il proprio contributo. Generazioni unite si aiutano a vicenda. Generazioni di donne, uomini, studenti universitari e teenager imbracciano l'arma più pericolosa per una società: il cambiamento. Si deve sempre lottare per le giuste cause. Non bisogna mai smettere di lottare per una giusta causa. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder), al cinema e nella vita di tutti i giorni.
Il trailer de Una giusta causa
Una giusta causa - Marty (Armie Hammer) e Ruth (Felicity Jones)
Una giusta causa - Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) sui banchi di Harvard