Una giusta causa - l'avvocato Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) |
di Luca Ferrari
Ciao donna, mi rivolgo a te perché tu ti renda conto quanto ancora il mondo sia ingiusto nei tuoi confronti. La discriminazione è ovunque, dal posto di lavoro ai rapporti umani dove eguali comportamenti producono reazioni diverse se a compierle sono gli uomini. Esiste la discriminazione perfino sul significato delle parole come ci spiegò in modo sprezzante Paola Cortellesi durante la presentazione dei David di Donatello. Ciao donna, è finito il tempo delle concessioni perché è questo che tu hai sempre avuto. Invece no, il mondo ti spetta di diritto. Quel diritto che l'avvocato Ruth Bader Ginsburg non smise mai di combattere per farlo cambiare. Vedere questo film è imperativo, per donne e uomini. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder).
Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) è una brillante studentessa ammessa alla facoltà di legge di Harvard, dove da pochi anni hanno iniziato ad avere accesso anche le donne. Il clima però che si respira nel prestigioso istituto universitario, è aperto solo di facciata a cominciare dall'ipocrita rettore Erwin Griswold (Sam Waterston). Poco importa che Ruth sia lo studente più scaltro e preparato, i docenti scelgono sempre i colleghi maschi per chiedere le risposte. Nella medesima scuola è iscritto anche il marito, Marty (Armie Hammer), di tutt'altra mentalità e sempre pronto a sostenere la moglie a dispetto di una cultura ancora ed enormemente testosterogena.
Ottenuta entrambi la laurea, la coppia con già una figlia, Jane, si sposta a New York dove lui ha trovato lavoro. Opposta la situazione per Ruth. I suoi colloqui di lavoro sono al limite della farsa, sentendosi dare le risposte più assurde e a tratti anche offensive. Tutte scuse e/o pregiudizi per non assumerla. Stufa di sentirsi sbattere la porta in faccia, accetta l'insegnamento. La delusione però resta. Ora tocca a lei formare e lanciare le nuove menti per un cambiamento, com'è la figlia Jane (Cailee Spaeny) con cui ha spesso scontri. Quel cambiamento però di cui lei stessa voleva essere soldato in prima linea e non stratega nelle retrovie.
Un caso particolare di discriminazione ai danni di un uomo le arriva sotto il naso. Il sangue da avvocato inizia a ribollire. Ruth ha sempre e solo voluto fare l'avvocato, ed è tempo di dimostrarlo. Charles Moritz (Chrisl Mulkey) è uno scapolo che si è dovuto occupare della madre malata. Giustamente ha detratto le spese dell'assistenza, ma all'epoca era una prerogativa delle sole donne e il fisco ora gli chiede il conto. Lì nel mezzo però, c'è Ruth Bader Ginsburg che spalleggiata dalla sua personale eroina, l'avvocato Dorothy Kanyon (Kathy Bates) e al suo fianco in aula anche dal vecchio amico nonché capofila per i diritti civili Mel Wulf (Justin Theroux), si troverà a sfidare i suoi vecchi docenti, Preside e prof. Brown (Stephen Root), ingaggiati dal Governo degli Stati Uniti per venire a capo della faccenda.
Ruth Bader Ginsburg arriva alla Corte Suprema. Dovrà convincere tre giudici maschi che la legge è ingiusta. Dovrà farlo senza avere effettiva esperienza sul campo. Dovrà guardarli in faccia e argomentare in modo da spazzare via preconcetti e diffidenza. La sua battaglia potrebbe dare il via a una nuova pagina di Storia sociale. Una sua vittoria potrebbe spalancare certe porte fino ad allora neanche immaginate. Sono gli anni delle Contestazioni studentesche e una sua eventuale sconfitta però, potrebbe far perdere anni di battaglie alle donne. Ormai è tardi per tirarsi indietro. Ormai si può e si deve vincere. Il mondo è pronto per il cambiamento. Adesso è tempo di cambiare anche la Legge.
Donne, disuguaglianze e diritti delle donne. Non sono molti i film che hanno fatto di questo delicato e importante tema il centro della propria telecamera. Tutti (..) in apparenza dalla parte del gentil sesso ma nella prova decisiva della pratica, anche il grande schermo è una questione ancora molto e troppo maschile. Se le Suffragette (2015) di Sara Gavron hanno raccolto facili consensi grazie anche alla presenza dell'inossidabile Meryl Streep, in Italia è passato quasi sotto silenzio l'intenso Made in Dagenham (2010, di Nigel Cole) per di più storpiato nell'offensivo e imbarazzante We Want Sex.
Se poi, oltre al genere ci si mettesse anche il colore della pelle, come ne Il diritto di contare (2016, di Theodore Melfi) con protagoniste le brillanti Octavia Spencer, Taraji P. Henson e Janelle Monáe, allora la sfida è ancora più ardua. Nel cinema come nella vita reale la donna deve faticare di più dell'uomo: perché? Come dice il rampante e giovane avvocato Jim Bozart (Jack Reynor), "perché è nell'ordine delle cose ed è sempre stato così". Dunque perché cambiare? La stessa logica che avrebbe potuto mantenere la segregazione, la tortura e tutte quelle cose che al giorno d'oggi ci paiono medievali ma che al contrario, molte di esse sono più vive e vegete che mai.
Per tornare alla settima arte, basterebbe vedere poi quante donne abbiano conquistato l'ambita statuetta per il Miglior film e/o Miglior regia per tirare le somme su quanto machismo ancora imperversi a Hollywood e dintorni. Ben venga il movimento #MeToo, ma non si può aspettare uno scandalo per pretendere ciò che spetterebbe alle donne di diritto e non come concessione-reazione dopo un fatto. Bisognerebbe avere il coraggio di dirlo apertamente: nel 2019 le donne sono ancora tragicamente discriminate, e questo senza andare a scomodare fantomatiche e inesistenti nazioni di psicopatici. E' sufficiente guardare in casa nostra e dentro le mura domestiche.
In casa Ginsburg invece, a differenza dell'ipocrisia maschile MadeInDagenhamiana di casa O'Grady (dove la signora Rita è solo in apparenza spalleggiata dal marito), c'è un vero sostegno. Moglie e marito sono una grande squadra. Lei sostiene lui, lui sostiene lei. Questa dovrebbe essere la base di ogni civiltà. Questo dovrebbe essere l'abc di ogni nazione che è fatta dalle famiglie, ed è inutile sorprendersi se anni dopo i maschietti uccidono donne perché lasciati, se fin dalla nascita ci inculcano che noi uomini valiamo più delle donne. Si comincia dal basso. Si comincia dalla tenera età, quando i bambini hanno i giocattoli legati a professioni, le bambine alla cucina. Il mondo si cambia dalle radici.
Regista di celebri pellicole come The Peacemaker (1997, con George Clooney e Nicole Kidman), Deep Impact (1998 con Robert Duvall e Tea Leoni) e Un sogno per domani (2000, con Kevin Spacey ed Helen Hunt), questa volta Mimi Leder si affaccia alla cronaca della vita vera, portando sul grande schermo la storia di una Donna che negli Stati Uniti è più famosa dei rapper. Forte della sceneggiatura di Daniel Stiepleman, il film è un assolo corale di parole e azioni. Una giusta causa (2018) va diritto alla mente delle persone, incidendo nel cuore la sacra fiamma della giustizia umana. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder) è un costante richiamo al senso di giustizia che lotta per costruire una strada più equa dentro ciascuno di noi.
"Ehi coglione, baci tua madre con quella bocca?" inveisce Jane Ginsburg contro un rozzo operaio che si permette di sbeffeggiare lei e sua mamma con i classici epiteti sessuali. Jane ha in casa un modello femminile che combatte per le proprie cause. Jane è una giovane donna protagonista di un mondo in fermento e a cui vuole dare il proprio contributo. Generazioni unite si aiutano a vicenda. Generazioni di donne, uomini, studenti universitari e teenager imbracciano l'arma più pericolosa per una società: il cambiamento. Si deve sempre lottare per le giuste cause. Non bisogna mai smettere di lottare per una giusta causa. Una giusta causa (2018, di Mimi Leder), al cinema e nella vita di tutti i giorni.
Una giusta causa - Marty (Armie Hammer) e Ruth (Felicity Jones) |
Una giusta causa - Ruth Bader Ginsburg (Felicity Jones) sui banchi di Harvard |
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