Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) con neonato Libero Camillo Antonio... Camillo! |
domenica 26 marzo 2017
Peppone, cuore di padre e compagno
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Peppone
Ubicazione:
Fondamente Nove, 6593, 30122 Venezia, Italia
venerdì 24 marzo 2017
David di Donatello 2017, ciak! Si premia...
... è tutto pronto per la 61° edizione dei David di Donatello |
di Luca Ferrari
7 minuti (di Michele Placido), In guerra per amore (di Pierfrancesco Diliberto), L'estate addosso (di Gabriele Muccino), La pazza gioia (di Paolo Virzì) e Piuma (di Roan Johnson), sono loro i 5 film in lizza per il Premio David giovani, ossia quei film selezionati da una giuria di studenti universitari e non. Ed è da qui che cineluk- il cinema come non lo avete mai letto vuole iniziare il suo servizio sulla 61° edizione dei David di Donatello che avrà luogo a Roma lunedì 27 marzo, presentata anche quest'anno da Alessandro Cattelan.
Parto da qui perché il presente e futuro della settima arte passano tassativamente per il mondo dei giovani ed è interessante vedere che nella cinquina selezionata vi siano tematiche forti, a cominciare dal dramma del lavoro trasposto dal teatro “via” Placido, passando poi a un altro degli eterni mali italiani, la mafia (Pif). Altre proposte toccano il momento cruciale del passaggio dalla scuola dell'obbligo al mondo degli adulti (Muccino e Piuma), per poi selezionare quella che è stata una delle migliori pellicole e meglio interpretata della stagione passata, ossia La pazza gioia.
Dopo l'abbuffata dell'anno passato di Lo chiamavano Jeeg Robot (di Gabriele Mainetti) e la doppietta Miglior film e Miglior sceneggiatura di Perfetti sconosciuti (di Paolo Genovese), lunedì 27 marzo saranno in tre in particolare le pellicole a scontrarsi per aggiudicarsi il maggior numero degli Oscar italiani: Indivisibili (di Edoardo De Angelis), La pazza gioia (di Paolo Virzì) e Veloce come il vento (di Matteo Rovere), rispettivamente con 17, 17 e 16 nomination.
Sicuro protagonista della serata sarà proprio quest'ultima pellicola, in gara per quasi tutti i premi più importanti: Miglior film, regia, sceneggiatura originale, Migliore attrice protagonista (la giovane Matilda De Angelis), Migliore attrice non protagonista (Roberta Mattei) e ovviamente lui, Stefano Accorsi, in lizza per il titolo di Miglior attore protagonista. Una performance quella dell'attore bolognese nei panni dell'ex-pilota tossico Loris detto “il ballerino”che con tutta probabilità gli farà bissare il successo ai David dopo quello ottenuto nel 1999 per Radio Freccia.
Molto agguerrita anche la sfida per il Miglior film dell'Unione Europea, dove il cinema britannico è in pole position con tre opere in gara. La denuncia sociale di Ken Loach con Io, Daniel Blake (palma d'Oro a Cannes) se la dovrà vedere con il romantico Sing Street (di John Carney), cuore adolescenziale e canterino d'Irlanda. Insieme a loro il meno pungente Florence (di Stephen Frears con Meryl Streep e Hugh Grant), Truman – Un vero amico (di Cesc Gay) e l'anomalo (considerato chi è il regista) Julieta (di Pedro Almodovar).
Veloce come il vento (2016, di Matteo Rovere) - Giulia (Matilda De Angelis), Loris (Stefano Accorsi) e Tonino (Paolo Graziosi) |
Piuma (2016, di Roan Johnson) - i coniugi Franco (Sergio Pierattini) e Carla (Michela Cescon) |
Fai bei sogni (2016, di Matteo Bellocchio) - Massimo (Valerio Mastandrea) |
L'estate addosso (2016) il cast del film con al centro il regista Gabriele Muccino |
La pazza gioia - il regista Paolo Virzì tra le attrici protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti |
Ubicazione:
Cannaregio, 30100 Venezia, Italia
martedì 21 marzo 2017
David Lynch, l'arte di fare cinema
David Lynch, The Art Life |
di Luca Ferrari
Immagini. Visioni. Cine-costruzioni. Pennellate. Un mondo in costante trasposizione. È stata un'esperienza visivo-mentale davvero notevole quella vissuta al Teatrino di Palazzo Grassi a Venezia durante la rassegna David Lynch, tra arte e cinema (16-18 marzo). Una tre giorni scandita da incontri e le proiezioni del documentario The Art Life (2016, di Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm), incentrato sul regista americano, la I stagione della serie I segreti di Twin Peaks e il film Strade perdute (1997, di David Lynch) con Patrcia Arquette, Bill Pullman e Robert Loggia, tutto rigorosamente in lingua originale sottotitolato in italiano.
Prima dei (miei) cult Point break e Il corvo. Molto prima dell'infatuazione totale per la settima arte, ci fu lei, la serie di Twin Peaks. I segreti di Twin Peaks (1990-91). E che cosa ne avrei mai potuto sapere (capire) del mondo dal di dentro del mio claudicante agglomerato di globuli rossi e un cesto fin troppo pensate di pensieri impauriti di acerbo quattordicenne? Niente di niente. O forse assai, quanto bastava in ogni caso per comprendere lo sfregio di certi silenzi fraternizzare con le inquietudini delle vittime del demone Bob. Io ero già su questo Pianeta quando venne trasmessa in Italia la serie di Twin Peaks.
“Nessuno guardava la televisione, ma nessuno si perdeva una puntata di Twin Peaks” Ha raccontato Emanuela Martini, direttrice del Torino Film Festival, nel corso della presentazione della 2° giornata della rassegna dedicata alla suddetta serie. La celebre giornalista-critico cinematografica ha poi proseguito rivelando ulteriori aneddoti come la presenza (per niente casuale) dei un pettirosso nella sigla e similitudini con le precedenti opere del resista stesso.
Una serie con rarissimi precedenti di vero spessore, ma dalla cui uscita in poi ne sarebbero venute sempre di più fino a un'autentica overdose qualitativa dell'era contemporanea. “Oggi il grande cinema si trova nelle serie” ha spiegato Emanuela, “Ce più tempo e si può osare di più”. Altro punto cruciale, David Lynch era un regista già affermato quando gli venne proposto di girare la serie, della quale sarà costretto dalla Produzione a rivelare il nome dell'assassino molto prima dell'ultima puntata.
Già regista di successo di Eraserhead – La mente che cancella (1977), The Elephant Man (1980) e Velluto blu (1986) nonché fresco di Palma d'oro al Festival di Cannes per il film Cuore selvaggio (1990) con Nicolas Cage e Laura Dern, all'inizio degli anni Novanta, insieme al fido Mark Frost, David Lynch si apprestava a segnare per sempre il corso del piccolo schermo con un prodotto oscuro e ambientato nella provincia solitaria.
Venezia, teatrino di Palazzo Grassi (16-18 marzo 2017). Sono stati tre giorni davvero intensi per chi come il sottoscritto ha assistito a tutto il programma. Curiosamente, il grosso del pubblico si è concentrato sul prologo e l'epilogo della manifestazione, ossia il documentario e il film, lasciando Twin Peaks a pochi affezionati. Non è un caso che alla domanda della Martini su quanti in sala avessero visto la serie, in pochi abbiano risposto affermativo.
A dare il via, David Lynch – The Art Life, un viaggio nell’intera vista del regista, curiosamente un corpo estraneo rispetto alla rivoluzione degli anni 60. Basterebbe questo elemento per comprendere la natura personale dell'uomo. Le mode sono per gli altri, non per lui. Ecco allora David assecondare il fuoco dell'arte che lo accompagna nel cammino della sua vita. Una prima famiglia, la disapprovazione paterna nel voler insistere a creare e poi il grande passo. I primi film e la consacrazione come regista di culto.
Lui è sempre lì, sigaretta in bocca a raccontarsi. Un viaggio una cui unica visione non può essere sufficiente per comprenderne il talento né l'opera stessa ma Venezia ha risposto ancora una volta, "presente!". Dopo l'anteprima nel celebre palazzo a due passi dal Canal Grande infatti, il documentario David Lynch - The Art Life sarà in visione al Cinema Rossini nelle giornate di martedì 28 e mercoledì 29 marzo (sala 2 h. 17.40/ 19.50).
Arriva il momento più atteso. “La madre di tutte le serie d'autore”, come spiega Emanuela. Presto attenzione ma è come essere sullo Space Shuttle. Ti senti ripetere dalla NASA tutte le istruzioni possibili e immaginabili ma vuoi solo partire e finalmente arriva quel momento. Ma ce ancora da attendere. L'ospite racconta dettagli “David e Mark erano in un bar a Los Angeles e lì ebbe la visione del cadavere di Laura Palmer avvolto nella plastica, scena che apre la puntata pilota Passaggio a Nord-Ovest.
Più di tanti altri, ogni stimolo per David Lynch è un pezzo di resoconto. Un tovagliolo sbrodolato di latte può diventare il rifiuto a comprendere un qualche destino. Diversità. Insubordinazione. Scenica ammirazione dei propri monumenti interiori. Nel mondo di David Lynch c'è chi preferisce rivolgere le domande ai ceppi e interrogando il soprannaturale, altri rispondo al citofono delle ambivalenze senza condanne, ma al massimo ulteriori visioni. Adesso la sfida è col silenzio dell'attesa e so già di non essere il solo a fremere all'idea...
Strade perdute - Alice Wakefield (Patricia Arquette) |
I segreti di Twin Peaks - (da sx) lo sceriffo Truman (Michael Ontkean), l'agente speciale Cooper (Kyle MacLachlan), Hawk (Michael Horse) e il vice-sceriffo Andy Brennan (Harry Goaz) |
David Lynch - The Art Life e Luca Ferrari, il giornalista-critico cinematografico, autore di cineluk - il cinema come non lo avete mai letto |
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venerdì 17 marzo 2017
Il diritto di contare contro ogni discriminazione
Il diritto di contare - (da sx) Dorothy (Octavia Spencer), Katherine (Taraji P. Henson) e Mary (Janelle Monáe) |
di Luca Ferrari
I bagni separati per colore della pelle. Una seconda e più piccola caffettiera collocata (di nascosto) appositamente affinché certa gente non sporcasse le tazze dei bianchi. Scuole accessibili solo a una razza. La legge che giustificava la segregazione razziale. No, non siamo nel Medioevo o in uno di quei paesi tanto invisi all'attuale inquilino della Casa Bianca, questa era “banalmente” l'America degli anni '60. Ed è in quel mondo che tre coraggiose donne fecero la storia, lasciando il segno fin sullo spazio. Il diritto di contare (2016, di Theodore Melfi).
Katherine Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe) sono tre brillanti matematiche nella Virginia segregazionista, operanti nell'area della NASA. A dispetto delle indubbie capacità, in quanto negre, non hanno (ovviamente) accesso alle posizioni che gli spetterebbero. L'ascesa però di Yuri Gagarin nei cieli del Pianeta Terra spinge gli USA a una folle corsa contro il tempo per rispondere a dovere e conquistare la Luna, badando meno alle catene.
Katherine era una bambina prodigio ma non ha potuto accedere a quel mondo che i suoi coetanei più “pallidi” al contrario hanno potuto beneficiare. Adesso però le cose stanno cambiando. A dispetto dell'astiosità razzista di Vivian Mitchell (Kirsten Dunst), la donna viene mandata a lavorare nella centrale operativa di Al Harrison (Kevin Costner), dove si studia come mandare il primo astronauta americano a fare un'orbita completa attorno alla Terra e così pareggiare il conto con l'Impero del Male.
Lì dentro, in quel grandissimo ufficio ci sono uomini e una donna, tutti bianchi. Katherine è stata chiamata perché sa fare i conti come nessuno ma se la strada per le stelle è tortuosa e complicata, nulla a che vedere con i preconcetti e il becero razzismo di cui è vittima anche solo negli sguardi dei suoi colleghi, primo fra tutti il giovane Paul Stafford (Jim BigBang Parsons), braccio destro di Harrison.
Katherine sopporta e resiste, ma alla fine esplode. Accusata di assenteismo dal capo in persona, grida esausta tutta la fatica di ogni giorno anche solo per andare alla toilette poiché quella dei negri è parecchio lontana. Il tappo salta. Katherine alza la voce. Non vuole nessun trattamento speciale, semplicemente vuole gli stessi diritti. Com'è possibile che in quella che viene spacciata la più grande democrazia del mondo la gente di colore subisca una simile discriminazione?
Anni '60. Il mondo degli Stati Uniti era in fermento. Alla Casa Bianca si era insediato il democratico John Kennedy. I diritti civili sono nell'agenda presidenziale ma la strada sarà ancora lunga e imbrattata di sangue. Martin Luther King così come molti attivisti dei diritti civili saranno eliminati, vedi anche il violento episodio nella contea di Neshoba poi raccontato da Alan Parker nel drammatico e grandioso Mississippi Burning – Le radici dell'odio (1987).
Il razzismo di allora così come quello moderno viene ridimensionato. Lo si confina nelle ideologie di una minoranza inoffensiva ma non è così. Ancora oggi, in alcuni stati dell'America del Nord, la drammatica piaga culturale del razzismo è tragicamente in forma smagliante. Film come 12 anni schiavo (2013, di Steve McQueen), The Butler (2013 di Lee Daniels), Selma (2014, di Ava DuVernay) fino al più recente Loving (2016, di Jeff Nichols), parlano tutti la stessa lingua. Quella della segregazione.
Il mondo cinema potrà anche ispirare e guadagnare le prime pagine per qualche giorno con le dichiarazioni dei suoi interpreti ma è il pensiero di una minoranza, non priva di contraddizioni. Agli Oscar 2016 fu polemica per l'assenza di candidati di colore, quest'anno, quasi sembrasse una sorta di ricompensa, c'è stato boom di nomination e premi vinti tra cui Miglior film e miglior sceneggiatura non originale (Moonlight), Miglior attore non protagonista (Mahershala Ali – Moonlight, questi presente anche nel film in recensione) e Miglior attrice non protagonista (Viola Davis – Barriere).
Lo stesso Il diritto di contare ha ricevuto tre nomination per il Miglior film, la Miglior attrice non protagonista (Octavia Spencer) e la Migliore sceneggiatura non originale (Theodore Melfi e Allison Schroeder). Ma più che la Spencer, sempre troppo confinata in certi ruoli, è stato assurdo non vedere nella cinquina della Miglior attrice protagonista Taraji P. Henson, personaggio ben più fuori dalle righe e priva di quella venatura di vittima-rabbiosa che al contrario contraddistingue troppo la sua collega.
Basato su una storia vera, Il diritto di contare spinge un po' sull'acceleratore della finzione sul fronte della discriminazione. Non che non ci fosse in quegli anni, anzi (era molto peggio), semplicemente all'interno della NASA non era così rigida come il regista faccia vedere sul grande schermo. La scena però di Al-Kevin Costner con accetta di mano (non svelo per cosa se non spoilero) fa bene al morale. Si davvero bene. Distribuito in Italia dalla 20th Century Fox, il titolo originale è Hidden Figures, molto più azzeccato della versione italiana.
Saranno in molti (spero) ad andare a vedere Il diritto di contare (2016, di Theodore Melfi) e di sicuro in mezzo al pubblico ci saranno anche persone che applaudiranno queste coraggiose donne salvo poi schifare "i loro negri personali" che oggi in Italia e in Europa sono gli immigrati, i cosiddetti clandestini, etc. Il cinema fa il suo dovere, le politiche e i movimenti civili molto meno, nascondendosi dietro proclami e manifestazioni i cui risultati sono lo zero assoluto.
Dalla Francia all'Olanda (al momento respinto), passando per Serbia, Ungheria e la nobile Italia, si sta cercando in tutti i modi di alzare i muri perché alla fine il solo razzismo da biasimare è quello degli altri. Oggi i negri emarginati affollano le periferie e le scuole. Forse qualcuno riuscirà a emergere ma dovendo sopportare quanto e soprattutto, perché? È la domanda che più mi angoscia: perché? Perché?
È sufficiente un credo religioso, un'ideologia politica, il colore della pelle o ancor più tristemente, un'appartenenza culturale-nazionale per discriminare e umiliare un essere umano? Si, è sempre stato così e lo è tutt'ora, tanto nell'Europa illuminista così come nel resto del mondo, Medio Oriente e Stati Uniti inclusi Oggi chi accusa di essere nazista ha in seno leggi che proibiscono di parlare di genocidio pena il carcere, e questo come lo vogliamo chiamare?
La storia non cambia perché il sistema di sfruttamento è lo stesso. Troppo facile sorridere per l'happy end delle tre matematiche afroamericane quando nel terzo millennio sono solo cambiati i volti degli ultimi e degli emarginati. Il diritto di contare (2016, di Theodore Melfi) è una pietra che dovrebbe colpire al cuore, la mente e le mani. Potremmo poi lasciare sanguinare il nostro corpo oppure sanarlo e schierarci al fianco di chi adesso non è in grado di difendersi. Possiamo unirci alla massa o reagire e cambiare il mondo per sempre.
Il diritto di contare - Paul (Jim Parsons), Katherine (Taraji P. Henson) e Harrison (Kevin Costner) |
Il diritto di contare - Katherine Johnson (Taraji P. Henson) in azione |
Ubicazione:
Cannaregio, 30100 Venezia, Italia
lunedì 13 marzo 2017
David Lynch, sta accadendo a Venezia
I segreti di Twin Peaks - Bob (Frank Silva) e l'agente Cooper (Kyle MacLachlan) |
di Luca Ferrari
Il fatidico giorno sta ormai per arrivare. Domenica 21 maggio 2017 sbarcherà sul canale di Sky Atlantic la III stagione della serie I segreti di Twin Peaks, diretto dal regista David Lynch. A più di 25 anni dalla messa in onda della prima puntata, la città di Venezia omaggia il geniale regista statunitense con la rassegna David Lynch tra arte e cinema, in programma da giovedì 16 a sabato 18 marzo presso il Teatrino di Palazzo Grassi. Una tre giorni scandita da incontri e proiezioni in lingua originale (con sottotitoli in italiano).
Questo il programma dettagliato. Ingresso libero fino a esaurimento posti:
Giovedì 16 marzo
- h. 20.30 - incontro con Andrea Bellavita, critico cinematografico: David Lynch tra arte e cinema
- h. 21 - proiezione del documentario The Art Life (2016, 90') realizzato da Rick Barnes, Jon Nguyen e Olivia Neergaard-Holm e distribuito da Wanted
Venerdì 17 marzo
- h. 20.30, Twin Peaks: la madre di tutte le serie d'autore - Incontro con Emanuela Martini, direttrice del Torino Film Festival
- h. 21 proiezione degli episodi 1, 2, 3 e 4 della I serie de I segreti di Twin Peaks
- Pilota/ Passaggio a Nord-Ovest (Pilot/ Nothwest Passage)
- Tracce verso il nulla (Traces to Nowhere)
- Lo Zen, oppure l'abilità di catturare un killer (Zen, or the Skill to Catch a Killer)
- Riposa nel dolore (Rest in Pain)
- h. 17 proiezione degli episodi 5, 6, 7 e 8 della I serie de I segreti di Twin Peaks
- L'uomo con un solo braccio (The One Armed Man)
- I sogni di Cooper (Cooper's Dreams)
- Tempo di realizzazione (Realizaztion Time)
- L'ultima sera (The Last Evening)
- h. 21 - proiezione del film Strade Perdute (1997, di David Lynch)
David Lynch è un regista atipico. Un artista che seppe ridisegnare l'universo delle serie televisive con un prodotto nuovo e in netto contrasto con il trend (più solare) dell'epoca. David Lynch (Eraserhead - La mente che cancella, The Eelephant Man, Velluto blu) è anche l'uomo dietro la telecamera del cult Mulholland Drive (2001, con Naomi Watts), di recente votato in un sondaggio dell'emittente britannica BBC come il "Miglior film di questo (terzo) millennio" secondo 177 critici cinematografici di tutto il mondo.
Film di nicchia o comunque poco commerciali, per David Lynch è sempre stato l'abc. All'inizio dell'ultima decade del '900 poi, ecco sbarcare I segreti di Twin Peaks. Un ultimo messaggio alla fine della II stagione e un arrivederci a fra 25 anni ma erano in pochi a crederci davvero. Con l'avvicinarsi della data però, e complice anche (soprattutto?, ndr) l'ossessivo e redditizio trend del momento dei sequel di opere '80-90, prende sempre più corpo la possibilità di vedere la terza stagione. Così, invece di lasciare I segreti di Twin Peaks ad auto-alimentarsi tra mito e le ombre più demoniache, l'opera resusciterà insieme ad alcuni dei suoi principali protagonisti.
La III stagione della serie I segreti di Twin Peaks è pronta a conquistare il piccolo schermo nell'epoca di internet. Una scelta questa che ha fatto molto discutere e diviso critica e pubblico, come sempre quando opere indelebili vengono riportate in vita rischiando di minarne il ricordo più autentico. Oggi Palazzo Grassi ha voluto fare un grandissimo regalo ai fan di Mr Lynch, riproporre la macabra narrazione di quella prima indimenticabile stagione. La migliore, e di gran lunga superiore alla seconda, più confusionaria e con troppi (esasperati) colpi di scena.
Ultimo film diretto dal regista di Missuoula (Montana, USA) classe '46, Inland Empire - L'impero della mente (2006), film presentato in anteprima alla 63ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, con protagonisti Laura Dern, Harry Dean Stanton, Justin Theroux e Jeremy Irons. Dal 16 al 18 marzo in laguna si parlerà di David Lynch. Si guarderanno le opere di David Lynch. Venezia come la cittadina di Twin Peaks è un mondo a parte. Stingetevi saldi alla vostra anima, ne avrete bisogno.
David Lynch, tra arte e cinema - Venezia, 16-18 marzo |
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mercoledì 8 marzo 2017
Lo luce sugli oceani, lo strazio dell'amore
La luce sugli oceani - Tom (Michael Fassbender) e la moglie Isabel (Alicia Vikander) |
di Luca Ferrari
Il vento soffia spietato. Il faro illumina l'oscurità. Un uomo ha visto troppo orrore per mano umana e adesso non ne vuole più sapore. La forza dell'amore però è capace di lenire le ferite più atroci e mutare il corso degli eventi. Così, anche le creature con più silenzi e cicatrici saranno un giorno capaci di aprirsi ancora e guardare alla luce di nuova vita. Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo (2012) di M.L. Stedman e presentato in concorso a Venezia73, sbarca oggi sul grande schermo La luce sugli oceani (2016, di Dereck Cianfrance).
Sopravvissuto agli orrori della I Guerra Mondiale, Tom Sherbourne (Michael Fassbender) è deciso ad accettare l'isolato incarico di guardiano del faro in un isolotto disabitato dell'Australia occidentale. Non ci sarà nessuno a parte lui. Arrivato all'ultimo avamposto civile, prima di imbarcarsi, fa la conoscenza di Isabel Graysmark (Alicia Vikander). Il feeling è immediato e la giovane donna inizia una corrispondenza epistolare con lui fino all'epilogo più dolce delle nozze, trasferendosi dunque in questo mondo a parte.
Tom e Isabel sono innamorati. Il desiderio di un figlio è forte ma qualcosa non va mai per il verso giusto. Anche quando la gravidanza pare procedere, il finale è sempre lo stesso. Isabel è distrutta e l'assenza di una qualsiasi anima con cui confrontarsi e parlare, a parte il marito, non la aiuta di certo. Poi un giorno, sull'isoletta si arena una barca. C'è un uomo morente e una neonata. L'amore e la disperazione spingono la coppia ad adottarla, facendo finta che sia figlia loro. E se qualcuno lo dovesse scoprire?
Isabel non ci vuole neanche pensare ma Tom inizia a indagare fino a scoprire chi sia la vera madre della “loro” bambina, ossia Hannah Roennfeldt (Rachel Weisz). Cosa fare a questo punto? La gioia di una è il dramma per l'altra. Tom è un ex-soldato. È abituato ad agire ligio seguendo gli ordini. Tom sa bene che se la verità dovesse venire a galla, per Isabel sarebbe uno strazio insopportabile e pure la bambina, che cosa le succederebbe? Ormai gli anni sono passati e sono lui e Isabel i suoi genitori.
Trattato con eccessiva superficialità da pubblico e stampa alla 73° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, La luce sugli oceani racconta il dramma di due anime, senza cedimenti alla rabbia ma fondendosi nell'amore più totale. A tratti Macbethiano, Michael Fassbender (Bastardi senza gloria, Shame, Steve Jobs) regala l’ennesima sontuosa interpretazione, sostenuto nello strazio dalla sua compagna di set (e pure nella vita) Alicia Vikander, premio Oscar 2016 come Miglior attrice non protagonista in The Danish Girl (2015), anch'esso presentato in laguna.
Nel solco del dramma, non è da meno Rachel Weisz (Il grande e potente Oz, Youth - La giovinezza, La verità negata). Londinese classe 1970 e premio Oscar come Miglior attrice non protagonista 2006 per l'interpretazione in The Constant Gardener – La cospirazione, il suo ruolo è quello “quasi” della cattiva, che vuole riavere sua figlia da chi gliel'ha salvata/strappata. Lei è la madre legittima della bambina. La piccola era abituata ad essere chiamata Lucy, ma il suo vero nome è Grace Roennfeldt. Un dramma nel dramma. Un dolore nel dolore. Saltano gli equilibri. Tutti. L'amore si coagula. La sofferenza colpisce in totale anarchia.
Cast impeccabile per una storia non facile da raccontare dove ogni scelta diventa una spina nell'esistenza di un altro. Come in guerra, la linea tra il giusto e sbagliato si dipana fino a scomparire. Ci sono solo esseri umani che sopraffatti dal proprio vissuto, cercano la pace e lottano con i denti (e le lacrime) perché nessuno gliela porti via. La luce sugli oceani (2016, di Dereck Cianfrance).
parla di scelte impossibili che alla fine bisogna fare. Qualcuno soffrirà più degli altri. Qualcun altro subirà le decisioni altrui.
Metafora di un mondo che non vuole più concedere spazio alla solitudine né all'amore più intenso e sofferto, un uomo e una donna scelgono il proprio destino. Non c'è nessuno al loro fianco. Le braccia robuste di Tom, il cuore caldo di Isabel. Loro due sotto il peso di una gelida pioggia che li percuote. Non c'è altro. Parafrasando la poetica I am mine della rock band americana Pearl Jam, “L'oceano è pieno perché tutti stanno piangendo/ La luna piena chiama a gran voce l'alta marea e i sentimenti/ Il dolore aumenta quando il dolore non viene lenito/ Voglio solo i nostri cuori/ Noi siamo qui”.
La luce sugli oceani - Isabel Sherbourne (Alicia Vikander) e la piccola Lucy (Florence Clery) |
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venerdì 3 marzo 2017
Beata ignoranza, comunicare è scegliere
Beata ignoranza - Ernesto (Marco Giallini), Nina (Teresa Romagnoli) e Filippo (Alessandro Gassmann) |
di Luca Ferrari
Ernesto (Marco Giallini) è un sinistrorso professore d'italiano vecchio stampo. Rigido. Ama la poesia e la letteratura antica. I computer per lui sono delle scatole per giovinastri e perdigiorno. Filippo (Alessandro Gassmann), docente destrorso di matematica, insegna direttamente con gli smartphone. Il suo tempo libero è tutto incentrato sul mondo dei social network. Le due facce del nuovo millennio si scontrano sul sentiero della Beata ignoranza (2017, di Massimiliano Bruno).
Ernesto e Filippo scorrono sui rispettivi binari. Un tempo però erano amici, fin da bambini. Ma come nel più classico dei drammi Shakespeariani, una donna li ha divisi e ora, ancora una volta, tornerà dal passato per rimetterli di fronte l'un "contro" l'altro. Nina (Teresa Romagnoli) è figlia biologica di Filippo, che non se n'è mai curata. È stata cresciuta dall'ignaro Ernesto dalla quale fu abbandonata adolescente una volta scoperta la verità, con la complicità tecnologica di una email.
Complice una sfuriata tra i due finita in rete, la giovane figlia videomkaer, più matura dei due padri messi insieme, propone loro uno scambio sperimentale per un documentario: Ernesto dovrà entrare nel mondo degli smartphone e dei social, Filippo dovrà rinunciare ad aggiornare il proprio status per una settimana, utilizzando solo un vecchio Nokia (roba da museo ormai, ndr). Ovviamente il tutto continuando a fare la propria vita senza chiudersi in un eremo.
Ha inizio la sfida, che è anche un viaggio per entrambi. Non è solo il cimentarsi con un nuovo mondo ma è anche uno scoprire qualcosa di troppo sopito dentro ciascuno. Un risveglio che sempre di più non siamo in grado di operare da soli. C'è chi ha bisogno di un amico, chi di uno psicologo e chi di una rottura. ;Ma se anche voi arrivaste al punto in cui una figlia vi dice piangendo che vorrebbe solo un vero rapporto col proprio padre, come reagireste?
“Al mio segnale, scatenate la condivisione”. Lo si potrebbe sintetizzare così, a livello popolare, questo inizio di terzo millennio. Pochi film (forse nessuno) come Il gladiatore (2000, di Ridley Scott) sono riusciti a entrare nel vocabolario quotidiano con più di una citazione e allo stesso tempo nulla come i social network hanno mutato ogni aspetto della vita sociale e lavorativa delle persone.
Oggi, nel 2017, siamo a un punto molto critico. Se le vecchie generazioni (quarantenni inclusi) ricordano con nostalgia il mondo naif delle cartoline, le lettere scritte a mano e il telefono di casa, tutti quelli venuti dopo sono ormai a filo diretto con internet. Hanno tutto a portata di clic. Le comunicazioni passano sui social network prima ancora (quasi) dei rapporti umani. Quanto durerà? Ci sarà un'inversione?
I personaggi interpretati da Marco Giallini (ACAB, Confusi e felici, Loro chi?) e Alessandro Gassman (Il nome del figlio, Gli ultimi saranno gli ultimi, Onda su onda) si punzecchiano ma in entrambi è evidente l'incapacità di comunicare, e questo a prescindere dalla devozione per Ugo Foscolo o Mark Zuckeberg che sia. Ognuno vi nasconde le proprie debolezze. Ognuno usa la propria cultura e/o esternazione come scudo “CaptainAmericano” per affrontare il mondo. Eppure, a dispetto degli anni passati, nessuno dei due è ancora davvero capace di gestire una vera relazione sentimentale.
La coppia Gassman/Giallini funziona che è un piacere. Visti sotto la stessa regia in Tutta colpa di Freud (2014, di Paolo Genovese) e nel più recente Se Dio vuole (2015, di Edoardo Falcone), la forza del film, oltre alla grandissima attualità (vedi anche Perfetti sconosciuti, 2016 di Paolo Genovese), può contare su dei comprimari a dir poco grandiosi, a cominciare dal cameraman Nazareno (Luca Angeletti) che ha la brillante idea di farsi chiamare “Nazi”, pur non essendo minimamente simpatizzante del Terzo Reich.
Aldilà degli aspetti più esilaranti come il centro di recupero per smartphone-dipendenti, fenomeno che di sicuro si andrà ad acuire nei prossimi anni, è indubbio che Beata ignoranza (2017, di Massimiliano Bruno) mostri come il mondo non cambi davvero, ma muti solamente i propri strumenti. L'incomunicabilità umana è uno dei tanti mali sottovalutati di ogni secolo. Per cambiare servono persone e volontà, il resto, poesia o post che siano, sono solo degli strumenti a disposizione dei soggetti.
Beata ignoranza (2017, di Massimiliano Bruno) |
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