Aspirante vedovo - Alberto Nardi (Fabio De Luigi) e Susanna Almiraghi (Luciana Littizzetto) |
di Luca Ferrari
Amarezza. Catena di comando. Cafonaggine. Nel consueto siparietto del provincialismo italiano di coppia, anche nel mondo dei lucrosi affari la dinamica non cambia. La domanda da porsi è semmai questa: ma che ci fanno due mattatori di risate come Luciana Littizzetto e Fabio De Luigi nei cinici e amari panni della spregiudicata business woman Susanna Almiraghi e l’incapace Alberto Nardi?
I due protagonisti si saranno anche divertiti a girare Aspirante vedovo (2013, di Massimo Venier), come hanno dichiarato, qualcuno dall’altra parte del grande schermo molto meno. I tempi di Alberto Sordi e Franca Valeri (interpreti dell’originale Il vedovo di Dino Risi) sono lontani. Magari è cambiato poco (non abbastanza) da quell’Italia di allora, ma sono comunque lontani (1959). Forse perché all’epoca c’erano ancora margini di miglioramento. Oggi, no. Il reale è ancora troppo “qualunquemente” alfiere dei peggiori vizi da padroncino italiano.
Fabio De Luigi sembra un incrocio tra l'imbranato Bum Bum Picozza, il finto inviato delle Iene in missione per la Gialappa’s Band e l'odioso politico Pietro Paolo Gandi, "inconsapevole" protagonista di Scherzi ad Arte (sempre made in Gialappa's). Poco convincente anche la simpatica Luciana, decisamente più a suo agio nei panni di mina controllata/incontrollabile alla corte di Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che fa.
Tra i presenti c’è anche un cavallo di razza come Bebo Storti, qui nel talare di un vescovo non proprio pio, e capace di numeri ben più sostanziosi. Invece fa il suo compitino da anonima sufficienza. Sulla stessa linea anche lo Stucchi di Alessandro Besentini.
Chiamatelo effetto Cetto La Qualunque, il personaggio lanciato dal comico pugliese Antonio Albanese. Gag che avrebbero potuto far sorridere vent’anni fa, oggi sono qualcosa di molto tragicamente realistico e anche quando dovresti, avresti voglia di farti una bella risata, non te la fai. Non ti viene. Ti resta l’amaro in bocca perché ripensi al sempre più deludente presente. Così resti lì. Al buio. In attesa che qualcosa di realmente spiritoso arrivi, ma non succede.
Aspirante vedovo continua a mostrarci un’Italia di cui non c’è più niente, ma proprio niente, di cui sogghignare. Ognuno tiranneggia su altri. C’è chi (Almiraghi) è capace e ha una posizione di potere, e chi (Nardi) è lì solo per convenienza e vorrebbe sempre avere di più. E quando ti accorgi che perfino un autista sfruttato, non appena guadagna un millimetro di posizione, risponde da cafone a una gentile richiesta di un anziano giardiniere per una questione di parcheggio, capisci che la misura è davvero colma.
Finanza e moralità, feeling non c’è mai stato. O quasi. Nella seconda metà anni ’90 ci sembrava tutto così diabolicamente irreale. Oggi è angelicamente normale nella sua volgarità. Anche il Supremo per eccellenza, lo spietato demente Carcarlo Pravettoni, il mitico personaggio portato sul piccolo schermo da Paolo Hendel e riproposto di recente su L’ultima parola (programma televisivo condotto dal giornalista Gianluigi Paragone), ha perso molto del suo fascino. L’impensabile grottesco è il pane gonfio che passano in questo carcere economico-italiano a cielo aperto.
Si cari padri e nonni, molto e molto più dei vostri tempi. Voi avevate la speranza e la convinzione di poter creare un mondo nuovo o quanto meno godervi di più quello che restava del vecchio. Noi abbiamo la consapevolezza che non ci sarà nulla di tutto ciò. O quanto meno non saremo noi a vederlo.
Il trailer di Aspirante vedovo
I due protagonisti si saranno anche divertiti a girare Aspirante vedovo (2013, di Massimo Venier), come hanno dichiarato, qualcuno dall’altra parte del grande schermo molto meno. I tempi di Alberto Sordi e Franca Valeri (interpreti dell’originale Il vedovo di Dino Risi) sono lontani. Magari è cambiato poco (non abbastanza) da quell’Italia di allora, ma sono comunque lontani (1959). Forse perché all’epoca c’erano ancora margini di miglioramento. Oggi, no. Il reale è ancora troppo “qualunquemente” alfiere dei peggiori vizi da padroncino italiano.
Tra i presenti c’è anche un cavallo di razza come Bebo Storti, qui nel talare di un vescovo non proprio pio, e capace di numeri ben più sostanziosi. Invece fa il suo compitino da anonima sufficienza. Sulla stessa linea anche lo Stucchi di Alessandro Besentini.
Chiamatelo effetto Cetto La Qualunque, il personaggio lanciato dal comico pugliese Antonio Albanese. Gag che avrebbero potuto far sorridere vent’anni fa, oggi sono qualcosa di molto tragicamente realistico e anche quando dovresti, avresti voglia di farti una bella risata, non te la fai. Non ti viene. Ti resta l’amaro in bocca perché ripensi al sempre più deludente presente. Così resti lì. Al buio. In attesa che qualcosa di realmente spiritoso arrivi, ma non succede.
Finanza e moralità, feeling non c’è mai stato. O quasi. Nella seconda metà anni ’90 ci sembrava tutto così diabolicamente irreale. Oggi è angelicamente normale nella sua volgarità. Anche il Supremo per eccellenza, lo spietato demente Carcarlo Pravettoni, il mitico personaggio portato sul piccolo schermo da Paolo Hendel e riproposto di recente su L’ultima parola (programma televisivo condotto dal giornalista Gianluigi Paragone), ha perso molto del suo fascino. L’impensabile grottesco è il pane gonfio che passano in questo carcere economico-italiano a cielo aperto.
Si cari padri e nonni, molto e molto più dei vostri tempi. Voi avevate la speranza e la convinzione di poter creare un mondo nuovo o quanto meno godervi di più quello che restava del vecchio. Noi abbiamo la consapevolezza che non ci sarà nulla di tutto ciò. O quanto meno non saremo noi a vederlo.
Aspirante vedovo - Stucchi (Alessandro Besentini) e Alberto Nardi (Fabio De Luigi) |
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