Rush - James Hunt (Chris Hemsworth) e Niki Lauda (Daniel Brühl)
Rush, istinto contro ragione a quattro ruote. Il regista Premio Oscar Ron Howard porta sul grande schermo l'epica rivalità tra i piloti James Hunt e Niki Lauda.
Huntthe Shunt (lo schianto). Niki
il computer. Nella seconda metà degli anni ’70 le sfide sui Gran Premi
di Formula 1 avevano due assoluti e agli antipodi protagonisti. James
Hunt, playboy e pilota inglese della McLaren, e Niki Lauda, metodico
austriaco al volante della Ferrari. Una rivalità oggi portata sul grande schermo da Ron Howard in Rush (2013).
Dalle categorie minori all’Olimpo dell’automobilismo, due piloti irrompono nella Storia di questa disciplina diventandone gl’indiscussi primi attori. Ispiratori. Le strade di Niki (Daniel Brühl) e James (Chris Hemsworth) sono destinate a incrociarsi. Sempre e comunque. Come da copione, non si piacciono ma si rispettano.
Scorrono parallele le vite dei due piloti. Guide diverse. Vite diverse. Reazioni diverse. James affoga nel fumo e nell’alcol la provvisoria assenza di un team fino alla rigenerante chiamata della McLaren che lo porterà a guidare ad armi pari con il rivale Lauda, passato nel frattempo dalla BRM alla Rossa di Maranello, e già campione del mondo.
Niki al contrario è a dir poco eroico nel resistere alle ustioni riportate nel terribile incidente del Nürburgring, una gara questa che per le condizioni meteo e la pericolosità del circuito, lui stesso aveva proposto di cancellare. Al suo posto non è difficile credere che il buon James non sarebbe più tornato a gareggiare e si sarebbe arreso subito. Lauda è sfigurato. In ospedale il prete gli ha già dato l’estrema unzione. La sua forza di volontà lo rende invincibile. Si riprende. Tempo neanche un mese è di nuovo in pista.
Lauda è un guerriero. Non gl’importa dell’opinione degli altri. A differenza del rivale non è ben voluto dai colleghi piloti. Vuole vincere, punto e basta. È spavaldo anche da ultimo arrivato nella Formula 1 dinnanzi al compagno di scuderia e già affermato, Clay Ragazzoni (Pierfrancesco Favino, di nuovo diretto da Howard dopo Angeli e Demoni, 2009).
Le riprese effettuate dalle monoposto e lungo i circuiti durante le gare hanno un fascino incredibile. Anche chi non fosse amante del volante o non fosse troppo ferrato nelle imprese di "gente" come Prost, Senna o Shumacher, stia tranquillo, nel giro di pochi minuti si scoprirà muovere la mano come se dovesse cambiare marcia.
Sono riuscito nell’impresa di entrare in sala ignorando il finale della vicenda narrata dall’ex-Ricky Cunningham di Happy Days. Di norma leggo sempre qualcosa del film prima della proiezione. Questa volta non l’ho fatto. Scelta azzeccata alla grande. L’indomani mattina a colazione, dinnanzi a un cappuccino gigante, sono "incappato" in qualcosa di poetico e semi-rivelatore. La frase finale della recensione di Rush, sul numero di novembre del mensile Best Movie da parte di Giorgio Viaro: “E quando capisci che il momento più alto del film non è una vittoria, ma un ritiro, ti accorgi del trionfo”.
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