War Horse - Albert (Jeremy Irvine) |
di Luca Ferrari
Nell’eterno conflitto tra il ricco e il povero s’inserisce la vicenda del cavallo Joey, versione in carne e ossa di Spirit, l’indomabile mustang protagonista del lungometraggio animato realizzato nel 2002 dalla DreamWorks di cui Steven Spielberg è co-fondatore, ed entrambi dietro la realizzazione di War Horse (2011), rispettivamente in veste di produttore e regista.
Teatro iniziale di questa vicenda dai forti connotati sentimentali, la natura inglese del Devon dove il vento e la pioggia cadono fatali sulla testa di contadini, protesi a spaccarsi la schiena per pagare gli esosi affitti terrieri di arroganti padroni.
Acquistato un cavallo per l’elevato prezzo di 30 ghinee, Ted Narracott (Peter Mullan) si trova costretto a vendere l’animale all’esercito in partenza per la I Guerra Mondiale, dopo che un acquazzone aveva distrutto il raccolto, e recuperare così la somma necessaria per non perdere la fattoria. Il figlio Albert (Jeremy Irvine), che ha pazientemente allevato la bestia e insieme alla quale ha arato un campo giudicato incoltivabile, non ci sta. Crede nel destino. Lo abbandona con le lacrime agli occhi. Ma è sicuro. Si ritroveranno un giorno.
War Horse è stato presentato in pompa magna, ponendo un po’ troppo l’accento sulla carneficina bellica, che in realtà fa solo da sfondo. Steven Spielberg conosce bene gli orrori delle guerre. Schindler’s list (1993) e Salvate il soldato Ryan (1998), ma senza trascurare gli effetti collaterali di Amistad (1997) e Munich (2005), testimoniano le indubbie doti del regista di Cincinnati che, quando vuole, sa imprimere alla propria telecamera una curvatura realistico-drammatica senza scadere in gite guidate dentro salmodianti zuccherifici di provincia.
Un’esecuzione di due giovani disertori teutonici e il dramma d’inizio battaglia in trincea è un po’ troppo poco per tratteggiare un conflitto. Esageratamente stucchevole poi, l’incontro con tanto di bandiera bianca tra un soldato inglese e un omologo tedesco, che armati di tenaglie si avvicinano in stato di tregua per liberare Joey dalla morsa del filo spinato.
Le scene precedenti in cui il cavallo, prima trascina un cannone insieme ad altri colleghi equini e poi inizia una corsa disperata in mezzo alla guerra finendo impigliato, è terribilmente simile agli analoghi sforzi del mustang americano Spirit, impegnato a trainare una locomotiva nel nordovest americano e a schizzare via come il vento durante il successivo incendio causato dal crollo del pesante mezzo meccanico. Anche lui resterà intrappolato, a causa di una catena. Anche lui sarà liberato. Giusto in tempo, dal nativo Lakota Piccolo Fiume.
Un’esecuzione di due giovani disertori teutonici e il dramma d’inizio battaglia in trincea è un po’ troppo poco per tratteggiare un conflitto. Esageratamente stucchevole poi, l’incontro con tanto di bandiera bianca tra un soldato inglese e un omologo tedesco, che armati di tenaglie si avvicinano in stato di tregua per liberare Joey dalla morsa del filo spinato.
Le scene precedenti in cui il cavallo, prima trascina un cannone insieme ad altri colleghi equini e poi inizia una corsa disperata in mezzo alla guerra finendo impigliato, è terribilmente simile agli analoghi sforzi del mustang americano Spirit, impegnato a trainare una locomotiva nel nordovest americano e a schizzare via come il vento durante il successivo incendio causato dal crollo del pesante mezzo meccanico. Anche lui resterà intrappolato, a causa di una catena. Anche lui sarà liberato. Giusto in tempo, dal nativo Lakota Piccolo Fiume.
Per tutto il primo tempo del film l’atmosfera è un’autostrada che ci riporta all’Irlanda di Cuori Ribelli (1992) di Ron Howard. Troppo ben confezionato il trailer. A tratti quasi ingannevole. Niels Arestrup è un anziano venditore francese di marmellate, nonno della piccola e malata Emilie (Celine Buckens), che ha trovato Joey abbandonato nella sua stalla. Negli spezzoni dati in pasto al pubblico prima dell’uscita sul Grande Schermo, la sua parabola sui piccioni viaggiatori sembrava rivolta al cavallo. Non è così. Incalzato dalle domande della giovane sul suo mancato coraggio, lui le replica con questa storia che pare quasi uscita dal nulla.
Le musiche di John Williams, veterano delle colonne sonore con 5 premi Oscar conquistati, non incidono mai. In “War Horse” la morale assomiglia a poco più di una favoletta confezionata ad arte per trascinare al cinema tutti insieme appassionatamente, e far uscire il pubblico con qualche lacrima in allarmante stato diabetico. Il finale poi, è degno della Casa nella Prateria. La madre china in giardino. Nella poetica panoramica delle luci del vespro si vede in controluce una sagona umano-equina. Si avvicina sempre di più. Sono Albert e Joey. La madre abbraccia il figlio. Il padre claudicante gli tende la mano. E tutti vissero felici, orgogliosi e contenti.
Il trailer di War Horse
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