!-- Codice per accettazione cookie - Inizio -->

giovedì 30 aprile 2015

Montage of Heck, la privacy violata di Kurt Cobain

Cobain: Montage of Heck (2015, di Brett Morgen)
Rifiutato, ipersensibile e contraddittorio. Cobain: Montage of Heck entra troppo nel privato del cantante dei Nirvana, Kurt Cobain.

di Luca Ferrari

Ha gridato (e incantato) disillusioni, alienazione, rabbia e dolci urgenze emotive. Ha segnato una generazione le cui cicatrici sono ancora parte integrante della loro vita. Sua figlia appena nata fu sbattuta in prima pagina e dichiarata “drogata”. In una fredda e sconsolata giornata di aprile poi, ad appena 27 anni, scelse di farla finita. Il suo nome era Kurt Cobain (1967-1994). Brett Morgen dirige il documentario Cobain: Montage of Heck (2015), mostrando al mondo anche ciò che il cantante stesso dei Nirvana non avrebbe voluto.

Aberdeen (Wa, USA) '67, provincia americana. I coniugi Wendy E. Fradenburg e Donald Cobain mettono al mondo il loro primogenito Kurt. È un bambino vivace (come la stragrande maggioranza), amorevole. È instancabile. Gioca, corre, disegna. È iperattivo e sua madre è preoccupata. Decide allora di portarlo dal medico obbligandolo ad assumere pillole per “calmarsi”. Da allora, giorno dopo giorno i rapporti con la famiglia si fanno sempre più tesi, specie col padre, poco incline a trattarlo come dovrebbe.

Il già provato equilibrio di Kurt si spacca del tutto con la decisione dei genitori di separarsi (all'epoca non certo comune come ai giorni nostri), un fatto che provocherà profonda “vergogna” nel suo animo. Shame, una parola che tornerà tante volte nei testi del futuro cantante dei Nirvana. Ha inizio il tortuoso viaggio deragliato di Kurt Cobain che sfocerà sempre più in sentimenti aliena(n)ti.

Ad aumentare il proprio disagio umano-esistenziale, la società machista di Aberdeen. A dispetto delle incensanti parole della madre su quanto fosse bello vivere laggiù, è una realtà che cammina tronfia sui binari dell’esaltazione del maschio virile e armato scopa-femmine. Per un animo (iper)sensibile come quello di Kurt, poco avvezzo a trattare le donne come merce per esaltare il proprio ego sessuale, è una prigione a cielo aperto. Non è un caso che molti dei suoi testi (e disegni) avranno come bersaglio proprio questo modello di uomo.

Kurt viene sballottato da un parente all'altro, ma di norma dopo due settimane viene sempre cacciato via. Non combina quasi nulla ed è intrattabile. Vorrebbe stare con la madre, proprio colei che per prima lo ha messo alla porta. Kurt è ancora un ragazzino quando arriva a sedersi sui binari ferroviari con due pesanti sassi sopra gambe e torace. Quel treno però che avrebbe dovuto strapparlo anzitempo alla vita, cambia percorso all'ultimo. Nello sfascio umano-sociale, lo sbarco nella droga è quasi inevitabile.

Come una tisana lenitiva, comincia a suonare la chitarra. Insieme all'amico di appena due anni più grande, il bassista  Krist Novoselic fonda una gruppo. Ha anche una fidanzata, la materna Tracy Marander, da cui va a convivere nella vicina Olympia, meno bigotta e più aperta culturalmente. Kurt all’epoca fa già uso sporadico di droghe pesanti. In parallelo alla crescita artistica della band, la relazione ne risente fino alla rottura.

Se la prima parte del documentario ha per assoluto protagonista il Kurt acerbo adolescente alla ricerca di una strada (e una casa), il “secondo tempo” vira deciso verso un’altra persona, Courtney Love, sua moglie. Musicista anch'essa, frontwoman della rock band Hole.

Per tutti quelli troppo giovani per aver vissuto i Nirvana in real time così come coloro che non seguirono l'evolversi della band e il suicidio di Kurt, l'immagine che emerge dal documentario Cobain: Montage of Heck, aldilà degli aspetti più evidenti, è un ritratto a tratti molto contraddittorio. Se da un lato Cobain schifava la fama e non sopportava le attenzioni (interviste incluse), dall'altro si fece affascinare da una donna che era esattamente l'antitesi sotto questo aspetto.

Sebbene meno importante per i Nirvana al contrario dei contemporanei Pearl Jam, nel lavoro di Morgen mancano del tutto i riferimenti alla scena musicale di Seattle, e così pure al movimento rock femminile Riot Grrrl. Appena un accenno a Buzz Osbourne dei Melvins, e neanche mezzo cenno sui tanto ammirati Mudhoney (in Italia per tre date il prossimo 15, 16 e 17 maggio), la band in cui Kurt avrebbe più voluto suonare. Quasi superfluo dirlo, è a dir poco inqualificabile l’assenza del batterista Dave Grohl, lasciando al solo Novoselic la parte dei “band-ricordi”.

I diari mostrati al grande pubblico poi, con l’inspiegabile via libera della figlia Frances, rivelano quello che Kurt non voleva si sapesse. E allora perché? Perché questa violazione della sua privacy? I diari si scrivono per essere letti, analizza un’attenta interpretazione psicologica. Può essere, ma comunque è qualcosa di soggettivo. Di certo il non lasciarli aperti sul tavolo indica chiaramente di voler tener per sé quegli scritti o disegni che siano.

Scrivere un diario è un comunicare senza filtri. Si scrive il peggio di sé. Spesso esagerando nel decadimento proprio perché privati. Frasi, pensieri e rappresentazioni che in un determinato momento della nostra esistenza si ha il vitale bisogno di scaraventare da qualche parte (carta, fogli, cassette).

La solitudine adolescenziale di Kurt Cobain è il tratto più imponente nella prima parte dell’opera. Il regista però si sofferma troppo sulla realtà familiare (cruciale, certo), chiamando in causa con minor intensità l’altrettanto deleterio ambiente scolastico, riducendo il tutto a sconsolati spezzoni animati di KillBilliana memoria. “Celebre” l’episodio in cui Kurt si prese una coltellata sulla schiena quando sfidò i classici tori-bulli di classe vestendosi da donna, e di cui non si fa menzione né visione.

La seconda parte come detto si concentra quasi esclusivamente sulle dipendenze di Kurt & Courtney, mostrando filmati privati, a tratti anche “tossici” in presenza della figlia piccola. Molto tristi, che avrebbero dovuto essere preservati senza certo darli in pasto al pubblico (e di questo, a titolo personale, mi scuso per averne preso visione). Dubito inoltre che Kurt avrebbe gradito questa cruda incursione nella sua privacy.

Infine ci sono “loro”, le canzoni. Perché aldilà della vita personale e i deleteri eccessi tossicodipendenti, le emozioni di Kurt Cobain sublimate nella musica dei Nirvana resteranno la sua memoria imperitura per noi popolo lontano. Tutto ciò che a noi rimane è farci ispirare da quelle parole sputate violentemente e scaraventate nell'etere con sottofondo di accordi rabbioso-melodici, guardando e riguardando insieme a loro (per chi vuole osare) il mondo e noi stessi. E magari, nella migliore delle ipotesi, salutare dolcemente…

Il trailer di Cobain: Montage of Heck

Cobain: Montage of Heck - Kurt Cobain bambino ad Aberdeen
Cobain: Montage of Heck - un "animato" Kurt Cobain cammina solitario
Cobain: Montage of Heck - un "animato" Kurt Cobain suona la chitarra
Cobain: Montage of Heck - l'ex-bassista dei Nirvana, Krist Novoselic
Cobain: Montage of Heck - Courtney Love e Kurt Cobain

lunedì 27 aprile 2015

Anteprime 30 aprile, il ritorno del cinema esotico

Ritorno al Marigold Hotel (2015, di John Madden)
Da giovedì 30 aprile è tempo di cine-ritorni: streghe, e al Marigold Hotel. Inquietudini mostruose in Child 44 mentre Liam Neeson è più action che mai.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Cronaca, legami padre-figlio, animazione e l’atteso sequel di una delle migliori commedie degli ultimi anni. La primavera è ormai sbocciata, il periodo ideale per concedersi un primo stop dalle fatiche del lavoro e della vita in generale. Ci vuole allora un posto dove rigenerarsi a dovere e non troppo vicino a casa (cambiare aria) facendo o consolidando nuove amicizie. Insomma, lo avete capito. Fate i bagagli e preparatevi a far Ritorno al Marigold Hotel. Imbarco previsto (in sala), (da) giovedì 30 aprile con nuovamente il "capo-comitiva" John Madden.

Un nugolo di sudditi di Sua Maestà nelle ex-colonie. Gli ospiti del Marigold Hotel (2012) erano rimasti quasi tutti lì, in India. Decisi a cominciare una nuova fase della propria vita, lasciando ai ricordi della loro Inghilterra una pensione di medio-basso tenore tra pub e rimpianti. Il presente al contrario racconta un nuovo scorrere di esistenza nel colorato chiasso del subcontinente. I protagonisti sono sempre loro: Muriel (Maggie Smith), Evelyn (Judi Dench), Douglas (Bill Nighy), il giovane direttore dell’albergo Sonny (Dev Pattel). Alla “ciurma” si uniranno nuovi volti, tra cui l’affascinante Guy (Richard Gere).

Di tutt’altro clima è invece Child 44 – Il bambino numero 44 (di Daniel Espinosa), trasposizione cinematografica dell’omonimo libro di Tom Rob Smith, e incentrato sul serial killer Andrej Romanovic Cikatjo detto il Mostro di Rostov. Sulle sue tracce il ligio polizziotto Leo Demidov  (Tom Hardy), spedito in esilio insieme alla moglie Raisa (Noomi Rapace), quest’ultima colpevole di aver tradito il Partito. A dispetto delle difficili nuove condizioni e grazie all’aiuto del Generale Mikhail Nesterov (Gary Oldman), Demidov continuerà le indagini sul Mostro che nel frattempo è già alla ricerca della sua giovane 44° vittima.

Suspense assicurata anche in Run all night – Una notte per sopravvivere (2014, di Jaume Collett-Serra). Protagonista indiscusso della pellicola, Liam Taken Neeson nelle vesti del killer Jimmy Conion, detto The Digger (il seppellitore) Questa volta però avrà un compito davvero arduo: salvarsi o uccidere il suo ex-boss Shaw Maguire (Ed Harris) e tutti i suoi scagnozzi che vogliono fare la pelle al proprio figliolo Mike (Joel Kinnaman).

Inquietudini e demenzialità assicurate invece, nello spagnolo Le streghe son tornate (Las brujas de Zugarramurdi – 2013 di Álex de la Iglesia). Vincitore di otto Premi Goya (i massimi riconoscimenti del cinema spagnolo) nel 2014 tra cui il premio come Migliore attrice non protagonista a Terele Pávez e Migliori effetti speciali, il film vede protagonisti una banda di rapinatori in fuga che finiscono per caso in uno strano paesino popolato da sole donne. Spazio all’animazione infine con una divertente e originale storia incentrata su I 7 nani (Der 7bte Zwerg - 2014, di Boris Aljinovic e Harald Siepermann) e una nuova fanciulla da salvare.

E tu, cosa andrai a vedere al cinema? Raccontalo a cineluk, e buona visione!

I 7 nani (2014, di Boris Aljinovic e Harald Siepermann)
Run all night – Una notte per sopravvivere (2014, di Jaume Collett-Serra)
Le streghe son tornate (2013 di Álex de la Iglesia)
Child 44 – Il bambino numero 44 (2015 di Daniel Espinosa)

venerdì 24 aprile 2015

Wild, la strada della bellezza

Wild - il faticoso e lungo cammino di Cheryl (Reese Whiterspoon)
Segnata da troppe cadute e sofferenze, Cheryl Strayed (Reese Whiterspoon) vuole ricominciare. Wild (2014, di Jean-Marc Vallée).

di Luca Ferrari

Non c'è nessuno. Non voglio risposte, voglio solo andare avanti. Passerà una notte e poi ne passerà un'altra ancora. Se mai c'incontreremo, un giorno ti chiederò di raccontarmi come mi sentissi. Oggi non ho voglia di stelle. Oggi i ponti si fanno le strade da soli. Oggi la terra non sussurra né gremisce. Mi sto per svegliare e sarà tutto come prima. Tutto fino a quando non muoverò il primo passo. Wild (2014, di Jean-Marc Vallée).

Devo ricominciare a vivere e non sono pronta. E se fossi già riuscita a perdonarmi? E se fossi già riuscita a riscattarmi?. Sono alcune delle tante domande esistenziali che la giovane Cheryl Strayed (Reese Whiterspoon) pone a se stessa durante il suo solitario cammino lungo il sentiero del Pacific Crest Trail, alla ricerca di una felicità (e una vita) perduta. Un cammino metaforico e realistico, dove l'anima e il corpo saranno "Dantescamente" messi a dura prova.

Dopo il commovente Dallas Buyers Club (2013), vincitore di due Golden Globe e tre premi Oscar, il regista canadese Jean-Marc Vallée attinge ancora dalla cronaca per portare sul grande schermo un'altra grande storia con protagonista l'essere umano e la sua sfida alla-nella vita. Tratto dal libro Wild – Una storia selvaggia di avventura e rinascita (di Cheryl Strayed), Wild (2014).

Cheryl era una bambina quando il padre, violento alcolizzato, la minacciava picchiando spesso la madre Bobby (Laura Dern). Una donna quest'ultima che a dispetto di tutto ha continuato a cercare il sorriso nella vita. Complice anche la prematura perdita materna, Cheryl sprofonda in un turbine autolesionista di tradimenti coniugali, eroina e perfino un aborto.

È allora che scatta qualcosa e decide di mettersi alla prova. Un viaggio di espiazione sola con se stessa a piedi dalla California allo stato di Washington, tra demoni interiori da sviscerare, qualche incontro poco raccomandabile con un cacciatore dalle chiare intenzioni di violenza, ma anche parole scambiate con amichevoli camminatori. Non mancano le difficoltà tecniche. Dal gas sbagliato per accendere il fuoco e conseguenti colazioni a base di orzo freddo ai grossi lastroni di pietra e fiumi impetuosi a rallentarle il cammino, fino a qualche bagaglio di sopravvivenza di troppo.

Fin dagli esordi della pellicola la premio Oscar Reese Whiterspoon (La rivincita delle bionde, Quando l'amore brucia l'anima, Devil's Knot - Fino a prova contraria) riesce a trasmettere il peso del gigantesco zaino (e della vita) nel tentativo di caricarselo sulle spalle. I suoi piedi sanguinanti non potrebbero meglio rappresentare quello che è stato il suo vissuto. E quel lancio liberatorio anche del secondo scarpone nel dirupo sembra davvero volerla nuovamente collocare ai comandi della propria esistenza.

Laura Dern (Rosa scompiglio e i suoi amanti, Jurassic Park, 99 Homes) è oltre modo dolce e solare, anche con un occhio tumefatto. Materna fino alla fine. Un porto di bontà che la tempesta acida della vita non ha minimamente intaccato.

Ecco la rugiada, i tsogni e la poetica di un mondo che poi resterà qui. Il pavimento delle mie spinte non esiste nemmeno più, ma allora perché me lo voglio ancora ricordare? Sono arrivato fin qua per impreziosire il mondo con qualcosa di nuovo. Ho avuto freddo e paura. So che continuerò a provare tutto questo anche se ci sarai o mi lascerai. Tutte quelle creature nel bosco non staranno pensando lo stesso di me?

Impossibile non ripensare al collega cine-tematico Into the Wild (2007, di Sean Penn) ma le differenze non sono poche. Cheryl non è partita per lasciarsi alle spalle il mondo corrotto. Lei si mette alla prova per (ri)prendere le redini della sua vita e tornare a essere la persona meravigliosa che desiderava la sua mamma. A dispetto del pensiero costante di mollare, Cheryl è decisa a proseguire fino alla fine raggiungendo il Ponte degli Dei. Dopo tutto, “la vera sfida è vivere”.

Il trailer di Wild
Wild - Cheryl (Reese Whiterspoon) comincia il viaggio
Wild - Cheryl (Reese Whiterspoon) scrive nella sua tenda
Wild - gli ex-coniugi Paul (Thomas Sadoski) e Cheryl (Reese Whiterspoon)
Wild - Bobby (Laura Dern), la dolce mamma di Cheryl
Wild - Cheryl (Reese Whiterspoon) deve guadare un fiume
Wild - Cheryl (Reese Whiterspoon) lungo il Pacific Crest Trail

mercoledì 22 aprile 2015

Avengers, il giorno di Ultron

Avengers: Age of Ultron (2015, di Joss Whedon)
“Volete proteggere il mondo ma non volete cambiarlo”. Ultron lancia la sua sfida ai Vendicatori. Avengers: Age of Ultron (2015, di Joss Whedon).

di Luca Ferrari

E il gran giorno di Avengers: Age of Ultron alla fine è arrivato. Un passo importante questo per la Marvel Studios. Il sequel di The Avengers (2012, di Joss Whedon), il terzo film col maggiore incasso nella storia del cinema (dietro Avatar e Titanic, entrambi di James Cameron). Ma a prescindere da ciò che dirà il botteghino, la domanda cruciale è: sarà all'altezza del primo film? La sceneggiatura avrà qualcosa di nuovo da raccontare?

“Fin dalla visione del trailer, il secondo capitolo dei Vendicatori sembra contenere tutte le caratteristiche tipiche e bramate del precedente: ironia, adrenalina, effetti speciali e scene culto di alcuni tra gli eroi Marvel più amati” analizza la collega giornalista Giada Chicca (Seesound.it) “ma rincarare la dose, aggiungendo personaggi (Ultron stesso, Quicksilver e Scarlet, ndr) e dinamiche che solleticano la nostra immaginazione (come nel caso di Hulk/Banner), approfondimenti psicologici e introspezioni filosofiche, rischiano di deviare un po’ troppo dalla via maestra del film”.

Esplosa la cine-superhero mania, nessun sequel è mai stato il degno erede del precedente a cominciare dallo stesso Iron-Man, ormai già arrivato al terzo capitolo, quest'ultimo (Iron-Man 3, di Shane Black) entusiasmando ancor meno. Peggio ha fatto Thor, che al contrario dell'uomo di latta (come lo apostrofava proprio il dio normanno in The Avengers) aveva un reale e grandioso dirimpettaio (Loki), e invece il tanto atteso The Dark World (2013, di Alan Taylor) ha fatto storcere ai più il naso. Sarà il carisma non sconfinato di Chris Evans/Captain America, ma è indubbio che il probo soldato a stelle e strisce funzioni meglio in gruppo che non da solo.

Ecco la parola decisiva, “squadra”. È questa la chiave di volta con cui i Vendicatori salvano il pianeta Terra. Allo stesso modo fu questo il contesto che io per primo rifiutai, bollando in principio The Avengers come minestrone pop e poco altro. La vista del trailer direttamente in sala mi fece però cambiare idea e il film poi mi conquistò senza se e senza ma.

The Avengers però aveva un asso nella manica, il viscido Loki (Tom Hiddleston). Deciso a far piegare l'umanità al suo volere. Un villain d'altri tempi. Senza pietà né buoni sentimenti. È lui (e i chitauri) contro tutti. Sembra quasi riuscire nel proprio intento fino a quando Hulk, stufo delle sue farneticazioni di essere superiore, lo sbatacchia violentemente per terra rendendo la suddetta scena cult puro. Anche i battibecchi tra l'anarchico Iron Man e il ligio Captain America hanno avuto il loro peso così come un Bruce Banner finalmente perfetto grazie a Mark Ruffalo a differenza dei precedenti Eric Bana e Edward Norton.

In conclusione, The Avengers è andato oltre le più rosee aspettative. Adesso però Whedon non potrà proporci la stessa minestra, non di meno l'antagonista non è un frustrato Asgardiano  ma un robot sfuggito al controllo del geniale Tony Stark. Una scelta questa che mi fa temere in esagerati effetti speciali e meno sostanza al vetriolo. Saprò se ho ragione nei prossimi giorni davanti ad Avengers: Age of Ultron, ma ovviamente spero di sbagliarmi.

“L’impressione generale potrebbe essere quella di aver voluto mettere troppa carne al fuoco con l’inconveniente di trovarsi a mangiarla poco condita, il che sarebbe un peccato” conclude Giada, “le premesse perché Avengers: Age of Ultron sia un’esplosione in fieri di gag, sfide e colpi di scena ci sono tutte. Un po’ difficile arrivi a superare il primo capitolo, ma in fondo siamo ottimisti e ormai le caramelle le abbiamo comprate”.

Il trailer di Avengers: Age of Ultron

Avengers: Age of Ultron - Quicksilver (Aaron Taylor-Johnson) e Scarlet (Elizabeth Olsen)
Avengers: Age of Ultron - Mark Ruffalo è ancora Hulk
Avengers: Age of Ultron (2015, di Joss Whedon)

lunedì 20 aprile 2015

Anteprime 23 aprile, Ciak as you are

Samba (2014, di Eric Toledano e Olivier Nakache)
Cinema nel nome dell'integrazione con Omar Sy e Charlotte Gainsbourg in Samba e I bambini sanno di Walter Veltroni. Il fu Kurt Cobain ci tocca l'anima.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer 

Un nuovo e lungo viaggio cinematografico (23-29 aprile) sta per cominciare, tra le speranze dell'età più verde e le tinte-sfaccettature più intricate-intense della vita. Dopo aver raccontato la storia e il tempo di Enrico Berlinguer (2014), questa volta l'ex-sindaco di Roma Walter Vetroni ha scelto le tematiche dell'immigrazione e della fanciullezza. I bambini sanno. Un film che non è difficile immaginare saprà toccare il cuore della gente. Per lo meno di coloro che credono in qualcosa di diverso dai pregiudizi e sperano ancora in un futuro migliore.

Per l'ennesima settimana il cinema francese sarà presente sui grandi schermi italiani, da giovedì 23 aprile con un terzetto di successo: i registi Éric Toledano e Olivier Nakache insieme all'attore Omar Sy. Dopo il successo di Quasi amici (2011) infatti, è il momento di Samba, nel nome dell'integrazione. Storia di un precario immigrato senegalese e una ricca dirigente dell'alta borghesia parigina.

Sul fronte nazionale invece, tre le commedie in arrivo: Short Skin (2014, di Duccio Chiarini), Fuori dal coro (2015, di Sergio Misuraca) e Le frise ignoranti (2015, di Antonello De Leo e Pietro Loprieno), quest'ultimo ambientato tra Puglia e Basilicata con protagonisti il comico barese Lino Banfi e la giovane supermodella-attrice palermitana Eva Riccobono, madrina della 70° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

Altra modella sempre più lanciata nel mondo della settima arte, la statunitense classe '87 Blake Lively, passata dalla teen comedy 4 amiche e un paio di jeans (2005) al ruolo di protagonista della sitcom Gossip Girl, per poi approdare alla corte di Ben Affleck (The Town, 2009) e Oliver Stone (Le belve, 2014). Oggi è la sentimentale protagonista “immortale” di The Age of Adeline (2014, di Lee Toland Krieger).

Promette riflessioni, recriminazioni e di sicuro rancori mai sopiti, Il figlio di Hamas (2014, di Nadav Schirman). Tratto dall'autobiografia Figlio di Hamas: dall'intifada ai servizi segreti israeliani, il documentario vincitore del Premio del Pubblico al Sundance Film Festival 2014 è incentrata sulla vita di Mosab Hassan Yousef, figlio di uno dei fondatori di Hamas.

Per due soli giorni infine, martedì 28 e mercoledì 29 aprile, sarà in proiezione in pochi e selezionati cinema Cobain: Montage of Heck (2015, di Brett Morgen), il primo documentario ufficiale sul cantante/chitarrista dei Nirvana morto suicida all'età di 27 anni nella sua casa fuori Seattle. Prodotto dalla stessa figlia Frances Bean Cobain, insieme a Kurt nella pellicola ci saranno i suoi compagni-amici di band Krist Novoselic, Dave Grohl e la moglie Courtney Love.

I bambini sanno (2015, di Walter Veltroni)
The Age of Adaline (2014, di Lee Toland Krieger)
Cobain: Montage of Heck (2015, di Brett Morgen)

venerdì 17 aprile 2015

Nel nome de Il padre e del genocidio armeno

Il padre - Nazaret (Tahar Rahim)
Storia (negata) e film. Scampato al genocidio armeno, il fabbro Nazaret parte alla ricerca della sua famiglia. Il padre (2014 di Fatih Akin).

di Luca Ferrari

La vita per il fabbro Nazaret Manoogian (Tahar Rahim) scorreva placida in Mesopotamia nordorientale. La I Guerra Mondiale però incombeva e l'Impero Ottomano decise di schierarsi dalla parte del collega Austro-Ungarico e Tedesco. Non passò molto tempo prima che ogni non-turco fosse visto come una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale e fu così che cominciò il genocidio armeno.

Film epico. Dramma. Film d’avventura. Western. Il premiato regista Fatih Akin (La sposa turca, Ai confini del paradiso) dirige Il padre (The cut, 2014), presentato in Concorso alla 71° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.

Mardin, 1915. Prendono il via le cosiddette “marce della morte”. Uomini, donne e bambini, vengono obbligati a massacranti “passeggiate” nel deserto per poi proseguire in altrettanti sfiancanti lavori fino alla più barbara delle esecuzioni. Non sfugge a questo iter nemmeno Nazaret, il cui coltello però postogli sulla gola dall’ex-ladruncolo Mehmet (Bartu Küçükçağlayan), non penetra fino in fondo “a causa” di uno scrupolo di coscienza. E così di notte, il suo stesso macellaio torna a liberarlo. Il taglio è comunque profondo da privarlo della parola (the cut, per l’appunto).

Rimessosi in forze, Nazaret scopre l’orrore della mattanza ottomana che non ha risparmiato nessuno. Gli ultimi angoscianti respiri della cognata Ani (Arévik Martirossian) gli rivelano che tutti i membri della sua famiglia sono morti. L’uomo si sente perduto. È solo al mondo. È allora che incontra il saponiere di Aleppo, Omar Nasreddin (Makram J. Khoury), che gli offre un tetto al riparo dalla gendarmeria ostile.

La storia fa il suo corso. I turchi perdono la guerra. Gli armeni tornano a poter girare senza restrizioni. Nel corso di una proiezione pubblica de Il monello di Charlie Chaplin (film che ha spinto il registra a intraprendere la carriera di cineasta, ndr), re-incontra il suo ex-apprendista Levon (Shubham Saraf) che gli rivela un’impensabile verità: le sue due figlie sono vive. Ha inizio così un lungo viaggio che porterà il padre a imbarcarsi per Cuba, destinazione L’Avana (bellissima l’immagine del Malecon, ndr), dove le gemelle sembrano abbiano trovato marito.

Sono passati cent'anni dal genocidio armeno ma il presente per certi versi è ancora peggio del passato. Non solo i potenti USA, Cina, ONU, etc. tacciono sull'argomento ma il governo Turco erede dei diretti responsabili fa ancora ostracismo. Così, oltre a negare la storia ben documentata, ha perfino richiamato i propri ambasciatori presenti nello stato del Vaticano dopo le parole di Papa Francesco su tutti i genocidi, armeno incluso.

Genocidio, una parola che nessuno vorrebbe mai pronunziare. Per le Nazioni Unite ciò significa che ci deve essere una chiara volontà di sterminio di una popolazione come per l'appunto fecero i nazisti con gli ebrei. Non fu certo l'unico episodio. In tempi recenti c'è stato il Ruanda, la Bosnia e in anni più lontani appunto gli armeni per mano dell'Impero Ottomano.

Ma se da parte dell'attuale dittatura del primo ministro Recip Erdogan (per informazioni chiedere ai tanti manifestanti turchi e a Twitter), così come dai suoi “illustri e negazionisti” predecessori non sorprende questa vergognosa linea che prevede perfino il carcere per chiunque ne parli pubblicamente, ancor più triste è constatare che dei 204 attuali stati del mondo appena 20 abbiano riconosciuto il genocidio armeno e sono: Argentina, Armenia, Belgio, Canada, Cile, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lituania, Libano, Paesi Bassi, Polonia, Russai, Slovacchia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Vaticano e Venezuela.

Sempre supportato da un prezioso taccuino, Nazaret prosegue nella propria odissea di riavvicinamento familiare. Non è esente da momenti di sconforto, ma prima l’immagine della moglie Takel (Hindi Zahra) ormai deceduta e poi delle stesse figlie Lucinée e Arsinée (Lara Heller) gli appaiono in sogno per dargli la forza di alzarsi e riprendere il (lungo) cammino). La capitale cubana infatti, ancora lontana dalla futura rivoluzione Castrista, sarà solo la prima di una serie di tappe nel continente americano.

Qualcosa dentro di lui è inevitabilmente cambiato. La guerra sarà anche finita ma la bestialità umana non intende cambiare corso. Così, quando una nativa Squaw viene vigliaccamente assalita per essere violentata da un macchinista nei solitari spazi del Nord Dakota, lui coraggiosamente interviene mettendola in salvo e ricevendo in cambio dagli amici di lui calci, pugni e una palettata in faccia.

Allo stesso modo, mentre i turchi sono in fuga e le posizioni di potere s’invertono, la fiumana ottomana si prende insulti e sputi. Anche Nazaret ha in mano una pietra da scagliare contro i propri ex-aguzzini, ma quando vede che un sasso finisce sulla faccia di un bambino (Emin Santiago Akin) con pronto e preoccupato intervento della madre (Sesede Terziyan) per soccorrerlo, lui si ferma e inizia a comprendere l’importanza del rispetto e della riconciliazione. Qualcosa che dalle parti di Ankara, cent’anni dopo il disumano genocidio armeno da loro perpetrato, ancora soccombe nel nome delle bugie più economicamente convenienti.

Il trailer de Il padre

Il padre - Nazaret (Tahar Rahim) con le figlie Lucinée (Dina Fakhoury) e Arsinée (Zein Fakhoury)
Il padre - Nazaret (Tahar Rahim) soccorso dal ladruncolo Mehmet (Bartu Küçükçağlayan)
Il padre - Nazaret (Tahar Rahim) cerca le figlie a Cuba
Il padre - Nazaret (Tahar Rahim) cerca le figlie negli USA

mercoledì 15 aprile 2015

La vendetta de Il corvo – The Crow (1994)

Il corvo_The Crow - Eric Draven (Brandon Lee)


Eric e Shelly sono stati brutalmente ammazzati. Dove la giustizia e l'ordine non arrivano, ci pensa la vendetta oscura de Il corvo – The Crow (1994, di Alex Proyas).

di Luca Ferrari

Quelle piccole cose che contavano così tanto per Shelly. Quella pioggia che per Eric un giorno sarebbe finita. L'immortalità di ogni vero sentimento. La foga rabbioso-vendicativa da scagliare contro il Male. Il corvo - The Crow non è mai stato un film come gli altri. Sbarcato sul grande schermo agli sgoccioli dell’ultima grande epopea del rock, fuoco e fiamme provarono ad averla vinta su qualsiasi domani e invece qualcosa cambiò per sempre.

Ci sono vittime che non hanno bisogno di giustizia ma di mera vendetta. Ci sono brutali omicidi che saranno ripagati con la stessa crudele moneta. Ci sono film che non potranno mai avere sequel, remake o reboot, rassegnatevi. Ci sono momenti in cui puoi solo credere al per sempre. Ci sono tempi dove le proprie cicatrici rappresentano il solo baluardo tra l'abbandono e una vita tutta da ricostruire. Direttamente dall'omonimo fumetto di James O'Barr, Il corvo – The Crow (1994, di Alex Proyas).

Shelly Webester (Sofia Shinas) ed Eric Draven (Brandon Lee) stanno per sposarsi. Non ci riusciranno. Mentre sono teneramente in casa, vengono barbaramente assassinati dalla banda di T-Bird (David Patrick Kelly) al servizio dello spietato Top Dollar (Michael Wincott). Lui era un musicista rock e si è beccato un proiettile in fronte prima di essere scaraventato fuori dall’alto del palazzo. Lei è stata prima violentata a turno dai quattro, poi è morta in agonia in sala operatoria. La polizia è impotente e non si spreca. Qualcosa dall’Aldilà allora si mette in moto ed Eric riemerge dalla tomba nel nome della vendetta.

Nella quiete di morte della sua ex-abitazione, Eric ricomincia proprio da lì. Il mondo lì fuori non gli appartiene più. Dietro di sé c’è solo il ricordo di un amore e una vita, distrutta dalla brutalità degli esseri umani. Le lacrime sgorgano. Si sposta come accecato. Quasi non si regge in piedi. Cade. La musica sale di livello. L’aria si fa irrespirabile. Rivive ogni dolore di quei momenti fino al colpo fatale... Poi rinasce. Si veste, si dipinge il volto e comincia.

Uno dopo l'altro, Eric li trova e li uccide. Senza pietà. Agisce mentre il corvo lo osserva. Li ripaga con le loro stesse armi: coltelli, siringhe e fuoco. Mentre i primi tre li affronta singolarmente, l’ultimo, Skank (Angel David) lo va a prelevare direttamente al meeting di tutti i capi-sgherri al servizio di Top Dollar, presente anch’esso. Sono lì riuniti per alimentare il fuoco di morte e dei propri affari nella notte del diavolo. Poi arriva lui. Si siede sul tavolo chiedendo gli venga consegnata la sua vittima. Negatagli, risponde così (allargando le braccia e alzandosi in piedi): “Bene, vedo che hai preso una decisione. Adesso vediamo se riesci a imporla”.

Tra una missione di morte e l’altra, il fatal Eric rincontra due amici. Lo sbirro di pattuglia Darryl Albrecht (Ernie Hudson), l’unico che provò a far luce sugli omicidi di sé e della fidanzata, e soprattutto la piccola Sara (Rochelle Davis), di cui lui e Shelly si prendevano cura a dispetto della madre tossica e impegnata con una relazione con Funboy (Michael Massee), una dei loro assassini.

“E tu chi saresti un clown, un fantasma” chiede innocente la ragazzina al loro primo nuovo-incontro, cercando di vedergli il volto nascosto, “Qualcosa del genere” ribatte lui in un mix di gentilezza e dolorosa rimembranza. Sara allora riprende la propria solitaria strada dicendo a se stessa, “Sembra di fare il surf altro che skate. Se solo smettesse di piovere”. È il minuto 34,38 del film ed Eric, con un'espressione densa di speranza e dolcezza, le replica: “Non può piovere per sempre”. Eric, dice lei voltandosi ma lui è già sparito.

In un'atmosfera sontuosamente dark e una colonna sonora irripetibile (su tutte Burn dei The Cure, ma anche Henry Rollins, Rage Against the Machine, Stone Temple Pliots), il vendicatore compie la sua missione ma non è finita. Sara cade nelle grinfie di Top Dollar e dei suoi spietati amici. Come se non bastasse il corvo viene colpito ed Eric non è più invulnerabile. Il giustiziere venuto dal regno dei morti però non è solo. In un crescendo di gotica resa dei conti, Draven e Top Dollar duellano di spada sul tetto di una chiesa. Lama contro anima. Cuore contro spirito.

Film generazionale, Il corvo - The Crow uscì sul grande schermo nello stesso anno in cui si suicidò Kurt Cobain, cantante-chitarrista dei Nirvana. A mietere ulteriore angoscia, la tragica scomparsa proprio sul set del protagonista, Brandon Lee, figlio dell'immortale Bruce (Lee), deceduto allo stesso modo durante le riprese di The Game of Death (1972): un proiettile vero sparatogli contro al posto di uno finto durante un ciak. Una generazione si stava per estinguere e quelle due morti (Kurt e Brandon) così diverse fra loro, in qualche modo furono parte di uno stesso crepuscolo.

“Non può piovere per sempre” era il testo di una canzone di Eric che Sara riconosce; It Can't Rain All the Time di Jane Siberry nella soundtrack. “Non può piovere per sempre”, parole universali capaci di condensare tanto l’amore quanto l’insostenibile perdita di una persona amata. Ma chi era il resuscitato Eric Draven? Il sicario di una qualche giustizia di morte divina? Esegue senza remore. Spazza via da un angolo del mondo un branco di sanguinari piranha. Ma quando avrà finito il suo compito, che succederà?

Molti di noi che l'hanno vissuto quando uscì più di vent'anni fa, sono rimasti ancora lì. A fissare esangui un cielo nero con una sensazione di dolorosa vulnerabilità e certezza di quanto osceno sappia essere il Male. Covando dentro di sé la rabbia per un mondo che alla fine non muterà mai o se lo farà, sarà sempre troppo poco rispetto ai nostri innocenti ideali che in qualche modo dovremo difendere. Un unico grande cuore con cui dovremo proteggere  chi non ha la forza di alzarsi e reagire. E se non lo faremo, nuovi Eric e Shelly non moriranno senza potersi mai più ricongiungersi.

Le case bruciano, le persone muoiono ma il vero amore è per sempre. 

Il corvo, Eric e Sara

Il corvo_The Crow - il poliziotto Darryl Albrecht (Ernie Hudson)
Il corvo_The Crow - Eric Draven (Brandon Lee): Non può piovere per sempre...
Il corvo_The Crow - (da sx): Skank (Angel David), Top Dollar (Michael Wincott) e Myca (Bai Ling)
Il corvo_The Crow - Eric Draven (Brandon Lee): Voglio soltanto lui...
Il corvo_The Crow - l'abbraccio tra Sara (Rochelle Davis) ed Eric (Brandon Lee)
Il corvo_The Crow - Le case bruciano, le persone muoiono ma il vero amore è per sempre. 

martedì 14 aprile 2015

Anteprime 16 aprile, Nanni & gli altri

Mia madre (2015, di Nanni Moretti)
Dal claustrofobico Black Sea all'attesissimo Mia madre di Nanni Moretti, passando per l'animazione di Strange Magic. Scopri le nuove uscite di giovedì 16 aprile.

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Se il premio Oscar Giuseppe Tornatore è sul set del suo 12° film, La corrispondenza con Jeremy Irons e Olga Kurylenko, il collega Nanni Moretti non è da meno, anzi. È leggermente in vantaggio. Giovedì 16 aprile infatti il pubblico potrà entrare nelle viscere del suo nuovo lavoro, Mia madre, con Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini e se stesso. Una pellicola in perfetto stile Morettiano: intensa, dolorosa e toccante. 

Aldilà dell'epoca, la fame d'oro ha sempre colpito tutti,. Ma cosa succederebbe se a volerci mettere le mani fosse un equipaggio di un sottomarino in un crescendo di tutti contro tutti? Se volete salpare per il Black Sea di Kevin Macdonald, non c'è tempo da perdere. Il capitano Robinson (Jude Law) vi aspetta sul ponte, destinazione il misterioso oceano alla ricerca di un U-Boot nazista abbandonato carico di milioni di aurei lingotti.

Suspense assicurata anche in Ex machina (di Alex Garland), nuova pellicola sul filone esseri umani-robot, dopo Humandroid, uscito la scorsa settimana. Di tutt'altro genere invece il serbo-croato Figlio di nessuno, storia vera di un ragazzino cresciuto con i lupi in un bosco della Bosnia. Diretto dall'esordiente Vuk Rsumovic (Belgrado, classe '75), la pellicola si è aggiudicata il Premio del pubblico alla Settimana della Critica della 71° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Cinema d'oltralpe a tutta forza. Dopo aver commosso con La famiglia Belier, ecco due nuovi appuntamenti, a cominciare da Sarà il mio tipo? (2013, di Lucas Belvaux), storia d'amore tra un professore e una parrucchiera. C'è da aspettarsi una “Big Bang” story con i Leonard e Penny francesi? Si vedrà. Spazio poi al mondo della letteratura per ragazzi trasposta sul grande schermo con Le vacanze del piccolo Nicolas (di Laurent Tirard), sequel de Il piccolo Nicolas e i suoi genitori (2009).

E per chiudere alla grande la rassegna delle nuove uscite della settimana cinematografica del 16 aprile, la settima arte propone anche la magia dell'animazione. Protagonista è Strange Magic (di Gary Rydstrom), il primo lungometraggio animato prodotto dalla Lucasfilm. Ambientato nel sottobosco, a prestare la propria voce ad alcuni dei principali protagonisti ci sono Evan Rachel Wood, Alan Cumming e Alfred Molina.

Mercoledì 22 aprile infine torna l'armada dei Vendicatori Marvelliani, Avengers: Age of Ultron (di Joss Whedon), ma su questo ci sarà uno speciale a parte.

Andate al cinema, e buona visione

Black Sea (2014, di Kevin Macdonald)
Figlio di nessuno (2014, di Vuk Rsumovic)
Strange Magic (di Gary Rydstrom)
Sarà il mio tipo? (2013, di Lucas Belvaux)

lunedì 13 aprile 2015

Si deve essere in due into the Woods

Into the Woods - i fornai Emily Blunt e James Corden nel bosco
Alcuni dei più celebri personaggi dei fratelli Grimm si ritrovano tutti nello stesso bosco (e musical, Into the Woods) con la complicità di Rob Marshall.

di Luca Ferrari

Nella vita come dentro il bosco bisogna essere in due o più per venirne fuori alla grande. Molto più della Cenerentola (2015) di Kenneth Branagh, la trasposizione teatrale di Into the Woods per mano dell'esperto Rob Marshall (Chicago, Memorie di una geisha, Nine) è un autentico viaggio in un'altra dimensione. Manco fossimo noi quelli che si arrampicano sulla pianta dei fagioli magici per arrivare nel castello del “grande schermo”, il film-musical è ben orchestrato e con ottimi interpreti multi-generazionali.

C'è la star, in tutti i sensi. La miglior attrice vivente e colei che da inizio alla storia. Meryl Streep, la strega. Si presenta senza essere stata invitata da un fornaio ( James Corden) e la sua dolce metà (Emily Blunt), colpiti senza saperlo da una maledizione che impedisce alla donna di restare incinta. Non sono due eroi ma sono pronti a rischiare per il loro più grande desiderio: avere un figlio. Ma come ci insegneranno, per uscire dalle disavventure si deve essere in due.

Per rompere il maleficio dovranno procurare alla fattucchiera quattro fondamentali oggetti. Una mucca bianca come il latte che troveranno accompagnata al mercato dal piccolo Jack (Daniel Huttlestone). Una scarpina dorata, che manco a dirlo dovranno riuscire a sfilare dal futuro piedino principesco della bella Cenerentola (Anna Kendrick). Non meno complicata sarà l'impresa di farsi consegnare il caldo mantello di Cappuccetto Rosso (Lilla Crawford), sempre ovviamente che il famelico lupo (Johnny Depp) non arrivi prima. Infine, una ciocca bionda come il grano che si potrebbe trovare nella lunghissima chioma di Rapunzel (MacKenzie Mauzy).

Sembra un labirinto questo bosco, un labirinto piuttosto affollato. Ci s'incontra. Ci si perde. Si ritrova la strada. Ogni tanto appare infastidita la strega per strigliare il fornaio e consorte. I due comuni mortali infatti hanno solo tre giorni di tempo per recuperare il tutto, dopodiché addio per sempre al sogno di essere genitori. Incantesimi a parte, sembra più una vecchia scorbutica che non una creatura del male.

Cenerentola è più buffa del solito e gran merito va dato alla sua interprete. Vederla inseguita dal tronfio principe (Chris Pine) è al limite di una comica alla Benny Hill. E lui, il figlio del re, si merita una standing ovation quando nel tentativo di baciare la bella moglie del fornaio, se ne esce con una perla dal sapore “Jessica-Rabbittiano”: Mi hanno insegnato a essere affascinante, non sincero
Dopo qualche (dis)avventura, la quiete torna nel regno ma qualcosa è cambiato e non tutti torneranno nelle rispettive case. Ma pazienza se il futuro non sarà come lo avevamo sognato, questa nuova realtà appare molto più convincente. Dopo tutto, nessuno è mai stato davvero solo nel bosco. Adesso semplicemente lo abbiamo capito tutti. 

Il trailer di Into the Woods

Into the Woods - il fornaio (James Corden) e Cappuccetto Rosso (Lilla Crawford)
Into the Woods - Rapunzel (MacKenzie Mauzy
Into the Woods - Cenerentola (Anna Kendrick)
Into the Woods - il principe (Chris Pine)
Into the Woods - la strega (Meryl Streep)

venerdì 10 aprile 2015

L’ultimo lupo, la speranza sopravvive

L'ultimo lupo (2015, di Jean-Jacques Annaud)
Più delle ideologie. Più dell’uomo stesso, la natura e le sue creature hanno il potere di mutare l’essere umano. Jean-Jacques Annaud dirige L'ultimo lupo.

di Luca Ferrari

In vita mia non avevo mai visto nulla di simile, confidava un emozionato Johnny Utah (Keanu Reeves) a Tyler (Lori Petty) trovandosi dentro le onde dell’oceano di Point  Break. Non è così diverso per Chen Zhen (Shaofeng Feng), partito volontario verso la Mongolia estrema nel nome del “sacro verbo” della Rivoluzione Maoista e rimasto oltre modo ammaliato dalla natura e la sua ancestrale saggezza. Qualcosa che nemmeno le maglie del controllo potranno contenere. Basato sul romanzo "Il totem del lupo" di Jiang Rong, Jean-Jacques Annaud (Il nome della rosa, Sette anni in Tibet) dirige L'ultimo lupo.

Cina, 1967, la Grande rivoluzione culturale è la legge imperante. Chen Zhen e l’amico Yang Ke (Shawn Dou) sono partiti. Il governo di Pechino li ha assegnati a una minuscola tribù della Mongolia interna per insegnare a leggere e scrivere. In cambio gli verrà dato un alloggio, vitto e sarà loro insegnato a cavalcare e condurre una mandria facendo bene attenzione a non incappare nella grande minaccia della zona: i lupi.

La vista di uno di questi esemplari scatena la curiosità del giovane metropolitano che lo porterà ad avere un incontro fin troppo ravvicinato con le bestie, rischiando anche la pelle. Sarà l’inizio di un desiderio sempre più profondo di avvicinarsi a questi predatori selvaggi. L’occasione poi gli sarà fornita dal Governo stesso, nelle vesti del rigido funzionario Bao Shunghi (Yin ZhuSheng) che obbligherà lui e l’amico a uccidere tutti i cuccioli di lupo. Una mattanza in piena regola cui anche Chen Zen si sottometterà, salvo risparmiarne uno, allevandolo in cattività. Non tutti però lo gradiscono, men che meno la neo-vedova Bayar Gasma (Ankhnyam Ragchaa) di cui Chen Zen è innamorato.

Se Into the Wild (2007, di Sean Penn) regalò panoramiche da lacrime di pura commozione, L’ultimo lupo non è da meno mostrando una terra altrettanto cruda, piena di spiritualità e poesia. Alle volte però il film diretto dal regista francese lascia emergere più il lato documentaristico, come nella scena in cui il branco attende il momento propizio per attaccare le prede.

Sul pianeta Terra nessun paradiso è destinato a rimanere tale. Prima o poi arriva sempre la stupidità di un inferno incapace di capire e ascoltare. Così l’uomo, chiuso nella sua ottusità e comandato dalla voglia di colonizzare, ara e distrugge. A dispetto degli avvisi dei saggi pastori, altera l’ecosistema con tutte quelle conseguenze che poi andrà a rimpiangere. L’uomo potrà anche costruire grattacieli ma è davanti a un fuoco e sotto le stelle che c’è davvero da imparare.

Cosa c’è di diverso dalle imposizioni del governo cinese dalle strutture pericolanti che qui in Italia portano alle ben note inondazioni o crolli di edifici con annesse tragedie? Nulla. La cieca ideologia ordina ed esegue. La fame di danaro lascia un territorio alla merce’ di progetti sordi all’equilibrio di Madre Natura. Pensare poi che il best seller da cui è tratta la pellicola sia il libro più letto dopo il Libretto rosso di Mao, lascia intuire che cosa senta dentro di sé il popolo cinese.

Chen Zhen non è un santo. La sua salvifica scelta per il piccolo lupo col tempo si fa giogo nei confronti dell’animale, ansioso di ritrovare la propria libertà. Il resto dei lupi intanto cade impotente sotto il fuoco dinamitardo e dei fucili. Il mondo dei nomadi mongoli soccombe dinnanzi al pressante materialismo della nuova linea governativa. Ormai non c’è più posto per miti e leggende. Ormai lì (come altrove) domina la ratio della schiavitù. Resta un solo lupo da uccidere ma sopravvivrà. Esattamente come la speranza, qualcosa che nessuna dittatura è mai riuscita a estinguere.

Il trailer di L'ultimo lupo

L'ultimo lupo - l'arrivo di Chen Zhen (Shaofeng Feng) e Yang Ke (Shawn Dou) in Mongolia
L'ultimo lupo - Chen Zhen (Shaofeng Feng) e l'anziano guardano i lupi da lontano
L'ultimo lupo -  Bayar Gasma (Ankhnyam Ragchaa) con un cucciolo di lupo 
L'ultimo lupo - il funzionario di partito Bao Shunghi (Yin ZhuSheng)
Il magnifico paesaggio de L'ultimo lupo (2015, di Jean-Jacques Annaud)