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martedì 29 novembre 2016

Sex and the... Bridget Jones's Baby

Bridget Jones' Baby - la dott.ssa Rawlings (Emma Thompson) e Bridget (Renée Zellweger)
Esageratamente corretto, SexandtheCityano, inzuppato di luoghi comuni over 40 e pure mieloso. Bridget Jones's Baby (2016, di Sharon Maguire) è una prevedibile delusione.

di Luca Ferrari

15 anni sono passati dal primo sbarco cinematografico della zitella incasinata Bridget Jones. Alla regia di questa terza (e si spera ultima) "avventura", Bridget Jones's Baby (2016), è tornato Sharon Maguire. La storia nel complesso è stantia. Se nei primi due lavori la pasticciona Bridget (Renée Zellweger) era contesa tra l'impeccabile Mark D'Arcy (Colin Firth) e lo sciupafemmine Daniel Cleaver (Hugh Grant), questa volta si gioca sul binario dell'esageratamente corretto, con la new entry Patrick Dempsey al limite del buonismo zuccheroso.

Londra è cambiata. Bridget è cambiata. E pure l'attrice protagonista lo è, affidatasi a qualche ritocchino di troppo. A metà strada tra una desperate single e una laconica semi-protagonista di Sex and the City, il film vede scendere in campo pure i classici capi giovani, rigorosamente cinici e hipster. Bridget Jones's Baby è un minestrone anemico al cui confronto la mitica zuppa al filo blu preparata per la propria festa di compleanno nel primo e divertente film (Il dirario di Bridget Jones, 2001) è alta cucina. Un film da vedere proprio se in televisione o al cinema non c'è nulla che valga la propria e più bassa attenzione.

Bridget Jones's Baby - Jack (Patrick Dempsey), Bridget (Renée Zellweger) e Mark (Colin Firth)

Le mini-recensioni di cineluk

cineluk al lavoro sulle minirecensioni
A tutti i lettori di cineluk - il cinema come non lo avete mai letto, si comunica che a partire da oggi, martedì 29 novembre 2016, oltre alle classiche recensioni, potrete leggere anche dei testi più brevi, ossia delle mini-recensioni di film, series e quant'altro. Film sia nuovi, quelli che non riesco a vedere al cinema e dunque a scriverne in tempo reale, sia più vecchi che meritano comunque spazio su cineluk.

Cheers!

domenica 27 novembre 2016

Che mi dici di Fidel Castro?

Nati con la camicia - il Tigre (David Huddleston) s'informa di Castro
In attesa degli agenti speciali Mason (Bud Spencer) e Steinberg (Terence Hill), il capo della CIA detto il Tigre (David Huddleston) chiede informazioni di tutti i nemici, Fidel Castro compreso.

di Luca Ferrari

Il leader maximo cubano Fidel Castro si è spento il 25 novembre scorso all'Avana all'età di 90 anni. La sua figura è apparsa in moltissimi film, da JFK (1991, di Oliver Stone) a The Lost City (2005, di Andy Garcia), fino al monografico e meno conosciuto Fidel, la storia di un mito (2002, di David Attwood). Grazie al fondamentale contributo di un nostro devoto lettore, cineluk ha deciso di rendere omaggio al Comandante con una epica scena tratta dal film Nati con la camicia (1983, di E. B. Clucher - Enzo Barboni).

Miami, Florida (USA). Anni '80. La Guerra Fredda è ancora nel vivo. Dopo una difficilissima selezione, la CIA è arrivata a due uomini che dovranno sgominare una pericolosa banda di criminali. Il capo dei Servizi Segreti intanto, è a colloquio nel suo ufficio col proprio informatore per sapere cosa stia succedendo in giro per il mondo. Foto dell'allora presidente statunitense Ronald Reagan alle spalle, ed eccolo andare diritto: Ma che mi dici di Fidel Castro? chiede. "Beh, si è svegliato alle 12", replica l'altro. Ma che cavolo di rivoluzionario eh?!? sbotta il Tigre con tanto di pugno sul tavolo, Dorme più lui di Raquel Welsh!

Per il resto della epica conversazione, vi rimando al video qui sotto. Hasta siempre la victoria, Fidel...e pure "los scazzottadas!"


Nati con la camicia, il Tigre con gli agenti Mason e Stinberg

Nati con la camicia - gli agenti Steinberg (Terence Hill) e Mason (Bud Spencer)

venerdì 25 novembre 2016

La verità negata, la battaglia della Storia

La verità negata - l'avvocato Rampton (Tom Wilkinson)
Negazionismo e libertà d'espressione a confronto. Il verdetto può decidere, o meglio riscrivere la Storia. La verità negata (2016, di Mick Jackson). 

di Luca Ferrari

Nel 1996 David Irving accusò di diffamazione la scrittrice Deborah Lipstadt per averlo definito “negazionista dell'Olocausto”. Ebbe così inizio il processo che dimostrò la verità della Storia. In concorso al Toronto Film Festival e presentato pochi mesi fa all’XI edizione della Festa del Cinema di Roma, tratto dal libro History on Trial: My Day in Court with a Holocaust Denier di Deborah Lipstadt, è sbarcato sul grande schermo La verità negata (2016, di Mick Jackson).

Non bastano le camere a gas, le fotografie, le confessioni e le carte della macchinazione nazista per annientare tutti gli ebrei di Germania, così come zingari e omosessuali. Per molti ancora tutte queste prove non sono altro che una montatura. Una congiura sionista per prendere in mano una grossa fetta di economia mondiale. Una volta tutta questa cozzaglia di eresie venivano declamate in miseri club di estrema destra, oggi sempre più spesso  trovano proseliti in rete e tra le folle. L'inglese David Irving (Timothy Spall) era uno di loro, e stufo delle critiche della professoressa americana Deborah Lipstadt (Rachel Weisz), la citò in tribunale per diffamazione.

È uno scontro delicato. Da una parte c'è chi inneggia alla libertà di espressione, dall'altra c'è chi ha il dovere di smascherare Irving, dimostrando così la veridicità delle affermazioni della Lipstadt sul suo conto e dunque che le camere a gas non furono una menzogna. E se per caso non ci si riuscisse? Solo a pensarlo vengono i brividi. Suggeritagli da una conoscenza, Deborah si affida a quello che viene considerato il miglior avvocato d'Inghilterra, Richard Rampton (Tom Wilkinson), al cui fianco lavora un impeccabile e giovane staff guidato dall'altrettanto scaltro Anthony Julius (Andrew Scott).

Iriving punge, Rampton ribatte. Lipstadt resta in panchina. La linea operativa è chiara, l'imputata non testimonierà. Né lei né i tanti sopravvissuti all'Olocausto, una scelta inconcepibile per la stessa docente ebrea. Una scelta che l'avvocato difensore non ha fretta di spiegarle. Una scelta che capirà presto da sola. Troppo conficcate nell’incubo per  avere la mente lucida e rispondere al sadico Irving. Rampton lo sa bene e lui vuole vincere, sconfessando l'accusatore e facendolo dichiarare un mascalzone mistificatore della realtà.

Distribuito in Italia da Cinema srl, La verità negata (Denial) è un film importante. La regia di Jackson è impeccabile. Sbarca ad Auschwitz senza  abusare di immagini strappalacrime. La scelta dei protagonisti nei fatti realmente accaduti viene perfettamente assimilata dal regista che non si perde in ciò che tutti già conosciamo. Ad Auschwitz c'è la neve, il filo spinato e i resti delle camere a gas che i nazisti distrussero quando il vento del nemico cominciava a farsi sentire. C'è anche ovviamente il dolore e la paura di perdere una causa che potrebbe sancire un pericoloso precedente.

Tre attori principali e un film. Tre sontuose prove. Se la già premio Oscar Rachel Weisz (The Constant Gardener, Il grande e potente Oz, Youth - La giovinezza) è quasi fastidiosa nel rifiuto di mettere da parte i propri sentimenti, a tratti sembra perfino disposta a perdere la causa pur di alzarsi e gridare il proprio disprezzo contro il suo interlocutore. Non lesina facili critiche nemmeno a chi la sta aiutando. È comprensibile. Per lei questa causa è inaccettabile ma sarà (anche) il suo silenzio la chiave di volta del processo.

Tom Wilkinson (Michael Clayton, RocknRolla, Selma - La strada per la libertà) è imponente. Pacato. Deciso. Non mostra debolezze. Al suo personaggio piace il vino d’annata in volgarissimi bicchieri di plastica. La sua presenza ispira sicurezza. Si è circondato degli uomini giusti e questo lo sa bene, su tutti Andrew Scott (Locke, Jimmy's Hall, Pride). Il suo viso pulito nasconde una determinazione e astuzia non indifferenti. L'incarnazione che la giovane età possa colpire e far parecchio male se motivata e messa nella condizione di farlo.

Solo contro tutti, a parte qualche falange neonazi fuori dalla Corte Suprema di Londra che lo difende, è l'eclettico Timothy Spall (Rock Star, Il viaggio, Ricomincio da noi), a tratti luciferino. Non più rotondo, né poco avvezzo alle parole o sporco di colore com'era nei panni del pittore William Turner, la cui sontuosa performance avrebbe quanto meno meritato la nomination agli Oscar 2015, ma addirittura appuntito sulle sopracciglia. Acuminato. Sostiene le proprie tesi e continuerà a farlo. Nega l'evidenza. Parla quando deve parlare. Forse pecca in superbia ma non lo lascia mai emergere.

È prassi scrivere una recensione subito dopo aver visto la pellicola. Dialoghi in testa. Dettagli freschi. Questa volta è stato diverso. Ispirandomi proprio all’approcio dell’avvocato Rampton, ho lasciato passare più di 48 ore prima di appoggiare le dita alla tastiera e dare inizio alle "danze recensionistiche" de La verità negata. Mi sono volutamente distaccato da quanto visto. Ho lasciato che il film sedimentasse dentro, venendo sepolto da un mix alternato e più leggero di serie televisive del tutto avulse dalla Storia.

Il mondo è un posto che non smette di inorridire. Quale che sia la tragedia, ci sono sempre le fazioni negazioniste che spu(n)tano senza ritegno. A ben guardare lo spirito del nazismo è più vivo che mai. È vivo quando guardiamo con sdegno esseri umani che bussano alla nostra porta chiedendo aiuto, rispetto e magari un sorriso. È vivo quando invece di confrontarci con chi non è d’accordo, lo insultiamo nel nome della libertà di parola. È vivo e uccide ancora ogni qual volta ridimensioniamo la portata di fazioni politiche e personaggi che spingono alla divisione parlando di noi e loro, di guerre di civiltà o altre menzogne simili.

La verità negata non è solo un film di cronaca sul tentativo di Irving di far mettere a verbale che l’Olocausto fu una montatura costruita ad arte per dare uno stato al popolo d’Israele. La verità negata (2016, di Mick Jackson) è un film che parla il linguaggio universale del non restare inermi dinnanzi alla negazione dei fatti. E quando si cercano attenuanti, è solo per nascondere la verità. E quando non si vuole chiamare l’orrore col proprio nome, l’odore di morte delle camere a gas di Auschwitz è già pronto per tornare ad aggirarsi in Europa così come nel resto del mondo.

Il trailer de La verità negata in lingua originale

La verità negata - lo scrittore David Irving (Timothy Spall) e la professoressa Lipstadt (Rachel Weisz)

giovedì 24 novembre 2016

Friends, Brad Pitt e il Ringraziamento

Friends - Will (Brad Pitt) e Ross (David Scwimmer)
Qual è la sitcom ideale per assaporare al meglio la Festa del Ringraziamento? Io non ho dubbi, Friends e gli amici del club "Io odio Rachel".

di Luca Ferrari

Sembra passata un'eternità da quando Friends imperversava sul piccolo schermo. Non eravamo schiavi di smartphone né social network e le serie televisive si vedevano senza passare per il web. Quello era il tempo di Friends e i suoi mitici protagonisti. Nel corso delle 10 stagioni molte furono le comparsate di attori famosi: Robin Williams, Tom Selleck, Bruce Willis,George ClooneyJohn Favreau e la futura premio Oscar Reese Whiterspoon. Nell'VIII serie (9° puntata) arrivò anche il momento di Brad Pitt, all'epoca fidanzato con Jennifer Aniston, ossia l'attrice interprete di Rachel Green nella serie.

Rachel era la più carina della scuola, la classica reginetta snob e piena di soldi. Tra i molti che ambivano a un suo sorriso senza ricevere mai neanche lo straccio di uno sguardo c'erano l'allora obeso Will e Ross. Fu allora che i due sventurati nerd decisero di fondare il club "Io odio Rachel". Un fatto che l'ormai cresciuto paleontologo Ross Geller (David Schwimmer) non aveva mai confessato all'amata Rachel nel corso della loro lunga e turbolenta relazione sentimentale. Questo almeno fino all'incontro con il ritrovato Will (Brad Pitt), oggi dimagrito e decisamente più sexy.

I traumi dell'età adolescenziale però sono duri a morire, anche a distanza di anni. Will infatti ha ancora il dente avvelenato con Rachel e quando finalmente se la ritroverà davanti il giorno della Festa del Ringraziamento alla tavola di Monica (Courtney Cox), Chandler (Matthew Perry), Joy (Matt Le Blanc) e Phoebe (Lisa Kudrow), l'acidità esplode in tutto il suo più trattenuto disappunto. Partono frecciate e soprattutto viene svelata la verità del suo passatempo liceale insieme al già citato Ross. Un club ostile alla bella Rachel ma non solo. I due infatti misero in giro una strana voce sulla ragazza. Manco a dirlo Rachel non gradirà troppo la cosa.

Brad Pitt (L'arte di vincere, Fury, La grande scommessa) è semplicemente grandioso. Difficile immaginarselo "sfigato" e bulimico. Molto azzeccata la sceneggiatura della puntata. Sarebbe stato facile che si presentasse dai sei Friends come ex-fidanzato di Rachel, e invece no. L'esatto contrario. Lui con lei non c'è mai stato. Lui la odia da decenni. Lui aveva co-fondato il club Io odio Rachel. E chi poteva esserci al suo fianco se non il sempre più pavido e insicuro Ross? A chi la festeggia, buona Festa del Ringraziamento. A chiunque, godetevi la puntata di Friends "Il club segreto".

Alla cena di Friends arriva Brad Pitt

Friends - (da sx) Will (Brad Pitt), Monica (Courteney Cox), Chandler (Matthew Perry),
Phoebe (Lisa Kudrow), Rachel (Jennifer Aniston) e Ross (David Schwimmer)

giovedì 17 novembre 2016

Animali notturni, il noir della vendetta

Animali notturni - lo sceriffo Bobby Andes (Michael Shannon)
Paura e morte. Buio e sabbia. Gli animali notturni colpiscono senza pietà. Se la giustizia non agisce abbastanza, è giunto il tempo della vendetta... di Tom Ford.

di Luca Ferrari

Un tranquillo viaggio familiare si trasforma nel peggiore degli incubi. Storia vera o la trama di un nuovo e impeccabile romanzo? Uomo contro uomo. Dolore contro (in)giustizia. Lacrime violentate sotto la sabbia del deserto più spietato. Quale che sia l'esito, l'amore è destinato a essere immolato. Presentato in concorso a Venezia 73 e distribuito da Universal Pictures, sbarca oggi sul grande schermo Animali notturni (2016, di Tom Ford).

Susan Morrow (Amy Adams) ed Edward Sheffield (Jake Gyllenhaal) sono stati fidanzati ai tempi del college. Complice anche l'ingombrante e giudicante presenza della madre  di lei, Anne (Laura Linney), tra i due è finita e ora la donna vive una statica relazione d'alto rango con il ricco Walker Morrow (Armie Hammer). Un'ombra dal passato però ora è giunta tra le mani di Susan, il nuovo manoscritto dell'ex, Tony. Un libro che la proietterà in una dimensione di puro orrore dove l'essere umano è carnefice senza scrupoli né pietà. Un libro dedicato proprio a lei.

Il volume racconta la triste vicenda della famiglia Hastings: Tony (Gyllenhall), la moglie Laura (Isla Fisher) e la loro figlia adolescente India (Ellie Bamber). Stanno viaggiando nel cuore dell'oscurità texana fino a quando sulla loro strada incontrano l'auto di tre sbandati capitanati dal sadico Ray Marcus (Aaron Taylor-Johnson). Non c'è nessuno cui chiedere aiuto. Un padre di famiglia proteso a difendere le sue due “ragazze” è carne da macello per i balordi, e ancora di più India e Laura, fragili farfalle stritolate nella soffocante e volgare ragnatela.

L'indomani ha inizio una nuova caccia. Al fianco di Tony prende posto lo scafato sceriffo Bobby Andes (Michael Shannon), malato di cancro ai polmoni, e deciso a risolvere il caso in un modo o nell'altro. Non sembra così deciso a credergli in principio. Vuole capire bene con cosa abbia a che fare. Se deve dare la caccia a qualcuno del posto, è bene che la verità sia quella ascoltata. Bobby è solo guardingo. Raccoglie la deposizione e poi passa ai fatti. La giustizia la farà qualcun altro, lui ha ben altro in mente... e nella fondina.

Presentato in concorso alla 73° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto - 10 settembre 2016) a sfilare sul red carpet e a rispondere alle domande della stampa mondiale c'erano il regista, Tom Ford e gli attori Amy Aadams (in laguna anche per l'anteprima di Arrivals), Aaron Taylor-Johnson e Jake Gyllenhall.

Dici Tom Ford e pensi alla moda. Vedi Animali notturni di Tom Ford e capisci di avere a che fare con qualcosa di diverso e ancor più spietato. Il buio del Texas vomita autentico terrore. Ti penetra dentro. Vorresti accendere la luce e salvare le vittime ma non è così. C'è solo il freddo balbuziente del risveglio dove le tenaglie del rimorso mordono ogni sinolo nervo della propria anima, lasciando al tiepido sangue un fragile sentiero tra la fine e l'abisso.

Più che un noir o un thriller, Animali notturni è un autentico dramma umano. Il dramma di chi non è in grado di difendersi mentre lì fuori la giungla dell’abuso è la normalità più accettata. Un mondo dove l’ordine è un'utopia e la sola medicina per lenire la atroci ferite riportate sia niente di più niente di meno che la vendetta. È il mondo dell'indifferenza e dell'ignoranza, che oggi più che mai ti sputa da qualsiasi direzione.

Michael Shannon è monumentale. Stanco. Logorato. Cattivo. Deciso. È stufo delle cazzate dei burocrati. È stufo di vedere innocenti cadere sotto i fendenti di grassi avvocati. Non alza mai la voce. Il suo Bobby Andes non è un cowboy dal cuore immacolato. La sua vita terrena è stata scandita dal sole crudele del sud degli Stati Uniti e migliaia di pacchetti di sigarette. Non vederlo vincitore alla prossima edizione dei Globe e degli Oscar, sarà da considerarlo un atto di pura cine-blasfemia.

Michael Shannon è un attore eclettico come pochi. Classe '74 di Lexington (Kentucky), si è definitivamente fatto conoscere al grande pubblico interpretando il generale Zod nel L'uomo d'acciaio (2013, di Zack Snyder). Già in laguna due anni fa nei panni del "GordonGekkiano" Rick Carter nel sottovalutato e molto attuale 99 Homes, ha cambiato del tutto pelle nel più recente Freeheld - Amore, giustizia e uguaglianza, sostenendo la collega lesbica e malata, per poi sfidare il Presidente Kevin Spacey nelle vesti di Re del Rock in Elvis & Nixon (2016, di Liza Johnson).

I riflettori della 73° Mostra del Cinema si sono spenti da un pezzo ma non il battito sbandato di Animali notturni. Trama a tratti molto semplice ma ben avviluppata nel dubbio finzione/realtà e sostenuta da recitazioni di primissimo livello. Shannon a parte, Gyllenhall incarna l'uomo che nessuno vorrebbe mai essere mentre Taylor-Johnson è quanto di più viscidamente crudele ci possa essere al mondo. Un giorno toccherà anche a noi incontrarlo, come reagiremo griderà al mondo chi saremo da quel giorno in poi.


Animali notturni, di Tom Ford

Animali notturni (2016, di Tom Ford)
Animali notturni -  un devastato Tony Hasting (Jake Gyllenhall)

mercoledì 16 novembre 2016

The Accountant, l'incomunicabilità uccide

The Accountant - il misterioso Christian Wolff (Ben Affleck)
Dramma. Vendetta. Un genio autistico dei calcoli sa insolitamente usare le mani e le armi come nessuno. The Accountant (2016, di Gavin O’ Connor).

di Luca Ferrari

Christian Wolff è un contabile. Un lavoro noioso e ordinario. Almeno in apparenza. Tra i suoi clienti ci sono alcuni dei più efferati criminali del pianeta. Affetto da autismo fin da giovanissima età, le sue capacità di analisi e calcolo sono fuori dal comune. La sua è un’esistenza solitaria e molto ben protetta. Qualcuno però si è accorto della sua esistenza e vorrebbe incastrarlo. Ma aldilà delle sue indubbie capacità, non sarà un compito facile per più e complesse ragioni. The Accountant (2016, di Gavin O’ Connor).

Il fior fiore della criminalità di alto lignaggio ha qualcosa in comune, anzi, qualcuno. È un uomo in apparenza normale, tale da passare inosservato. Qualcun però si è accorto di lui. È l’agente Raymond King (J. K. Simmons), prossimo alla pensione, e deciso ad arrestarlo prima di appendere il distintivo al chiodo. Ad aiutarlo in questa caccia più o meno limpida, l’analista Medina Marybeth (Cyntia Addai-Robinson). Un curriculum impeccabile se non fosse per qualche peccatuccio che credeva crittato.

Ha inizio la ricerca, e il primo passo è capire le proprie generalità. Prenderlo verrà dopo. Tecnologia e acume umano uniscono le forze fino a far emergere. Il suo nome è Christian Wolff (Ben Affleck). Il mestiere lo ha imparato in un carcere federale, diventando il protetto dell’esperto di riciclaggio Francis Silverberg (Jeffrey Tambor). Una misteriosa voce gli dice dove operare. Compreso l’interesse della legge, il suo nuovo lavoro è un incarico di tutto rispetto, la Living Robotics di cui è titolare Lamar Blackburn (John Lithgow).

Christian è un contabile e come tale le sue mansioni vengono richieste per la verifica di alcuni conti che non tornano, come ha scoperto la giovane Dana Cummings (Anna Kendrick). La doppia identità dell’uomo dei numeri è ignara a Lamar, un qualcosa che presto scoprirà. Lui e il suo esercito di mercenari che lo proteggono, capitanati Braxton (Jon Benthal), un uomo quest’ultimo che ha qualche conto in sospeso proprio con il rivale che volente o nolente dovrà affrontare.
The Accountant non è un film sull’autismo. In questa pellicola si parla anche du questo problema ma potrebbe essere un altro. Ben Affleck (Pearl Harbor, Daredevil, Argo) sa dividere come pochi. La massa muscolare messa su per calcare le vesti dell’uomo-pipistrello in Batman v Superman, Dawn of Justice  (2016) si vede ancora. Il vocabolario limitato nel film lo rendono quasi più robotico che umano, tale da immaginarmelo già nei panni Schwarnzeggeriani di Terminator.

Anna Kendrik (1985) è uno degli indubbi volti nuovi di Hollywood. Minuta e dalla bellezza acqua e sapone della porta accanto, ha saputo calarsi nell’ennesimo ruolo diversificato della sua giovane ma già molto prolifica carriera. Abbandonate le vesti vampiresche della saga di Twilight, è stata svezzata al lavoro sporco da George Clooney in Tra le nuvole (2005) per poi diventare la Cenerentola in fuga del corale Into the Woods (2014).

Da molti etichettato come un film sulla falsariga di A Beautiful Mind (2002, di Ron Howard), incentrato sulla figura del genio matematico e autistico John Nash (inetrpretato da Russell Crowe), l’opera di O’ Connor non potrebbe essere più differente, Difficile classificare The Accountant in un unico genere. Alla base c’è l’incomunicabilità di un ragazzo e il disperato tentativo di un padre di non lasciarlo al di fuori del mondo. Il risultato sarà un'infallibile macchina da calcolo-guerra sotto la cui piattaforma batte però ancora un cuore.

Entra nel mondo di The Accountant

The Accountant - Dana Cummiongs (Anna Kendrick)
The Accountant - Christian (Ben Affleck) e il suo mentore Franics (Jeffrey Tambor)

mercoledì 9 novembre 2016

Non sono solo 7 minuti

7 minuti - Bianca (Ottavia Piccolo)
Un piccolo ritocco sulla già esigua pausa pranzo non è un dettaglio da poco, ma un astuto ricatto della classse padronale. Tratto da una storia vera, Michele Placido dirige il "femminile" 7 minuti.

di Luca Ferrari

Una fabbrica sta vendendo. I nuovi proprietari d’Oltralpe hanno comunicato le loro intenzioni. Nessuno perderà il posto. Nessuna porta verrà chiusa. Questo almeno se le 11 delegate sindacali che rappresentano il pensiero delle oltre trecento dipendenti accetteranno di togliersi sette minuti dai 15 complessivi di pausa pranzo. Chi non accetterebbe? Ispirato a fatti realmente accaduti a Yassingeaux (Francia) e basato sul testo teatrale di Stefano Massini, è sbarcato sul grande schermo 7 minuti (2016, di Michele Placido), film presentato al Festival del Cinema di Roma.

Italia, 2016. L’esperta delegata sindacale Bianca (Ottavia Piccolo) è a colloquio con la nuova e vecchia dirigenza dell’azienda tessile ove lavora da oltre trent’anni. Le altre dieci rappresentanti la attendono per conoscere il destino del proprio posto di lavoro e di altre centinaia di colleghe, tutte fuori dai cancelli tra paura, proteste e speranza. Parole e convenevoli si sprecano. Le ore passano. Il clima “lavoratore” si fa sempre più insofferente. Verso il primo pomeriggio la donna esce. Ha con sé una busta. Dovranno votare SI o NO all’offerta di madame Rochette (Anne Consigny).

Tutto resterà uguale. Nessun licenziamento previsto. Nessun trasferimento in qualche paradiso fiscale. La sola richiesta (pretesa) è la rinuncia a pochi minuti di pausa pranzo. Fa quasi ridere. Partono risate, telefonate. Si rilassano tutte, non lei. Bianca è preoccupata e prima della votazione ufficiale chiede di riflettere. Conti alla mano, ogni mese la proprietà guadagnerà 900 ore di lavoro gratuito fra tutte le dipendenti. 900! Oggi sette minuti e domani? Quanto era lunga la pausa pranzo quando Bianca cominciò a lavorare? Gli umori cambiano. Il fronte si spacca. Il potere divide il popolo. Una formula che funziona dalla notte dei tempi.

A guidare la furiosa crociata del “si” in modo anche sguaiato è Angela (Maria Nazionale), un marito in cassa integrazione ("che non esce di casa per la vergogna" sottolinea lei stessa) e quattro figli a carico. Angela vuole il lavoro e lo vuole subito. Per lei non esistono gli ideali. Con le idee non si pagano le bollette né si comprano i libri di scuola. Angela è l'emblema di quel mondo pauroso che sarà sempre schiavo. Una volta non c’era nulla, oggi c’è la libertà dei social network ma le catene restano catene. 


Non è da meno Kidal (Balkissa Maiga), africana. Non si fida nessuno, nemmeno di Bianca, che anzi accusa di accordi segreti con la neo-dirigenza. Sono straniere anche Hira (Clèmence Poesy), albanese, e Micaela (Sabine Timoteo), rumena. Storie difficili le loro, anche molto tristi. Il rischio del foglio di espulsione farebbe accettare qualsiasi accordo, figuriamoci 7 minuti in meno per una futile pausa pranzo. Hanno paura, ma sanno che potrebbero averne ancora di più. 
 
Greta (Ambra Angiolini) è una combattente di fede cattolica. Sbuffa. Sbraita. Ringhia. Sbeffeggia. Alza le mani. Marianna (Violante Placido) era un’operaia come le altre, poi un incidente sul posto di lavoro l’ha obbligata sulla sedia a rotelle e ora lavora in ufficio contabilità. A decidere le sorti dell’azienda con il proprio voto ci sono anche Isabella (Cristiana Capotondi), incinta, sua mamma Ornella (Fiorella Mannoia) e Sandra (Luisa Cattaneo). Punto di congiuntura dei due fronti, la ventenne Alice (Erika D’Ambrosio), passata dalla spensieratezza dei banchi di scuola alla realtà della fabbrica. È il mondo che sarà. Tra le sue mani c’è molto di più di un singolo voto.

 
Non possiamo o non vogliamo fare niente?” chiede Bianca. Il problema è sempre lì. Chi non ha rispetto dell’operato umano conosce bene i lati sensibili della classe lavoratrice. Il potere sa bene che la “manovalanza” non può permettersi di perdere l’impiego e forte della propria posizione, chiede sapendo bene di avere partita facile. Ma che succederebbe se il popolo rispondesse unito e deciso? Quel arringante “come un sol uomo” che spronava Massimo Decimo Meridio (Russell Crowe) in mezzo alle frecce del Colosseo è una legge non scritta che valeva allora tra le tigri e vale ancora oggi tra i canini dell’economia più subdola.

Nessuno della fabbrica è nella posizione di poter vivere di ideali ma ci sono operaie che scelgono di rischiare e lottare, pensando in prospettiva a ciò che potrà essere il loro futuro. Poi ci sono quelle che restano vittime e sono disposte anche a strisciare pur di avere la certezza della terra sotto i piedi. È su queste, quasi sempre la maggioranza del pensiero, che fa leva e affidamento la classe sfruttatrice.

Lo scontro è impari ma c’è un’altra considerazione su cui volgere lo sguardo. Dov’è la politica in tutto questo? Dove sono quei rappresentanti che dovrebbero avere come primo pensiero il benessere dei cittadini? Se la popolazione vive bene e guadagna poi spende, dunque l’economia gira. L’equazione è semplice ed elementare eppure non viene mai applicata, perché? È evidente che la formula "minor guadagno-maggior controllo" sia più conveniente se il popolo rimane in cattività.

7 minuti è uno di quei film sempre più rari che alla stregua di pellicole come Due giorni, una notte (2014, di Jean-Pierre and Luc Dardenne) meriterebbe di essere visto dal milioni e milioni di persone. Tra tutte le ottime interpreti, a salire in cattedra sono soprattutto Ambra Angiolini e Ottavia Piccolo. Quest'ultima è una guerriera stanca ma ancora volitiva nel voler usare la pericolosa arma del cervello. È paziente. Consumata. Ne ha viste tante ma ha ancora molto da insegnare. L’attrice bolzanina da anni residente a Venezia conferisce al suo personaggio fierezza, grinta e preoccupazione.

Se nel recente Veloce come il vento (2016), Stefano Accorsi ha interpretato il ruolo migliore della sua carriera (fin'ora) nei panni dell'ex-pilota tossico Loris detto il ballerino, 7 minuti potrebbe aver rappresentato lo stesso traguardo per Ambra Angiolini. Il suo personaggio è una pugile incazzosa. Ce l’ha col mondo intero. Non teme di mostrare le lacrime oltre alla forza bruta. La sua fede è Gesù Cristo. Dei tanti tatuaggi sul proprio corpo svetta la parola amen sul collo. È una delle prime ad accettare il facile “si” ma col passare dei minuti capisce che la forza non sta solo nei pugni ma anche in parole & pensieri, dimostrazione umana di cambiamento, intelligenza e caparbietà.

Violante Placido aveva forse il compito più difficile, dare credibilità a una donna handicappata senza scadere nel facile pietismo. La prova si è rivelata vincente. Recita come una maratoneta. Parte lenta senza restare indietro poi quando è il momento di attaccare, lo fa, andando oltre i propri limiti. Quando può rallentare lo fa mantenendo integrità e forza. Potrebbe essere la prima sacrificata o forse no. Lei comunque è pronta a lottare.

7 minuti (di Michele Placido) è un film da vedere. Un film di cui suggerisoco la visione in particolare al regista americano Michael Moore, la cui fasulla opera Where To Invade Next (2016) dipinge il mondo lavorativo italiano come un’oasi di diritti rispettati, lunghe pause pranzo da consumare perfino in casa propria con pasta fatta in casa e vacanze retribuite. Un’immagine a dir poco bugiarda. Un’opera che è un insulto alle difficili lotte (molte già perse in partenza) di troppi lavoratori nostrani. 7 minuti di Michele Placido al contrario è un film duro, veritiero e intelligente. Avanti popolo, alla riscossa.


11 donne e una scelta da prendere: 7 minuti, di Michele Placido

7 minuti – Il potere trama, il popolo si divide
7 minuti - Greta (Ambra Angiolini)

sabato 5 novembre 2016

Novembre 2016, i film del mese

Alcuni dei nuovi film più attesi in arrivo: 7 minuti, Sing Street e La ragazza del treno
Siamo arrivati al penultimo mese del 2016 e anche Novembre si preannuncia come un "cine-pozzo" di San Patrizio per nuove e diversificate avventure sul grande schermo.

di Luca Ferrari

BAFTA, Globe e Oscar. Sono tutti nel mirino e puntuale l’autunno si fa stagione prolifica e ricca di variegate proposte cinematografiche di qualità. Novembre non fa eccezione, anzi. La prima settimana del mese, giovedì 3 novembre, ha visto l’uscita del corale (femminile) 7 minuti di Michele Placido, dove al centro della scena c’è il precario mondo lavorativo della fabbriche deciso a non chinare la testa ai ricatti dei padroni.

Altra uscita interessante, direttamente dall’omonimo romanzo di Paula Hawkings, La ragazza del treno con protagonista l’inglese Emily Blunt. Il 9 novembre invece tocca alla commedia inglese Sing Street, un tuffo al cuore per chi ha vissuto gli anni ’80 da adolescente e con canzoni che continuano a far sognare. È già cult la frase del trailer “nessuna donna può prendere sul serio un uomo che ascolta Phil Collins”.

Con le nuove uscite, attesa anche per la neo-opera Bellocchiana, Fai bei sogni, direttamente dall’omonimo romanzo del giornalista Massimo Gramellini. Sempre mercoledì 9 novembre Edoardo Leo si mette dietro davanti (e dietro) la telecamera in Che vuoi che sia, seconda opera del regista romano, già insieme ad Anna Foglietta nell’applauditissimo Noi e la Giulia e compagni di set anche nel pluripremiato Perfetti sconosciuti (2016, di Paolo Genovese).

Il 17 novembre, oltre al “sognante” Animali fantastici e doce trovarli, torna protagonista Venezia 73 con Animali notturni di Tom Ford con Amy Adams, Jake Gyllenhall e Michael Shannon, quest'ultimo nel ruolo che spero vivamente gli dia la prima meritatissima statuetta della sua carriera. Altri sontuosi terzetti attoriali 3 Generations con Naomi Watts, Elle Fanning e Susan Sarandon e La verità negata con Rachel Weisz, Tom Wilkonson e Timothy Spall, storia vera della scrittrice Deborah E. Lipstadt opposta al collega negazionista David Irving. 

Per gli amanti del genere spy-war story, ambientato nella II Guerra Mondiale, il 24 novembre, Robert Zemeckis dirige Allied – Un’ombra nascosta con Brad “Fury” Bitt e la premio Oscar Marion Cotillard (Un’ottima annata, La vie en rose, Due giorni una notte). Tra le ultime proposte del mese, un'altra opera direttamente dall'ultima edizione del festival veneziano, Platenarium, con la premio Oscar Natalie Portman e la giovane Lily-Rose Melody Depp, figlia di "capitan" Johnny e Vanessa Paradis.

3 novembre

 9 novembre
  • Fai bei sogni (di Marco Bellocchio con Valerio Mastrandrea e Berenice Bejo)
  • Che vuoi che sia (di e con Edoardo Leo, Anna Foglietta e Rocco Papaleo)
  • Sing Street (di John Carney con Ferdia Walsh-Peelo, Jack Reinor e Aidan Gillen)
  • A spasso con Bob (di Roger Spottiswoode con Luke Threadway)
  • Masterminds: i geni della truffa (di Jared Hess con Zack Galifianakis e Owen Wilson)

17 novembre

24 novembre
  • Allied - Un'ombra nascosta (di Robert Zemeckis con Marion Cotillard e Brad Pitt)
  • Il cliente (di Asghar Farhad con Shahab Hosseini e Taraneh Akidoosti)
  • La cena di natale (di Marco Ponti con Riccardo Scamarcio e Laura Chiatti)
  • Palle di neve - Snowtime (di Jean-Francois Poulliot, animazione francese) 
  • Monte (di Amir Naderi con Andrea Sartoretti e Claudia Potenza)
  • Planetarium (di Rebecca Zlotowski con Natalie Portman e Lily-Rose Melody Depp)
Buona visione e buon cinema.
La verità nascosta (2016, di Mick Jackson)
La ragazza del treno (2016, di Tate Taylor)
7 minuti (2016, di Michele Placido)
Allied - Un'ombra nascosta (2016, di Robert Zemeckis)
Sing Street (2016, di John Carney)

mercoledì 2 novembre 2016

In guerra per amore... della Sicilia

In guerra per amore - Arturo (Pif) e Flora (Miriam Leone)
Nel mezzo della storia (vera) di come la Sicilia venne abbandonata alle spietate grinfie della mafia, due neo-Romeo e Giulietta lottano per stare insieme. In guerra per amore (2016, di Pif).

di Luca Ferrari

Che cosa saresti disposto a fare per l’amore della tua vita? Si fa presto a dire tutto e poi restare con le mani in mano lasciando la propria amata al più scaltro rivale. Il timido Arturo invece non si perde d’animo e un po’ per volontà, un po’ per caso, eccolo ritrovarsi alla periferia “sicula” della II Guerra Mondiale pur di ottenere la mano della sua bella. Lì nel mezzo e attorno, un mondo che stava cambiando e avrebbe segnato per sempre una terra con la violenza più spietata. È uscito sul grande schermo In guerra per amore (2016, di Pif).

New York, 1943. Arturo Giammarresi (Pif) è un semplice cameriere innamorato di Flora (Miriam Leone), figlia del proprietario del ristorante ove lavora, Alfredo (Orazio Stracuzzi), che è anche lo zio di lei. A dispetto del sentimento che unisce i due giovani e i propositi di vivere insieme, c’è come sempre di mezzo l’interesse. La fanciulla infatti è già stata promessa a Carmelo (Lorenzo Patanè), figlio del potente boss locale Don Tano (Mario Pupella).

Non sembra esserci soluzione se non quella più estrema. Tornare in Italia, e più precisamente in Sicilia, per chiedere la mano di Flora direttamente a suo padre. Se già in tempo di pace un viaggio del genere avrebbe richiesto tempo e danaro, figuriamoci ora che in Europa è in corso la II Guerra Mondiale. Il fato però da una mano al buon Arturo. Gli Stati Uniti infatti hanno deciso di stringere d’assedio il nemico penetrando in Italia dalla punta più meridionale e sono alla ricerca di uomini che conoscano il territorio.

Le carte però non bastano. I nazisti sono un osso duro. Come fare per fiaccare la resistenza locale senza perdere troppo tempo evitando inutili spargimenti di sangue con la popolazione civile? Ecco allora l’idea. Prima di partire, l’alta dirigenza militare fa una chiacchierata col boss mafioso Lucky Luciano (Rosario Minardi), in carcere oltreoceano. L’accordo viene trovato.Ad accogliere i militari stranieri e fare in modo che tutto fili lisci ci sarà Don Calo’ (Maurizio Marchetti). Lì nessuno farà opposizione, e anzi i fascisti si consegneranno senza colpo ferire.

Gli USA partono alla volta del Bel paese incluso Pif, sotto il comando del tenete Philip Catelli (Andrea Di Stefano). Ordine dopo ordine e con i preziosi suggerimenti di Din Calo’, Catelli si vede costretto a scarcerare persone poco raccomandabili poiché identificate come “antifascisti”. Decide allora di parlarne col suo superiore (James Maone) ma gli ordini sono ordini, e se la Mafia è stata in grado di non far consumare alcun proiettile né versare una goccia di sangue ai loro soldati, perché mettersi di mezzo?

Se l’ingenuo innamorato Arturo, tra un incontro con i “collodiani” Saro (Sergio Vespertino), cieco e Mimmo (Maurizio Bologna), zoppo, e quattro chiacchiere col piccolo Sebastiano (Samuele Segreto), figlio della bella Teresa (Stella Egitto), che attendono il ritorno di suo padre, non fa altro che pensare a cosa dire al futuro (si spera) suocero, giorno dopo giorno la Sicilia venne consegnata al potere della Mafia. Una strada senza ritorno.

In guerra per amore non è una fiaba inventata a tragico fine ma ciò che è accaduto veramente in quei convulsi anni di fine-conflitto mondiale. Dopo l’esordio alla regia con La mafia uccide solo d’estate (2012), Pif ri-dichiara il suo sofferto amore per la Sicilia. Una terra di rara bellezza stritolata dal potere assassino delle mafie, per anni nascosto fino all'evidenza con i suoi delitti più efferati ai danni di illustri e coraggiosi personaggi dello Stato Italiano.

Ma come fu possibile che tutto ciò sia avvenuto sotto il naso dell’esercito più potente del mondo? Banalmente, fu deciso di lavarsene le mani. L’allarme infatti era stato dato, e in modo anche ufficiale. Era il 1943, e poco dopo lo sbarco americano in terra sicula, fu redatto il rapporto Scotten, dal nome dell’ufficiale che lo scrisse sul tema "Il problema della mafia in Sicilia".

Per convenienza, forse poco tempo e chissà, si lasciò perdere. Cavalcando l’ondata anti-comunista ed ergendosi a baluardo dei valori democratici e cristiani (…), la mafia prese a mani basse il controllo della Sicilia. Emblema di ciò, l’estradizione in Italia proprio di Lucky Luciano “per servizi resi durante la seconda guerra mondiale". In un tempo in cui sarebbe stato ancora possibile intervenire cambiando la storia della Sicilia e non solo, si lasciò perdere.

La II Guerra Mondiale non fu solo nazismo. In Italia anche fascismo, un fenomeno troppo ridimensionato e i cui orrori furono tutti addebitati al solo Adolf. Un gioco malvagio in cui Benito Mussolini venne tirato dentro quasi senza colpa, dicono. Nel terzo millennio ancora troppi ignorano cosa sia stato davvero il fascismo e peggio, lo rimpiangono. Tutti pronti a puntare il dito contro Hitler e le sue camere a gas, dimenticando però come il Duce, all’epoca senza alcun sostegno nazista, abbia usato i gas nervini contro la popolazione etiope per la sua sete di conquista imperiale o di come trattasse i contestatori (vedi Antonio Gramsci).

Così, mentre nel comune veneziano di Jesolo emergono folli per non dire vergognose proposte di dedicare edifici al duce Benito Mussolini, Pif risponde inconsciamente a questo sentimento a modo suo. Tra una risata e un bombardamento, ecco il vecchio Agostino (Antonello Puglisi) disfarsi della statua del Duce in un modo che ha un che di profetico e vendicativo.

Non sarò certo io a mettere in discussione l’interpretazione di Marlon Brando ne Il padrino ma continuo a sostenere l’idea che troppo spesso il mafioso non venga rappresentato come dovrebbe, ossia un essere spregevole alla stregua di quella feccia che commette le azioni più brutali nel mondo. Con il suo stile originale  Pif racconta una storia che a parte (forse) i siciliani, in Italia conoscono in pochi. Una storia che andrebbe sviscerata per prendere coscienza di un problema che non riguarda solo Corleone e dintorni, ma l’intera penisola.

In guerra per amore
...della Sicilia. Bella, incantevole e talvolta irraggiungibile. Inespugnabile? Sarà così anche per i sentimenti di Flora e Arturo?

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In guerra per amore - Arturo (Pif) regala del latte in polvere al piccolo Sebastiano (Samuele Segreto)
In guerra per amore - da sx, il tenente Catelli (Andrea Di Stefano),
il comandante Vincent Riotta (James Maone) e il boss locale Don Calo' (Maurizo Marchetti)