Sono tornato - il duce Benito Mussolini (Massimo Popolizio)
"La gente crede ancora che il fascismo sia diverso dal nazismo". Black humour e fin troppo (scomodo) realismo nella commedia Sono tornato (2018, di Luca Miniero).
"Anche allora la gente rideva. Anche allora credevano fosse solo un comico. La gente dimentica. Crede ancora alla favola che il fascismo fosse diverso dal nazismo come se si potesse essere più o meno assassini. Più o meno vigliacchi". Sono queste alcune delle parole di nonna Lea (Ariella Reggio) rivolte al Duce in persona, Benito Mussolini (Massimo Popolizio), riapparso d'improvviso nel XXI secolo e pronto a riconquistare l'Italia. Sono tornato (2018, di Luca Miniero), versione italiana del tedesco Lui è tornato su Adolf Hitler.
La gente crede ancora che il fascismo sia diverso dal nazismo. Basterebbero queste poche e semplici parole pronunziate da chi vide con i propri occhi l'orrore di quell'epoca, per chiudere la questione così. Invece no. Questa è una nazione di stupidi e ignoranti. Una nazione che si ciba di post e titoli senza arrivare neanche alla seconda riga di un articolo. Una nazione dove si dimentica con troppa facilità e si accusano gli ultimi di ogni male. Una nazione dove il populismo e la xenofobia sono oggigiorno rappresentanti del volere del popolo.
E sono in tanti ancora a credere che il fascismo sia stato diverso dal nazismo. E lo credono convinti aldilà dei libri di storia, le stragi accertate e i campi di concentramento. I cattivi sono sempre gli altri. I cattivi non sono mai quelli della propria nazione. In casa propria non ci sono ladri né corrotti. In casa propria non ci sono assassini né stupratori. In casa propria ci sono solo brave persone e se le cose non funzionano, c'è di sicuro una congiura internazionale che ordisce alle nostre povere e inconsapevoli spalle.
Mi sarebbe piaciuto scrivere la recensione di Sono tornato (2018, di Luca Miniero) ma ho preferito partire e concludere con i ricordi di nonna Lea, sbattuti in faccia e senza paura a Mussolini in persona. Lei che fu l'unica a capire che chi le stava davanti non era un attore ma colui il quale mandò a morire milioni di persone. Lei rappresenta la voce di quei pochi (sempre meno) che ancora oggi credono in un'Italia migliore. Una speranza ormai sempre più utopistica. Una speranza strozzata nella melma condivisa dei latrati online.
Oggi assistiamo impotenti a orde di ciarlatani ignoranti che se ne vanno in spiaggia a cacciare i "baluba". Oggi (e ieri) assistiamo impotenti a negri africani e asiatici trattati come bestie, senza il benché minimo straccio di umanità. "Eh se ci fosse ancora il Duce", si mormora sempre più ad alta voce e senza vergogna. Nella realtà Benito Mussolini sarà anche morto ma non la sua anima più nera così come i suoi pensieri più spregevoli. Per sempre più persone lui sarebbe ancora la soluzione a tutto. Per sempre più persone il Duce farebbe tornare l'Italia a essere una vera e forte potenza.
Nel film Sono tornato Mussolini si trova a suo agio nel terzo millennio. All'epoca l'ignoranza del popolo fu la sua fortuna. Oggi, nell'epoca delle informazioni reperibili da chiunque, sarebbe ancora più facile. La tecnologia è cresciuta, l'intelligenza è regredita. Fiero italico, attendi la nuova dittatura. Un giorno arriverà e tu ne sarai felice. La saluterai tronfio lungo il viale principale fino al giorno in cui, senza una ragione, ti verranno a prendere e allora ripenserai (se ne avrai il tempo) a tutto ciò che un giorno avevi. Ci penserai, prima di essere torturato e ucciso.
Sono tornato - L'incontro dell'anziana signora con Mussolini
La scatenata combriccola di Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa (2018, di Genndy Tartakovsky)
Non c’è differenza tra mostri e umani. OK, va bene. Ripeterlo all’infinito però lo rende stucchevole e poco credibile. Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa (2018, di Genndy Tartakovsky).
Dall’oscura Transilvania al mitico regno di Atlantide via mare, o meglio in crociera. L’allegra combriccola capeggiata da Dracula & famiglia è alla ricerca di un po’ di sano relax. Fortuna che per lo stressato vampiro, la figlia Mavis abbia l’idea giusta. Appunto l’idea, non la resa. Su e giù per il possente transatlantico, Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa (2018, di Genndy Tartakovsky) è la fiera dei luoghi comuni. Scontato dall’inizio alla fine. Buono per una spensierata serata al riparo da afa e zanzare, ma mestamente nulla di più.
Il conte Dracula (voce originale di Adam Sandler e italiana del simpatico Claudio Bisio) è infelice. La sua amata sposa è scomparsa da secoli ormai. Il sogno di un nuovo zing (colpo di fulmine dei mostri) è solo una mera illusione e la tecnologia non sembra essere la soluzione giusta. Vedendo il padre infelice, la dolce figlia Mavis (voce italiana di Cristiana Capotondi) gli regala una crociera per tutta la famiglia e amici. Eccoli dunque, dopo un allucinante volo sulla Gremlins-Air, imbarcarsi per la tanto sospirata vacanza.
Ciò che tutti ignorano è che il capitano della nave, un’umana, sia un'amante dei mostri. Se il nome Erika non dirà nulla di particolare, è il suo cognome che potrebbe far drizzare canini & cicatrici varie, ossia Van Helsing. Lei infatti è l’ultima discendente della più agguerrita stirpe di cacciatori di mostri. Ci sarà un piano nascosto in questa crociera, è solo un caso o semplicemente la nuova generazione è andata oltre le battaglie del passato? Si vedrà. Il transatlantico intanto è pronto per partire dal “placido" Triangolo delle Bermude.
Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa piace perché deve piacere. Dopo il grandioso Hotel Transylvania (2012) e l’inevitabile sequel Hotel Transylvania 2 (2015), il regista moscovita Genndy Tartakovsky confeziona un prodotto da “Mulino Bianco” (non me ne voglia la celebre marca dolciaria) dove tutti sono felici e qualsiasi stato alterato e/o differente è un’amorfa brezzolina quasi impercettibile nel turbine estenuante degli esagerati buoni sentimenti. Il filo educativo è onnipresente a discapito però della storia che ci perde in spontaneità e meraviglia.
Perché sorprendersi? Hotel Transylvania purtroppo segue la logica e l’inevitabile destino dei vari Shrek, Cars, L’Era Glaciale, etc. Partiti tutti in modo grandioso e poi andati avanti per mero marketing senza un’anima di sceneggiatura capace di catturare davvero il cuore del pubblico ma vivendo di rendita. Abbiamo visto i primi due, dai, vediamoci anche il terzo! è la linea che spinge lo spettatore a entrare in sala. La speranza c’è sempre di ammirare qualcosa di valido ma il risultato è deludente.
Frankenstein, Wayne, Griffin, sono tutti personaggi secondari. Non incidono. Sono lì per caso. I coniugi “lupeschi”, traboccanti oltre modo di figliolanza, scoprono d’improvviso di potersene stare da soli. Sarebbe stato anche simpatico, peccato sia stato pompato da mesi ormai. E che dire di Jonathan? Pare strafatto. Peace & Love e poco altro. Del “Drac” del primo Hotel Transylvania resta molto poco e sarà anche la voce, ma nei toni pare di sentire più un bradipo zuccheroso piuttosto che un vampiro, seppure buono.
Come da copione, all'anteprima veneziana di Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa presso il cinema Rossini, c'è stato il solito bagno di folla fanciullesco con alcuni dei presenti anche piccolissimi e in età da passeggino. Tanti bambini e bambine insieme agli adulti per godersi una fiaba per tutta la famiglia. Saranno stati contenti i genitori nel trasmettere i “ giusti valori” davanti al grande schermo. C’è da chiedersi però quanto resterà poi dentro di loro e quanto gli stessi faranno perché ciò avvenga.
A quest’età è facile non capire il perché delle differenze. Bastano pochi anni però ed ecco cominciare a emergere parole come immigrati, terroni, negri, etc. Parole che magari sentono per la prima volta proprio tra le mura domestiche. E cosa resta allora di Hotel Transylvania? Roba da bambini, no? I buoni sentimenti non sono “roba da bambini” ma concetti morali che dovrebbero rappresentare la base umana di ciascun essere in questo pianeta.
Interessante il salto generazionale tra Erika e Abraham Van Helsing ma nella realtà nasconde non poche insidie morali. Alla stragrande maggioranza dei genitori (italiani) non fa mai troppo piacere vedere il proprio (ex)pulcino sviluppare una propria identità, ancor di più se in contrasto con la propria e allora che si fa? Andiamo pure a vedere Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa (2018, di Genndy Tartakovsky). Magari poi rivediamolo inseme tra qualche anno insieme ai figli una volta che saranno cresciuti e vediamo a che punto sono i nostri cuori.
Il trailer di Hotel Transylvania 3 - Una vacanza mostruosa
Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa - Erika Van Helsing (voce italiana di Claudia Catani) in romantico pranzo con Dracula (voce di Claudio Bisio)
Shark, il primo squalo - Meiying (Shuya Sophia Cai)
Che estate sarebbe senza un affamato pescecane a rovinarci la nostra voglia di mare? Shark – Il primo squalo (2018, di Jon Turteltaub) ci aspetta tutti al cinema. Ma proprio tutti.
Una scoperta sensazionale. La fossa delle Marianne è ancora più profonda di ciò che appare. Una missione scientifica sta ora penetrando lo strato che per millenni l’ha tenuta separata dal resto del mare e del mondo. Lì sotto però, non tutti potrebbero gradire la tecnologia umana del terzo millennio. Qualcosa si potrebbe arrabbiare e scappare potrebbe diventare un grosso problema. Tratto dal romanzo MEG di Steve Alten, è uscito sul grande schermo Shark - Il primo squalo (2018, di Jon Turteltaub).
Il miliardario Jack Morris (Rainn Wilson) è appena salito a bordo della Mana One per vedere con i propri occhi i risultati del proprio danaroso investimento. Ad accoglierlo, il Dr. Minway Zhang (Winston Chao) e la figlia Suyin Zhang (Li Bingbing), esperta biologa marina. Insieme a loro gli altrettanto insostituibili James Mackreides (Cliff Curtis), DJ (Page Kennedy) e Jaxx Herd (Ruby Rose). Tutto sembra procedere bene fino a quando la capsula sottomarina in perlustrazione nell'ignoto non viene attaccata da un qualcosa di misterioso.
È il panico. Lì sotto, a 11mila metri sotto il livello del mare, ci sono bloccati Toshi (Masi Oka), The Wall (Ólafur Darri Ólafsson) e la capa della missione, Lori (Jessica McNamee). Luci e rumori richiamerebbe la cosa e pertanto non resta che una soluzione. Chiamare la sola persona al mondo capace di una simile impresa, già riuscitagli in parte, nonostante nessuno gli avesse mai creduto su ciò che aveva riferito di aver visto, a cominciare proprio dal Dr. Heller (Robert Taylor), a bordo anch’esso. Rintanatosi in Thailandia, Jonas Taylor (Jason Statham) si presenta all’appuntamento con il proprio destino.
Lì sotto, in quelle acque oscure si cela un famelico megalodonte, un bestione preistorico di oltre 20 metri deciso a scatenare tutta la sua ferocia e annesso appetito di carne umana. Prima ancora che contro questo letale amico, Taylor deve fronteggiare i propri demoni che ancora lo tormentano. In un salvataggio analogo dovette fare una scelta alquanto tragica e dolorosa. Le sue ferite però trovano le carezze ottimistiche e fiduciose della piccola Meiying (Shuya Sophia Cai), figlia di Suyin, quest'ultima già partita in una precoce operazione di salvataggio. Nella sua tenera genuinità, gli chiede di riportarle sana e salva la sua mamma.
Ha inizio l'ennesima sfida tra uomo e natura. Quando il normale corso del tempo e dell'evoluzione però viene alterato, vedi anche le creature del Jurassic Park & simili, gli equilibri sono destinati a saltare, o meglio dire, impazzire con le conseguenze più mortali. I protagonisti affrontano una sfida impari. Nessuna scorciatoia è ammessa. Forse nemmeno il coraggio basterà ma almeno è un inizio. Chiunque sia sul mare adesso è nel radar famelico del megalodonte e bisogna nuotare più veloce che si può verso riva,
Erano gli anni ’70 quando la verginità delle nostre vacanze al mare venne brutalizzata dall’angoscia de Lo squalo (1975), uno degli indiscussi capolavori di Steven Spielberg. Da allora sono passate parecchie decadi e ancor di più film del genere, la maggioranza dei quali nel complesso mediocri e troppo legati ai progressi tecnologici. Eppure la voglia di confrontarci sul grande schermo con questi letali killer delle profondità non ci abbandona mai. Eccoci qua dunque, ancora una volta pronti per l’immersione.
Distribuito in Italia da Warner Bros. Pictures, Shark – Il primo squalo sceglie una via atipica, mescolando azione, dolcezza e sacrificio. La faccia sporca del ruvido Jason Statham (indimenticabile nei panni del Turco nel cult The Snatch di Guy Ritchie così come in quelli del cazzuto agente segreto in Spy di Paul Fieg), in rotta con l’agire classico, ben si amalgama con la dolcezza di Li Bingbing (1911, Resident Evil: Retribution, Transformers 4 - L'era dell'estinzione) e i modi amichevoli di Cliff Curtis (La ragazza delle balene) Il risultato è un film gradevole, a tratti scontato ma non per questo meno appassionante e comunque divertente.
Si ride, si trema e ci si commuove con Shark – Il primo squalo. È evidente il desiderio dei tre sceneggiatori Dean Georgaris, Erich Hoeber e Jon Hoeber di accontentate un po’ tutte le fette di pubblico. La suspense fa il suo dovere, sferzata e ammorbidita anche dal ridicolo (in senso buono) e il singolo dramma di un bambino cicciottello che armato di gelato non riesce più a uscire dall’acqua. Statham è un eroe romantico. Caparbio, pronto al sacrificio e con i giusti consigli, perfino deciso a darsi una seconda chance per vivere la vita.
Venezia, 11 agosto 2018 - cinema Rossini. Da sempre amante dei trailer, sono solito arrivare in sala con largo anticipo. Questa volta però il destino mi gioca uno scherzetto e così, invece dell’atmosfera di Mamma mia! Ci risiamo, una volta entrato in leggero ritardo, la mia attenzione viene catturata da qualcosa di alquanto insolito. Qualcosa, o meglio qualcuno, che mai mi sarei immaginato di trovare al cinema e per di più spettatore di Shark – Il primo squalo (2018, di Jon Turteltaub). Un bambino piccolo, ma proprio piccolo. Sistemato sul passeggino a fianco dei genitori.
Troppa la curiosità. Sperando abbiano voglia di rispondermi, a fine spettacolo mi riprometto di avvicinarmi. Termina la pellicola. Il piccolo sta dormendo. Per questione di privacy, niente nome né provenienza. “Siamo grandi appassionati di cinema e questa è la sua prima volta davanti al grande schermo. Il personale ci ha anche dato un diploma come ricordo” mi dicono, “Fai conto che pochissimi giorni prima che nascesse ci siamo guardati tutta la rassegna su David Lynch al teatrino di Palazzo Grassi”.
“È andata fin troppo bene” proseguono, “Metà film ha osservato, metà ha dormito ma era un rischio calcolato. Un sabato di agosto alle 7 di sera non avremmo trovato tanta gente. Anche se avesse pianto, non avrebbe infastidito chissà quante persone. In caso comunque saremmo usciti. La scelta di Shark – Il primo squalo? Beh, siamo in estate no? E comunque ci è sembrato quasi più per bambini che per adulti. Più che il matto (Taylor/Statham), Meiying è stata l’indiscussa e dolce protagonista”.
Con il loro permesso, scatto una veloce istantanea senza dare alcun "fanciullesco" riferimento. Gliela mostro spiegandogli come vorrei pubblicarla e mi danno il via libera. Mi scappa un’ultima domanda, così gli chiedo se hanno già in mente di portarlo a vedere un prossimo film. “Ci piacerebbe goderci tutti insieme Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa (in uscita il prossimo 22 agosto, terzo capitolo dopo i divertenti Hotel Transylvania e Hotel Transylvania 2, ndr). Questa volta però in orario pomeridiano e in compagnia di tanti altri bambini”.
Vedo la famigliola uscire. Il piccolino sta ancora facendo la nanna. Chissà se ci sarà la settima arte nel suo futuro. Cinema o meno, di sicuro lo aspettano anni felici in cui si potrà godere tanti e tanti film, animati e non a quanto vedo, insieme alla sua mamma e al suo papà. A quest’età (e non solo) è l’unica cosa che conta. Godersi la vita ed essere il più spensierati possibile. Avrà tempo di pensare al domani. Al momento lo attende solo l'ennesimo risveglio in compagnia delle due persone che lo amano di più al mondo. Anche questo è il mondo di Shark – Il primo squalo.
Shark - Il primo squalo, il trailer
Shark, il primo squalo- Suyin Zhang (Li Bingbing) e Jonas Taylor (Jason Statham)
Se Ocean’s 8 (di Gary Ross) doveva essere il manifesto del movimento #MeToo, siamo messi male. Una scopiazzata del genere maschile inutile e salvo qualche rara eccezione, anche mal recitato.
Le donne dovrebbero smetterla di alzare la voce e poi scimmiottare il mondo maschile. Fate film originali. Scriveteli. Greta Gerwig e il suo Lady Bird (20187) ne sono un ottimo esempio. Il tanto pubblicizzato Ocean’s 8 (di Gary Ross) invece, sequel tutto al femminile della nota trilogia Soderberghiana, è un vero e proprio mare (profondo) di noia, schemi collaudati e interpretazioni che non si discostano di un millimetro dai binari già percorsi dai maschietti.
Seriamente, ma davvero Ocean’s 8 doveva/voleva essere un portabandiera della causa femminile per una maggiore considerazione nel mondo della settima arte? Sandra Bullock e Cate Blanchett, entrambe premio Oscar, paiono George Clooney e Brad Pitt nei modi e perfino nei rispettivi ruoli. Non si salva dal naufragio nemmeno Helena Bonham Carter, ormai abbonata a ruoli dove la sua vita è allo sfacelo più totale. Unica nota piacevole, il ruolo e l’interpretazione di un’altra premio Oscar, Anne Hathaway.
Sono andato a vedere Ocean’s 8 per il solo gusto di trascorrere una serata al frescolino e godermi un frizzante filmetto Hollywoodiano. Sarebbe stato meglio rimanere a casa e dedicarmi ad altro. Un gruppo di ladre decidono di fare un colpo a cui nessuno aveva pensato. C’è la capa. Ci sono le cape, il geniaccio dell’informatica, la donna che ci mette la faccia, etc. Nulla che Ocean’s Eleven o Twelve non avessero già mostrato. E allora perché tutto questo fracasso per un film che più che un sequel pare un remake?
Le donne ambiscono ad avere più spazio, più diritti e più parità di genere. Più che giusto e sacrosanto. Ma non è certo rifacendo film maschili che otterranno tutto questo, vedi anche il penoso remake di Ghostbuster (2016, di Paul Feig). Che raccontino le loro storie, e gli diano vita. I maschi hanno una visione del mondo, le donne hanno la propria anche se poi ogni essere vivente è un oceano a se stante. Dimentichiamoci di Ocean’s 8 e un consiglio spassionato alle protagoniste, evitate ulteriori lungometraggi di questo filone
Il trailer di Ocean's 8
Ocean's 8 - Daphne Kluger (Anne Hathaway) e Rose Weil (Helena Bonhamn Carter)
Primo e senza dubbio il miglior film mai realizzato dal trio comico Aldo Baglio, Giacomo Poretti e Giovanni Storti. Tre uomini e una gamba (1997) è un'amalgama perfetta di alcuni dei loro migliori sketch. In viaggio verso il Sud Italia per le nozze di Giacomo con Giuliana Cecconi (Luciana Littizzetto), figlia del loro prepotente e volgare capo, il cavaliere Eros Cecconi (Carlo Croccolo), il trio s'imbatte (scontra) nella restauratrice Chiara (Marina Massironi), fresca di abbandono da parte del fidanzato e di cui Giacomino s'invaghisce subito.
Causa un'intossicazione alimentare post cozze, il gruppo deve fermarsi una notte in ospedale. Appoggiato su di una sedia, Aldo si addormenta sognando di essere il Conta Dracula (meridionale).. minchia! Fallito un tentativo di assalto umano, il conte viene aiutato da due ominidi leghisti della Transilvania. I due lo studiano e sentono puzza di terrone. Ecco allora lo stratagemma per scoprire se il sig. Bramblla Fumagalli, che dice di venire dal canton de parage, stia dicendo la verità o meno. Va in scena il trucco della cadrega.
American Life - Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph)
Tiepide miglia narranti. Una giovane coppia vaga per gli States pronta per ricominciare. Il futuro è una flebile incognita. Mai una resa incondizionata. American life (2009, di Sam Mendes).
Road movie di coppia passato tra treni, aeroporti e viaggi in macchina alla ricerca di una nuova vita. Passando dal panorama desertico della calda Arizona all’atmosfera più rilassata della canadese Montreal fino al ritorno a casa. Dopo il drammatico Revolutionary road (2008), dove diresse la titanica coppia DiCaprio/Winslet nei meandri di una travagliata quotidianità matrimoniale, Sam Mendes torna a occuparsi di rapporti sentimentali di due giovani, questa volta con un bebè in arrivo. Rispetto alla precedente pellicola però, i toni sono più leggeri. Ironici. Poetici.
Burt (John Krasinski) e Verona (Maya Rudolph) sono una coppia di trentenni (lui 33, lei 34) alle prese con la prima gravidanza. Rimasta senza genitori lei, i due sono convinti che potranno appoggiarsi ai nonni paterni per accudire la futura neonata. Le cose andranno diversamente. Un mese prima della nascita della piccola infatti, il padre e madre di Burt, dopo averne parlato per anni, hanno deciso di trasferirsi ad Anversa per due anni. Rimasta sola, la coppia decide di mettersi in viaggio per cercare il posto ideale dove iniziare una nuova vita, puntando su luoghi dove vive un amico o un parente.
Nelle varie peregrinazioni attraverso il Nord America, i due giovani sostano dalla sorella di lei, Gloria (Catherine O'Hara), per poi finire nelle "grinfie" diu un’amica di Burt, LN Fisher-Herrin (Maggie Gyllenhaal), una svitata mezza hippie che allatta figli cresciuti e non sopporta passeggini. Quando varcano il confine sbarcando in Canada, da Tom (Chris Messina) e Munch Garnett (Melanie Lynskey), genitori adottivi di svariati bambini, sembra che siano arrivati. Ma non è proprio così. Burt e Verona cercano un posto per mettere radici, non mettendo a fuoco che sono loro stessi le proprie radici.
I futuri genitori saltano come grilli da una parte all’altra. Si guardano dentro. Si trovano messi alle corde. Osservano le vite altrui alla ricerca di uno stimolo, un aggancio, un bagliore. Il cielo è muto. Le stelle si mimetizzano. Le paure si fanno fossati, autostrade e doveri. Ci si perde ma questa è la nuova America, fragile e condannata. Decisa e unita. Questa è l'America umana cove non c’è rassegnazione ma solo voglia di tenersi per mano e regalare alla loro figlioletta e a se stessi la miglior vita possibile.
In un’epoca dove in Italia mettere al mondo un figlio è quasi un azzardo per chi non ha certezze economiche, Sam Mendes regala una speranza. Un blues contemporaneo dove da una parte c’è chi s’interroga se la propria vita sia un fallimento e dall’altra c’è chi non la pensa allo stesso modo e combatte senza isterismi per non lasciare il proprio compagno/a in questa logica. Si sceglie di andare avanti. Insieme. Costruendo la propria casa. Sistemando il proprio giardino. Emozionandosi di fronte a un tramonto sul fiume. E non importa se si è solo in due (o tre) a condividere tutto questo. Ciò che viviamo dopo tutto, sono le nostre pagine di vita.
American Life, il trailer
American Life - Burt (John Krasinski), LN (Maggie Myllenhaal) e Verona (Maya Rudolph)