L'uomo che sussurrava ai cavalli - Grace (S. Johansson) e Tom (R. Redford) |
di Luca Ferrari
Un film è diverso dal libro ispiratore. Nessuno ha la pretesa che sul grande schermo arrivi la copia fedele. Ogni strumento può e deve sfruttare le proprie potenzialità. Per la sua quinta incursione dietro la macchina da presa il due volte premio Oscar Robert Redford scelse il bestseller di Nicholas Evans, L’uomo che sussurrava ai cavalli (1995, The Horse Whisperer).
Al centro della vicenda la giovane Grace, interpretata da un’allora quattordicenne Scarlett Johansson, e il suo cavallo Pilgrim. La ragazzina ha avuto un terribile incidente e ha perso parte di una gamba che le hanno dovuto amputare. La giovane è a pezzi. Si sente una handicappata e questo la vulcanica madre Annie (Kristin Scott-Thomas, nonché donna in carriera, non lo permette. In barba ai consigli e fatte le dovute ricerche, carica di forza figlia, quadrupede mezzo morto e se ne va in Montana, destinazione Tom Booker (Robert Redford), un uomo che a quanto si dice, sia capace di comunicare con i cavalli.
L’adolescente è rabbiosa. Furiosa. La "gita" impostale è quanto di peggio ci sia per la sua psiche sfiancata, fattore ben enfatizzato dalla musica che Evans “le mette” nel walkman durante il lungo viaggio in macchina e box equino al seguito, ossia gli Alice in Chains. Una rock band questa della Seattle anni '90, alfiere di un rock ruvido e oscuro con tonalità metal, di cui il fu cantante Layne Staley (1967-2002) ne era il massimo emblema.
Inspiegabilmente invece la scelta di Redford, qui nelle vesti anche di regista, cadde verso una anonoima musica elettronica più adatta ad atmosfere da rave-party di giovani sballati, che non per dipingere l’interiorità ferita di una ragazzina amante degli animali e in marcia verso i grandi spazi americani.
No, la musica non è un dettaglio da poco. Per informazioni, chiedere a Cameron Crowe. Seattle poi, è forse la città americana più canadese che esista negli Stati Uniti. L’isolamento geografico dal resto del continente e l’estrema vicinanza con Vancouver la collocano su di un piano diverso.
Nella musica come nei testi, gli Alice in Chains hanno sempre sviscerato demoni interiori. Qualcosa che suonerebbe più o meno così: “riesci a mettere nella corretta graduatoria un ordine, un urlo e un sospiro? Il mio disagio si è ritrovato a dover stravolgere ogni singola speranza, lasciando al mare disteso sul rosa il compito di percepire quanto di solitario ci sia nella lontananza di una casuale stagione umana”.
Nessun commento:
Posta un commento