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mercoledì 31 ottobre 2012

James Bond, il suo nome è Daniel Craig

Skyfall - James Bond (Daniel Craig)
Azione, un arcinemico e la pupa da sballo. La trama dell’agente segreto 007 James Bond non ha mai rinunciato a questa tricotomia, Skyfall e Daniel Craig inclusi.

di Luca Ferrari

Da quando è stato portato sul grande schermo il personaggio inventato da Ian Fleming (1908 –1964), nessun regista è mai uscito dal seminato. Il primo Bond è stato l’inimitabile Sean Connery, quindi il testimone dell'agente segreto di Sua Maestà è passato a George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, il troppo sottovalutato Pierce Brosnan e infine Daniel Craig, inglese di Chester classe ’68, che ha riportato il genere a una popolarità che sembrava ormai sopita. 

Io per primo non ero mai riuscito ad appassionarmi di ciò che combinava su e giù per il globo lo spericolato James con licenza di uccidere. Poi però, lunedì 9 gennaio 2007 qualcosa cambia. Da pochi mesi era uscito Casino Royale, di Martin Campbell, con protagonista Daniel Craig, insieme a Eva Green e Giancarlo Giannini. Mi attirava, ed entrai. 

Il mio gradimento subì subito un’impennata grazie alla canzone della colona sonora You know my name, realizzata dalla voce dei Soundgarden, Chris Cornell. La pellicola mi convinse. Daniel mi convinse. Un anno e mezzo dopo, martedì 11 novembre 2008, sempre nel medesimo cinema del Lido di Venezia, scattò la mia ora per Quantum of Solace, di Marc Forster, con il riconfermato attore britannico, il capo Z (la premio Oscar Judi Dench), e la cosiddetta Bond girl, Olga Kurylenko

Oggi è giunta l’ora di Skyfall (2012). Ai comandi c’è Sam Mendes, e il villain promette di essere molto di più di un comprimario. Il suo nome è Javier Bardem, in versione terribile e biondo platino. Nella notte di Halloween sarò in prima linea. All'anteprima di Skyfall al cinema Excelsior di Mestre (Ve). Il mio nome è Luk, Cineluk.

Il trailer di Skyfall

Skyfall - James Bond 007 (Daniel Craig)
Skyfall - James Bond 007 (Daniel Craig)

martedì 30 ottobre 2012

Big Me, il film di una storia incredibile

Tra le nuvole - Ryan Bingham (Geroge Clooney)
In principio ci furono loro tre: Point Break (1991, di Kathryn Bigelow), The Crow (1994, di Alex Proyas) e Dead Man (1995, di Jim Jarmusch). Lì nel mezzo, molti silenzi. La doppia visione del Titanic nel 1998 a distanza di due giorni avrebbe dovuto lasciarmi intendere qualcosa. Poi, ancora silenzio e lontananza.

Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Dopo la scorpacciata di premi Oscar, nella primavera 1999 finisco per caso e stranamente in compagnia a vedere Shakespeare in love, di John Madden. Qualcosa si rompe. Qualcosa nasce. Scrivere quello che si vive. In realtà già lo facevo, ma non me ne rendevo conto. Passano un paio d’anni e arriva il colpo di grazia. A distanza di un giorno vedo From Hell e soprattutto Moulin Rouge! di Baz Luhrmann, seguiti qualche mese dopo, tra gli altri, dal capolavoro di Wes Anderson, I Tenenbaum. Abbandono le calli, e passo alle contrade. Nel 2003 a Firenze il mio amore per il grande schermo sboccia definitivamente.

È lì che inizio ad annotarmi tutto ciò che vedevo, inclusi i film che noleggiavo. Ed è sempre all’ombra della cupola del Brunelleschi che cominciai a scoprire quanto amassi imparare dalla fantasia. È nel capoluogo fiorentino che ho ammirato Spirit (2002) e Finding Nemo (2003), capolavoro della Pixar. È in terra toscana che mi sono commosso con Love Actually e la poetica burtoniana di Big Fish. Rientrato a vivere in laguna, aumentai ulteriormente il mio livello di presenza e passione. Tutte le stagioni. Inclusi servizi giornalistici alla Mostra del Cinema di Venezia. C’era però qualcosa che cercavo. E ci ho provato. Quante volte ci ho provato. I miei giorni al cinema sono quelli senza pubblico. Dal lunedì al giovedì una volta, e ora fino al mercoledì. Meno caos e più tranquillità.

Lo ammetto a tutti voi, volevo vedere un film da solo. Padrone indiscusso del cinema.

Ci ho provato per anni all’Astra del Lido e al Giorgione di Venezia. Un cambio diciamo così, di prospettiva (W la carta prepagata ricaricabile Cityplex con proiezioni a 5 euro), e ho bazzicato sempre di più le sale della terraferma mestrina, entrando sempre più spesso al Corso e Corsino, nelle tre sale dell’Excelsior e le due del Palazzo. Ed è proprio in quest’ultimo che il sogno di vedermi una proiezione in solitaria si è avverato. In un giorno e con un film che mai lo avrei immaginato. Mercoledì 24 ottobre fui il solo spettatore della proiezione delle 8 di sera di Ted. Un film, il cui articolo di anticipazione su Cineluk, Ted, vaffanculo al temporale, aveva annichilito per contatti Angelina Jolie e Michael Jordan, piazzandosi come pezzo più letto. 

Ted - John (Mark Wahlberg)
Sedutomi non c’era nessuno. Già una volta mi era successo. Sala vuota con i trailer già iniziati. Poi in quattro entrarono facendomi maledire il possibile. Questa volta ci sono andato cauto, ma a prescindere che qualche ritardatario sarebbe entrato all’ultimo o meno, mi resi subito conto che stava accadendo qualcosa di anomalo. 

Presa carta e penna dalla mia borsa, in un attimo mi sono sentito come Ryan Bingham (George Clooney), il protagonista di Up in the Air (Tra le nuvole - 2009, di Jason Reitman), quando aveva finalmente raggiunto il suo sogno (…) di toccare le 10 milioni di miglia in volo e il comandante del velivolo Maynard Finch (Sam Elliott), come da prassi, gli si avvicinava per parlargli e consegnargli il premio. Ma Ryan ha altro a cui pensare. E in un attimo si rende conto che lassù non c’è nessuno accanto a lui. Il tanto atteso momento ha qualcosa di meno. Lui è cambiato. Non so dire di preciso che cosa abbia sentito. Forse una spinta. Forse una forza. Forse una carezza dentro.

Ho guardato Ted. Nulla di eccezionale. Il tanto acclamato regista delle serie animate I Griffin e American Dad, Seth MacFarlane, ha decisamente limitato i toni. E a parte qualche scena splatter vedi una escort che defeca in casa della bella Lori (Mila Kunis), le cose più esilaranti escono dallo psicopatico Donny (Giovanni Ribisi) e Sam J. Jones che interpreta se stesso alla ricerca del Flash Gordon (1980) che fu.

Ho guardato Ted con tutte le sedie vuote attorno a me. Padrone per una sera del grande schermo. Chissà, forse immaginavo che sarei stato trasportato in un’altra dimensione il giorno dopo.

A partire mercoledì 31 ottobre con Skyfall (2012 di Sam Mendes con Daniel Craig e Javier Bardem), ricomincio da un nuovo sogno.

il foglio scritto al cinema prima dell'inizio di Ted

venerdì 26 ottobre 2012

War Games (1983), l'uomo sa ancora insegnare

War Games - David (Matther Broderick) gioca alla guerra tra USA e URSS
War Games, cult anni '80. Un giovane fanatico di computer inizia senza saperlo un gioco pronto a scatenare la guerra nucleare tra USA e URSS.

di Luca Ferrari

Era il tempo della Guerra Fredda e del tanto paventato scontro nucleare tra Stati Uniti (USA) e Unione Sovietica (URSS). Nessuno si sentiva al sicuro. Dopo la conquista della Luna da parte degli americani, la scienza correva a mille. Una sfida per arrivare a possedere l’arma risolutiva con cui imporre al blocco opposto il proprio sistema di vita. La cinematografia non fu immune da questo conflitto ideologico. 

Nel 1983 un appena 21enne Matthew Broderick, al suo primo importante ruolo cinematografico, venne scelto come attore principale per War Games (1983, di John Badham), film cult anni ’80 alla stregua di E.T. (1982, di Steven Spielberg), La storia infinita (1984, di Wolfgang Petersen) e I Goonies (1985, di Richard Donner). 

David Lightman (Broderick) è un fanatico di computer, poco avvezzo alla socialità. Alla ricerca dei migliori videogames di natura bellica, grazie a una semplice backdoor (password) riesce a penetrare il neo-sistema computerizzato della Difesa degli Stati Uniti, iniziando così, senza rendersene conto, la Guerra Termonucleare Globale contro la propria nazione (avendo scelto i russi nel gioco).

Ma se per il giovane non è che un’innocente partita, per Washington è un vero e proprio attacco sovietico in corso e bisogna iniziare a difendersi. L’uomo sarà messo alle corde dalla macchina, ormai capace di autogestirsi e pronta a scagliare le proprie testate nucleari contro il nemico dell'Est. Il mondo sarà a un passo dallo scontro degli scontri. Ma quando il grande computer WOPR comincerà la sua infinita guerra (simulata) senza venirne mai a capo, scoprirà da solo una grande lezione.

Che sta facendo? chiede incredula Jennifer (Ally Sheedy). Sta imparando, risponde David.

War Games, la mossa vincente

War Games - Jennifer (Ally Sheedy) e David (Matther Broderick)
War Games (1981, di John Badham)

giovedì 25 ottobre 2012

Il matrimonio che vorrei, la parola all'amore

Il matrimonio che vorrei (2012) - Arnold (Tommy Lee Jones) e Maeve (Meryl Streep)
Il tuo matrimonio è in crisi? A tutto c'è una cura. Anche per quelle pene d'amore sentite da un solo dei due coniugi. Il matrimonio che vorrei (2012, di David Frankel).

di Luca Ferrari

C’è chi lotta per allentare e sciogliere il nodo a scorsoio più anestetizzante e chi accetta, nel nome del quieto vivere (…), una vita senza più nessuna alterazione ai "ciabattosi" ciottoli del proprio legame un tempo d'amore. Andando avanti perché si deve. Facendo sempre la stessa colazione senza mai esprimere il proprio disappunto per la vitalità e la passione d'un tempo. Viaggio nel delicato equilibrio di due persone dove in ballo c’è la coppia e il desiderio di sentirsi amati, sempre. Il matrimonio che vorrei (2012, di David Frankel). 

Maeve (Meryl Streep) e Arnold Soames (Tommy Lee Jones) sono sposati da 31 anni. La loro vita coniugale è routine operaia. Buon giorno, i pasti e buona notte. Dormono in stanze separate. Un iniziale dolore alla schiena e il russare di lui li ha portati a essere divisi sotto lo stesso tetto. Un breve periodo di separazione si è ormai trasformato in anni. Lì sono rimasti. L’ultimo rapporto sessuale risale a quasi cinque anni prima. L'ultimo gesto di autentico romanticismo nemmeno se lo ricordano.  

Molti matrimoni si adagiano in quest'anemica brodaglia senza midollo (né spina dorsale). Non è il caso di Maeve. Impacciata sì, ma per nulla rassegnata a lasciare la propria vita chiudersi nell'ecatombe sentimentale fatta di fallaci equilibri e imbarazzanti convenevoli. Per farlo però ha bisogno di una leva. In una libreria trova il volume You can have the Marriage you want del Dr. Bernie Fields (Steve Carell), psicologo ed esperto di relazioni sentimentali e sessuali. La decisione è presa. Con o senza il marito, lei ci andrà comunque.

Inizia un percorso variegato dove chi si sente messo da parte non è necessariamente chi ha pagato con i propri risparmi (e non quelli congiunti) l’esosa retta per una settimana intensiva di terapia di coppia nel Maine. Il professore lo capisce subito. Ed è fin troppo palese che è la donna ad aver bisogno di parlare ed esprimersi Ma quando si aprono le sacre porte della relazioni, nulla è come sembra. L'uomo e la donna devono riappropriarsi del proprio spazio. L'uomo e la donna devono riavvicinarsi spinti unicamente dal desiderio.

Messo nella condizione di parlare, racconta le sue fantasie che avrebbe voluto realizzare con la dolce metà, da quelle fattibili (sesso orale sotto la scrivania dell’ufficio nei giorni della dichiarazione dei redditi) a quelle più difficili (una cosa a tre con la vicina). Piccola presenza per Elisabeth Shue (Karate KidVia da Las Vegas), nella parte della barista Karen, che paziente e generosa ascolta il racconto di Mae facendola a sentire a proprio agio dimostrandole che anche la maggioranza dei suoi clienti non batte un chiodo (...).

David Frankel e Meryl Streep. È tornata la coppia di una delle più brillanti commedie degli anni Duemila, Il diavolo veste Prada (2006). Questa volta però la tre volte premio Oscar non è una sofisticata guru della moda temuta da chiunque respiri la sua stessa aria. Nella pellicola Il matrimonio che vorrei (Hope Springs) è una signora vulnerabile e ferita che ama il marito, ma che ha dimenticato come farselo dire e comunicarglielo. Tommy Lee Jones (Il fuggitivo, Man in BlackLincoln) è uno degli attori più eclettici che esistano e in questa commedia ne dà un ulteriore dimostrazione, vestendo alla perfezione i panni del marito scontroso ma sempre comunque innamorato e fedele.

Ma se parliamo di attori versatili, ancor più notevole è Steve Carell, qui alle prese (finalmente) con le fattezze di un psicologo, non messo alla berlina o trattato con superficialità come avviene quasi sempre nelle sceneggiature italiane. Dall'inquietante Foxcathcer (2015, di Bennett Miller), passando per l'incazzato trader di La grande scommessa (2015, di Adam McKaay) fino alla vittima di Benvenuti a Marwen (2018, di Robert Zemeckis), Carell sa aggiungere quel tocco di imprevedibile umanità e raffinata compostezza che solo in pochi artisti sono davvero in grado di apportare alla storia.

Il matrimonio che vorrei è Un film per coppie, single o tutti quanti? Dove la realtà non arriva, ci pensa la genialità a creare nuove leggende. Perché con la propria metà o con gli amici che sia, ci sarà sempre un  momento dove qualcuno all’interno della relazione vorrà (dovrà) conficcare le proprie dita dentro la pietra, certo che così agendo tutti potranno chiudere gli occhi per un momento e magari ritrovarsi a correre con un passeggino in mano senza motivo, a dispetto delle smorfie e dei gradini che sopraggiungono nelle costanti risse dei propri pensieri.

Ci scrivono libri. Ci fanno film. Qualcuno ha perfino la presunzione di volerlo comprendere e spiegare solo perché non accetta la magia di ciò che prova. L'amore. Non tutti ci rivolgiamo all’oceano per la semplice e comune ragion di esistere. C’è chi ci mette il tempo di una candela per lasciare l’impronta nella propria lista di desideri e chi si deve prima sentire compreso da tutti gli avamposti lunari. Poi magari un giorno, così d’improvviso, ci s’accorge che su quella riga e letto c’è il desiderio di aggiungere un altro cuscino.

Era il 1996 quando la rock band americana Pearl Jam diede alla luce il quarto album No Code. Un disco che risentiva non poco dell’influenza acustica del cantautore canadese Neil Young con cui un anno prima avevano registrato Mirror Ball. Superato l’ascolto della prima e psichedelica Sometimes, i decibel escono finalmente dagli amplificatori graffiando con la cavalcata Hail Hail. Il suo ritornello è perfetto per celebrare il film Il matrimonio che vorrei (2012, di David Frankel): "Hey hey the lucky ones, I refer to those in love, yeah... Ave ave ai fortunati, Mi riferisco agli innamorati." 

Il trailer de Il matrimonio che vorrei
Il matrimonio che vorrei - Arnold (Tommy Lee Jones), il Dr. Fields (Steve Carell) e Maeve (Meryl Streep)


lunedì 22 ottobre 2012

W le commedie nuziali americane

The Wedding Party (2012, di Leslye Headland)
Il cinema nuziale italiano ha davvero stufato con le sue imperiture miserie di felicità. Commedie sognanti americane, prendetemi con voi!

di Luca Ferrari
 
Non esiste sentimento che nel Belpaese sappia svincolarsi dall’imminente e tragico peso di qualche esistenzialismo o banale destino di pensieri. Anche uno dei giorni più belli o comunque più importanti della vita di ciascuno, il matrimonio, viene caricato, viene annacquato dai luoghi comuni più banali che fanno, consentitemi un richiamo Piraccionesco, venire una voglia immane di mettere su una bella "frulleria di ‘oglioni", lasciando da parte la felicità.

Premetto che non sono sposato, ma ho partecipato a svariati lieti eventi. Alcuni mi sono garbati di più di altri. Non tanto per location o condizioni climatiche, ma per la semplicità. Vengo al sodo. Vedere un film italiano dove c’è un matrimonio o comunque la vita coniugale, equivale spesso a un incubo in piena regola.

Penso a L’ultimo bacio (2001) di Gabriele Muccino con annessi prequel e sequel, o ai più recenti La peggior settimana della mia vita e sequel di Alessandro Genovesi con Fabio De Luigi e Cristiana Capotondi. Matrimonio e vita di coppia sempre e costantemente un dramma. Che palle.

Giovedì 18 ottobre sono sbarcate intanto dagli Stati Uniti due commedie. Il matrimonio che vorrei (di David Frankel con Meryl Streep, Tommy Lee Jones, Steve Carell) e The Wedding Party (di Leslye Headland) con Kirsten Dunst e Isla Fisher. Devo ancora vedere i trailer. Devo ancora andare a sedermi davanto al grande schermo e assistere alle rispettive proiezioni.

Da quello che so, il secondo è un po’ politically scorrect, il primo parla da sé guardando i nomi dei tre protagonisti. “Le solite commedie ruffiane americane” dirà qualcuno. "Un momento di realx e leggerezza" risponderebbero altri. Una domanda: ma è proprio così inverosimile essere rilassati e felici il giorno che convola a nozze?

Continuano a dirci che quello che vediamo nei film è solo fantasia, e che la realtà è molto più triste e meno poetica. Fuck you! - È  la mia decisa risposta. Una delle commedie più brillanti del fatidico giorno è il remake del film Il padre della sposa (1991) diretto da Charles Shyer con Steve Martin, Diane Keaton e Martin Short.

Inevitabile la malinconia nel vedere la propria figlia abbandonare la casa paterna, ma anche ironia e quel pizzico di magia che dovrebbe sempre accompagnare il giorno delle nozze. Quella scintilla che troppo spesso viene a mancare nelle commedie nostrane, in overdose da esasperato e distorto realismo con inclinazioni alla depressione.

venerdì 19 ottobre 2012

Le avventure di Vicky, il vichingo

Vicky il Vichingo
Viaggio tra fantasia animata e ricordi nelle avventure del piccolo coraggioso Vicky il vichingo, insieme alla sua amichetta del cuore Ylvi.

di Luca Ferrari

Pochi ricordi e molto sbiaditi ma il suo volto a caschetto rosso con l’elmetto in testa non li ho mai dimenticati. Sono sempre stati ben protetti. Lì, al caldo. In qualche secret place. In attesa che qualcuno risvegliasse dalla memoria le avventure di Vicky il vichingo, serie animata tratta dall’omonimo libro per bambini del giornalista e scrittore svedese Runer Jonsson (1916-2006).

Mai visto repliche in tutta la mia vita. Poi un giorno per caso, il tanto bistrattato social network di Mark Zuckerberg mi ha fatto un inatteso regalo. Tra le mie amicizie di recente aggiunte c’è un volto nuovo, la danzatrice spagnola Gemma Marti. M'imbatto in una foto anomala del suo profilo. Non ci sono dubbi. È lui, Vicky. Il resto è una storia vissuta insieme a quattro mani, dove i confini della magia obbligano la realtà a sognare e prendere appunti.  

Ciak, si scrive. Quasi coetanei io e Gemma. Pochissimi anni ci separano, qualche centinaio di chilometri e tutto il resto delle rispettive esistenze. Così sembra almeno. Incontrati virtualmente grazie all’amica comune Larissa, la danza orientale ci avvicina. Lei esperta insegnante, io giornalista (oltre a vari servizi per più testate, ho anche realizzato il blog/magazine tematico Belly Roads). Nelle foto del mio profilo di Facebook ce ne sono rarissime effettive del mio volto. Per Gemma è il contrario. Tutte meno una. Quell’unica è Vicky il vichingo, figlio del capo villaggio di Flak dove vive con la sua famiglia e gli amici.

Senza esserci mai scritti prima, le commento l’immagine chiedendole di raccontarmi i suoi ricordi per scrivere qui, su CINELUK- il cinema come non lo avete mai letto. Lei entusiasta acconsente. Per un momento torniamo bambini insieme. Ma a ben vedere non abbiamo mai smesso d’esserlo "lì dentro".Passano pochi giorni e mi arriva la sua e-mail con del testo e alcune immagini del cartone animato, una delle quali è Vicky, immortalato nel tipico gesto che faceva sempre dopo aver avuto un’idea brillante, e cioè schioccando le dita felice.

“Adoro questa foto perché trasmette ottimismo e avventura” scrive Gemma. Incredibile. Io invece ricordavo quello che faceva prima di ciò, e cioè quando si strofinava il naso mentre pensava.

“Ricordo lui e la piccola Ylvi che insieme vivevano molte avventure” prosegue Gemma, “Per me è sempre stato un eroe perché era un piccolo ragazzino, ma suo padre Halvar lo interpellava per risolvere i suoi problemi e quando gli toglieva le castagne dal fuoco, diceva che era esattamente quello che aveva pensato. Questo mi faceva terribilmente arrabbiare. L’eroe è Vikie, non il padre! Mi facevano invece un sacco ridere Snorre e Tjure che litigavano e si azzuffavano sempre”.

Per chi avesse abbadonato i vent'anni da un po' (…), deve riavvolgere il nastro o salire a bordo di una DeLorean Zemeckisiana puntando diritto tra la metà degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando cioè vennero trasmesse per la prima volta in Germania e poi in Italia le avventure di Vicki. Recentemente riproposto sul canale televisivo Hiro, in terra teutonica ne hanno girato due film: uno animato e uno con attori in carne e ossa. Su Youtube c’è qualcosa. In primis la sigla in molte lingue: originale tedesca, italiano e spagnolo.

Certo, confrontato con l’animazione moderna sembra appartenere all’età della pietra anche se, a ben guardare, forse i recenti lungometraggi animati Dragon Trainer (2010, DreamWorks Animaton) e The Brave (2012, Pixar/Disney) potrebbero essersi un po' ispirati al piccolo Vicky per i loro personaggi principali, Hiccup e Merida. Ma che bella, semplice e dolce l’immagine di Ylvi e Vicky che saltano sul muso di due foche nel mare, dandosi in volo il cinque con ciascuna delle mani.

“Delle tante fantastiche idee che il piccolo vichingo ha avuto, ricordo in particolare quando inventò una catapulta per far vincere a suo padre una gara di lancio delle pietre” scava ancora Gemma nei suoi ricordi di piccina, quando all'ora di cena le bastava sentire le prime note della sigla che attaccava con - hey hey Vikie - per regalare al proprio volto un sorriso senza fine, “Vicky risolveva situazioni pericolose con intelligenza, senza l'uso della violenza. Oggi accade esattamente il contrario. C’è guerra e lacrime. Con Vikie è tutto diverso”.

La sigla di Vicky il vichingo

screenshot della sigla di Vickie il vichingo
Snorre e Tjure nell'ennesima zuffa
Ylvi e Vickie

giovedì 18 ottobre 2012

On the Road (2012), il bisogno dei calli da strada

On the Road (2012), di Walter Selles
del loro mondo cosa è rimasto?...il
fascino di qualche mozzicone
che al massimo diventerà calcestruzzo
da esibizione
per qualche francobollo
in mano a committenti ignoranti e senza morale

i calli della strada ti prendono
e abbandonano i cavallucci a dondolo
generosamente desiderati
fino a un attimo prima

la sporcizia ammassata dentro e fuori
i cancelli
calpesta ogni bendaggio
precedentemente usato
per inasprire il proprio divario gravitazionale
con chiunque consideri latte
la propria lettera bucherellata 
senza vie d'uscita

la scoperta non riguarda mai l’ideologia, ma solo il pensiero...

ci hanno messo in testa l’assurda follia
di doverci preoccupare
di quello che ci accadrà, come
se quello che stessimo vivendo
non fosse che un gioco convincente
su cui chinare
i nostri sogni più indemoniati

il bisogno di mettersi in fila
ha reso il mondo
una gigantesca nuvola con il cielo limitato, e
la libertà
non sarà sempre un pisciare contro vento
su di un camion
lanciato a tutta velocità…

dal giorno che barattai tutte le mie posate
per avere in anteprima
uno sguardo su cosa avrei trovato
alla fine di quel rettilineo,
mi resi conto che quelle esagerate compagnie
fatte di temporanea poetica
e una dedizione a qualche lato eccitato
non erano che polvere
in una camera con le finestre
sempre aperte

adessoc’è qualcuno
che ti aspetta, e credi che questo possa
significare
che il tuo viaggio sia finito?
Non mi sono dovuto nemmeno
nemmeno impegnare
uno dei tanti braccialetti plastificati
per immaginare
tutto questo, ma al massimo fatto
una fugale conservazione
con chi era interessata
sulla lunghezza mancante del mio pasto

che cosa prendono i posti delle carovane...

ci hanno messi specchi
dappertutto
per farci sentire estranei,
e pensare
che c’è chi si mette davanti
il simulacro
di altri…credo che d’ora in avanti
prima di addormentarmi,
renderò invisibili
tutte le mie orme
lasciate al piano della terra dei cieli

                                                                      (Mestre [Ve], cinema Corsino, 17 Ottobre '12)

martedì 16 ottobre 2012

Il mondo dei cattivi ufficialmente è uno stronzo

The Peacemaker - Julia Kelly (Nicole Kidman) e Tom Devoe (George Clooney)
Nella miglior tradizione dei film bellici, reali o di fantasia che siano, anche The Peacemaker (1997, di Mimi Leder) con George Clooney e Nicole Kidman, offre spunti su cui riflettere

di Luca Ferrari

Elezioni = sospetti di brogli elettorali. Ovunque. Russia, Iran, Stati Uniti (qualcuno s’è dimenticato della vittoria rubata ad Al Gore da parte di George W. Bush e la sua combriccola di guerrafondai da strapazzo?). A chi possiamo davvero affidarci al giorno d’oggi? Quante guerre, evidenti e silenziose, scoppiano per capricci di commercianti di vite umane? Quanti incidenti sulla testa della gente esplodono per mero orgoglio di qualche burocrate che si è dimenticato di togliersi il cappello da cowboy o elmetto modello Guerra Fredda?

Un po’ invidio il colonnello Thomas "Tom" Devoe (George Clooney), agguerrito peacemaker su e giù tra elicotteri e uffici, ancora convinto che il mondo sia solo bianco o nero. Perché nella realtà anche chi vorrebbe impedire a qualche pazzo di scatenare un incidente nucleare, dovrebbe conoscere il perché un uomo possa commettere simili azioni, e cosa ci sia stato prima. E cosa magari il suo stesso governo ha fatto alle case altrui con gli applausi di una parte di globo.

E un po’ invidio anche la dottoressa Julia Kelly (Nicole Kidman) che prima di agire, preferisce studiare le persone piuttosto che accettare la più pratica e drastica visione di Devoe che appella il generale Aleksandr Kodoroff (Aleksandr Baluev), in viaggio con testate nucleari solo per fare soldi e diventare ricco sfondato, semplicemente come asshole (stronzo).  

The Peacemaker (1997, di Mimi Leder), aldilà di mettere nello stesso film quelle che all’epoca erano due delle più lanciate e fotogeniche superstar cinematografiche (lui lo è ancora adesso), tentò di riaccendere qualche riflettore sul dramma ignorato della Guerra dei Balcani (1991-95). 

Una tragica pagina contemporanea che l’Europa, insipiegabilmente "coccardata" con il Premio Nobel per la Pace 2012, ha avuto molta fretta di chiudere e soprattutto dimenticare, salvo qualche insignificante celebrazione di facciata. A distanza di vent'anni dal conflitto, sarebbe interessante chiedere alla gente di Sarajevo, Tuzla e Srebrenica cosa ne pensano di questo recente conferimento alla nobile UE.

Che facciamo con questo schifo che dilaga in ogni latitudine? Chi ha scritto certe storie o leggende? Sono esisitite davvero persone che hanno agito o agiscono nel nome dell'umanità senza badare al proprio tornaconto? Mi viene in mente che si, è probabile ci vorrebbero meno palazzi, di cristallo o sabbia che siano. 

Ci vorrebbero meno strette di mano ipocrite e telefonate di scuse. Ci vorrebbero molti meno confini. Ci vorrebbe un po’ più di chiarezza. Ci vorrebbero un po’ più di parole dirette, pensando che qualcuno oggi non debba morire per colpa di un altro. Bisognerebbe che i pacificatori intervenissero prima, e non dopo. Non si dovrebbe arrivare a un genocidio di massa prima che qualcuno si accorga che qualcosa sta succedendo. 

Perché tanto lo sappiamo già come come andrà a finire. Il sangue chiama sangue. Oggi, come allora. La Bosnia e il Ruanda a metà anni '90, fino al dramma contemporaneo della Siria dove nessuno fa niente. Che domani sarà? Forse sarebbe il caso di cominciare ad agire subito.

The Peacemaker - Thomas Devoe (George Clooney)

venerdì 12 ottobre 2012

Fair Game (2010) – Caccia alla Verità

Fair Game – Caccia alla spia (di Doug Liman)
Viaggio nel CIA-gate. Uno sporco affare dalle dimensioni bellico-inimmaginabili. Fair Game – Caccia alla spia (2010, di Doug Liman).

di Luca Ferrari

Prima la bugia, poi il sangue. Dopo l’invasione afgana, la foga falso-vendicativa della politica arraffo-militarista di George W. Bush prese di mira Saddam Hussein. Proprio lui, il dittatore iracheno passato nel giro di un ventennio da baluardo di libertà da rifornire di armi nella crociata contro il regno del fanatismo khomeynista degli ayatollah iraniani, a nemico giurato di tutto l’Occidente.

Bush senior non era stato capace di chiudere la "partita" nel 1991 e prendere possesso dei ricchi giacimenti petroliferi locali, adesso era tempo di farla finita una volta per tutte. Il cratere delle Torri Gemelle era ancora fumante. I nervi degli americani ancora e troppo scoperti. L’occasione perfetta per inventarsi un fantomatico rapporto che accertasse in Iraq la presenza di armi di distruzione di massa (con l’uranio arrivato direttamente dal Niger) e così mobilitare le truppe verso Bagdad.

Qualcuno però in Africa ci era davvero stato. Joseph Wilson (Sean Penn). Su parere di sua moglie Valerie Plame (Naomi Watts), agente sotto copertura della CIA, viene mandato dai Servizi Segreti americani per capire se fantomatici tubi metallici possono essere collegati alle centrifughe atomiche irachene.

Il suo rapporto è inequivocabile. Nulla di quanto dice il Presidente corrisponde al vero. Gli Stati Uniti sono sul piede di guerra. Che fare? Tacere o sparare la bomba mediatica? Le pagine del New York Times svelano la bugia ma la risposta della Casa Bianca non tarda a venire. Reagisce in modo a dir poco estremo. Vuole distruggere la coppia.

Per prima cosa rivela pubblicamente la vera identità di Valerie, mettendo così fine alla sua carriera nell’Agenzia e facendo di conseguenza saltare tutta la rete di contatti che la donna si era faticosamente costruita in anni di rischioso e duro lavoro. Schiacciano finché non ti portano al punto di rottura. Ma io non mi spezzo. Non arriverò mai a quel punto” dice l’esausta Valerie al marito.

Trama intrigante, ma storia vera. Lo si scopre alla fine del film, Fair Game – Caccia alla spia (2010, di Doug Liman). È il cosiddetto CIA-gate. Uno scandalo che ha visto condannato un funzionario di alto livello della Casa Bianca. Valerie e Joseph ce l’hanno fatta. Valerie e Joseph hanno saputo andare contro corrente, sfidando anche l’autorità più alta della propria nazione in nome della Verità.

Già, sempre lei. La più odiata, e cacciata. Nel suo nome la gente viene spezzata via brutalmente. Vengono strappate le orecchie alla gente purché non senta. Valerie e Joseph ce l’hanno fatta, eppure l’ex-presidente Bush e l’ex-primo ministro inglese Tony Blair non sono mai comparsi davanti a un Tribunale Internazionale per aver causato centinaia di migliaia di vittime innocenti solo per sottostare alla logica economica del proprio sporco interesse.

Perché? Perché? Perché? Perché? Perché? “Dobbiamo contrattaccare. Ci seppelliranno se non reagiamo” disse Joseph preoccupato alla moglie. Vale per tutti. Se così faremo tutti, non esiste servizio segreto, loggia massonica, cosca mafiosa o potere presidenziale che potrà impedirci di far emergere il marcio che quotidianamente ci somministrano perfino nell’aria che respiriamo. E tu sei pronto a dire la verità, tutta le verità, nient'altro che la verità? E tu, sei pronto a lottare per la Verità?

Il trailer di Fair Game - Caccia alla spia

Fair Game - Valerie Plame (Naomi Watts) e Joseph Wilson (Sean Penn)

giovedì 11 ottobre 2012

I miei primi passi dopo Into the Wild

la locandina del film
Le prime tremule parole appena finita la proiezione di Into the wild (2007, Sean Penn) nel cinema Giorgione di Venezia.

Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer 

“All’apogeo della battaglia c’è sangue sul terreno/, l’obbligo della strada perde la libertà di decidere istintivamente/…vita sospesa, paura, confronto con che cosa?...la gente è malvagia e la società produce solo rabbia/, faccio a meno del letto e prenderò un sacco di botte fino a quando non riprenderò il mio cammino…

l’amore per il prossimo non ha alcuna utilità fino a che continuerai a lavorare per occupare il tempo che potresti dedicarci/…qual è la tua idea di felicità? cosa può desiderare di più il cuore di un uomo? solitudine, libri, e l’ultimo grande poeta…l’invenzione della ragione ha incarnato la saggezza d’ogni impossibile ritorno/…la conquista della saggezza è un mondo senza tetto dove la terra non fa carriera ai danni delle lacrime perpendicolari all’occhio più lontano/

…l’esagerazione della semplicità  ci ha condotto fin qua…la morte,  amici miei, non mi ha permesso di fare affidamento su altri”

Venezia, cinema Giorgione - il biglietto di Into the Wild (2008)

mercoledì 10 ottobre 2012

Reese Whiterspoon, legally Friends

Friends - una perplessa Jill Green (Reese Whiterspoon)
Tra le tante comparsate nella sitcom Friends, nella 6° stagione trovò posto anche la futuro premio Oscar, Reese Whiterspoon.

di Luca Ferrari

A casa di Monica (Courteney Cox) e Chandler (Matthew Perry) suona il campanello. Alla porta si presenta una ragazza di bassa statura di nome Jill. Jill Green, la sorella minore di Rachel (Jennifer Aniston). È disperata e diseredata. A darle simpatia, capelli biondi e una certa aria impacciato/stralunata è la futura premio Oscar per Walk the Line - Quando l'amore brucia l'anima (2003), Reese Whiterspoon.

È la VI della sitcom Friends, 13° puntata Una visita inattesa - Jill è la figlia viziata di casa. Incapace di vivere senza le carte di credito del padre. È come la Rachel d’inizio serie. Dovrà iniziare a cavarsela da sola. E come per la sorella maggiore ci saranno gli amici a darle sostegno. La piccola Jill ha la dolcezza di una trottola. Si muove in una dimensione, quella dove si lavora per pagare le bollette, senza sapere dove andare di preciso. Fa ingelosire la sorella maggiore avvicinandosi all'ex Ross (David Schwimmer).

Ma a dispetto della traballante situazione personale, in quel suo sano logorroico ottimismo, già s’intravede quello che diventerà il marchio di fabbrica dell’inaffondabile Elle Woods, protagonista delle celebri pellicole La rivincita delle bionde (2001, di Robert Lukertic) e Una bionda in carriera (2003, di Charles Herman-Wurmfeld). Un’apparente  bionda “svampita” passerà dal modello moglie-trofeo oca a un’agguerrita avvocato di grido, arrivando a portare le proprie cause fino alla corte suprema di Washington DC. Senza rinunciare mai a credere nei propri sogni e in se stessa.

Friends - Chandler (Matthew Perry), Jill (Reese Whiterspoon) e Rachel (Jennifer Aniston)
Friends - Jill Green (Reese Whiterspoon)

venerdì 5 ottobre 2012

La nuova Lara Croft e futura Lamù

Viviana Ammannato in versione Lamù
Danzatrice, artista e amante del mondo cosplay. Stiano attente Angelina Jolie, Lamù e le altre prime donne hollywoodiane, Viviana Ammannato è arrivata.

di Luca Ferrari

“Sono stata Lamù - la Ragazza dello spazio (manga giapponese realizzato da Rumiko Takahash, ndr), Alice Abernathy di Resident Evil e Lara Croft di Tomb Raider. Fin’ora” racconta divertita la giovane siciliana Viviana Ammannato, “Cambiare identità è un modo per relativizzarla. È la grande lezione della nostra epoca. Se riusciamo a viverla come un gioco puro e non con narcisismo vezzoso, il risultato può essere interessante”.

L’ironia, si. E se il capo delle faine nel fantasmagorico Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988, di Robert Zemeckis) ammoniva la sua banda con la frase cult “uno di questi giorni morirete dalle risate”, dall’altra parte della sponda potremmo mettere il medico Patch Adams (interpretato nell’omonimo film da Robin Williams), che ha rivoluzionato l’approccio clinico al grido di “Ridere è contagioso. Noi dobbiamo curare la persona, oltre alla malattia”. Darsi valore, ma con una larga sacca di autoironia.

“L'arte, così come i cosplay (pratica giapponese che consiste nell'indossare un costume rappresentante un personaggio riconoscibile, ndr) e i travestimenti, sono tutti modi per dire: Ehi, credi di sapere chi sono io? Ti sbagli, l'apparenza è mutevole” continua Viviana, “Possiamo portare l’Anima nel gioco dell'apparenza in modo da scardinarla. Frantumando il muro di diniego e di rigidità (mentale e fisica) che ci portiamo dietro.

Lara Croft mi piace perché incarna un lato forte e seducente del femminile, oltre che esploratore e salvaggio. Mi sono sempre sentita un po’ come lei. Fisicamente e interiormente. Anche se tutte quelle evoluzioni, wow. Davvero spettacolare. E se incontrassi Angelina Jolie, le direi – via di qua, pivella! –.

Se l’ultima avventura di Lara Croft risale ormai al 2003, con Tomb Raider: La culla della vita (di Jan de Bont) dove spiccava un non ancora troppo conosciuto Gerard Butler, ed è appena uscito il quarto capitolo della saga ispirata al mondo dei videogame, Resident Evil: Retribution (2012, di Paul W.S. Anderson), manca totalmente un film con una protagonista in carne e ossa della bella Lamù. E lei, Viviana Ammannato, è  pronta.

Viviana Ammannato in versione Lara Croft
Viviana Ammannato in versione Alice Abernathy e Lamù

giovedì 4 ottobre 2012

Stanley Kubrick fotografo

Untitled, di Stanley Kubrick
Prima di diventare un affermato regista, ‪Stanley Kubrick‬ è stato un valente ‪ fotografo‬ per LOOK magazine

di Luca Ferrari, ferrariluca@hotmail.it
giornalista/fotoreporter – web writer

Un’anziana guarda il mare. La sabbia cerca il primo piano. Navi all'orizzonte. Il sole sembra già alto e caldo. Le mani quasi in forma di preghiera. I volti scavati della gente. Guardano in tutte le direzioni. Una barca scrostata di qualche pescatore rientrato, con lo scafo puntato verso l’oceano. Iniziava così la mostra Stanley Kubrick Fotografo, quando il futuro regista neo-assunto per la rivista Look immortalò tra il 1945 e 1950 spaccati di vita quotidiana.

Dal 28 agosto al 14 novembre 2010 si è tenuta a Venezia, all’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti nella sontuosa cornice di Palazzo Cavalli Franchetti, un’esposizione di scatti realizzati dal futuro regista di (tra gli altri) Arancia meccanica (1971), Shining (1980) e Eyes Wide Shut (1999). Un percorso fatto di 200 immagini con davanti a me le immagini immortalate su pellicola di un giovane diciassettenne che di lì a poco avrebbe iniziato a scrivere indimenticabili pagine di cinema.

Stanley Kubrick era un ragazzo come tanti altri. Al collo ha una macchina fotografica. Inizia a raccontare il mondo. Inizia a fissarlo. Corteggiarlo. Dalle spiagge portoghesi ai lustrascarpe di Brooklyn. Dal prezzo della libertà a spaccati della Columbia University. Il circo, la diva Betsy von Fürstenberg, il paddywagon (il cellulare della Polizia Penitenziaria), la città degli orfani e il jazz.

Inizio con sguardi veloci. Voglio vedere il bianco e nero entrare e uscire dai miei occhi. Pochi minuti, e ricomincio dall’inizio. La quiete dopo una tempesta di lampi, ma le pellicole brontolano ancora. Rimbombano. Oracoli in attesa di far conoscere le proprie rivelazioni. Ma per farlo, devo ascoltarmi. Traduco la mente in tante pagine bianche, lasciando che le foto lentamente mi entrino dentro.

Sono passati pochi attimi. C’è una coppia di americani nel Dopoguerra in viaggio in Lusitania. Li interpreto in luna di miele. S’incrociano sotto architetture, e al caffè. Teiere davanti. Sono sulla strada. Di spalle due bambine col vestito della festa. La strada ciottolosa. Sembra una scenografia. E queste due sorelline potrebbero rappresentare il futuro della coppia. Il desiderio di avere figli.

Cambio sala, e salgono in cattedra i lustrascarpe davanti al vecchio chiosco di hot dog di Brooklyn. Uomini eleganti li osservano. Un giovane lustrascarpe è fermato nell’ammirare la locandina di un film davanti al cinema. Poi è su. All’ultimo piano di un palazzo, con i piccioni. Aldilà della facile simbologia della libertà, è il suo sguardo concentrato sul volo che incanta. Ci proverà anche lui. Di sicuro. Con la vita.

E quando nella foto successiva rivedo il giovanissimo con i guantoni da boxe, sembra un promemoria della sua esistenza. Un combattente. Un giovane racconta i giovani. Il mondo universitario. Una ragazza nella foto grande scende dalla scalinata con pesanti libri e fogli di appunti che escono. Nella città dei ragazzi una bambina si allunga per toccare il muso di un alce. Il mondo dentro e fuori il furgone penitenziario. E la scritta nel retro del mezzo: Danger, keep 20 feet distance (Pericolo, tenersi a 20 piedi di distanza).

Kubrick apre le porte del circo. Superamento di confini. Assenza di tabu. Il tendone della vita quotidiana. Spettacoli dal vivo. Il bambino tocca la faccia divertita di un clown.

Le immagini sono un crescendo prospettico. Ordinate e anarchiche. Gli spettatori si soffermano. Guardano più e più volte la medesima foto da distanze e posizioni diverse. Ognuno trova quella che gli somiglia di più. Una ragazza con un silenzioso foulard viola indugia davanti alle immagini circensi. Anche lei è una foto in quel momento, e io non posso che provare a divincolarmi nei labirinti di pensieri che la sento sprigionare in tutta la sua attenta analisi solitaria.

Guardo Betsy von Fürstenberg. Con il copione stretto al seno. Stanley riesce a fermare il momento. Kubrick ne coglie il doppio movimento. Con gli occhi chiusi, nell'atto dello sforzo mnemonico d’imparare le battute. E con la mano destra che carezza il cane. Lei è lì. Seduta sulla finestra. Con sotto la città, e il mondo che vuole conquistare e stupire con le sue interpretazioni. Ci riuscirà lei. Ci riuscirà lui. Ci riuscirò io?

Stanley Kubrick, Portogallo (1948)
Stanley Kubrick, Autoritratto

mercoledì 3 ottobre 2012

La vera amicizia non va mai alla deriva

L'Era Glaciale: Continenti alla deriva - la vera amicizia tra Louis e Pesca
Appartenenza. Carattere. Lealtà. Continenti alla deriva, il 4° capitolo della saga dell’Era Glaciale è un viaggio nei sentimenti più variegati dei protagonisti.

di Luca Ferrari

Per la prima volta orfana della regia di Carlos Saldanha, l'avventura animata in epoca glaciale si mette in viaggio (forzato). A dispetto dei tre protagonisti principali, a salire in cattedra questa volta è Pesca, la giovane mammut figlia di Ellie e Manfred, alle prese con le più classiche pene adolescenziali. Poco spazio invece per gli stralunati e sempre più fuori di testa opossum Eddie e Crash, che a dispetto dei movimenti tettonici con annessi terremoti e maremoti, pensano solo a divertirsi (siamo stupidi, dicono di sé senza problemi).

La crosta terrestre si sta dividendo, e gli animali sono in fuga per mettersi al riparo. Pericoli incombenti o meno, questo non impedisce a una figlia di ribellarsi alla severità del padre. Quando però quest’ultimo viene spazzato via dal cataclisma e si ritrova su un gigantesco lastrone di ghiaccio per sua (s)fortuna insieme al fidato Diego e il logorroico Sid, le due generazioni iniziano a rivedere le proprie posizioni. L’obbiettivo diventa uno e unico. Ritrovarsi.

Dopo aver affrontato cacciatori umani, mostri marini e perfino dinosauri, il branco più anomalo dell’Era Glaciale (e di qualsiasi altra epoca possibile e immaginabile) se la dovrà vedere i Continenti alla deriva (Blue Sky Studios, 2012). 

Durante il loro cammino per ritornare a casa, nella più classica delle odissee con le immancabili (e mostruose) sirene a tentarli, Manfred, Diego e Sid  efiniranno tra le grinfie di una ciurma piratesca capitanata dallo spietato Capita Budella, la cui voce originale è data Peter Dinklage mentre dietro la versione italiana si cela Francesco Pannofino, all’ennesima performance animata dopo essere stato, tra gli altri, il Maestro Bue in Kung Fu Panda 2 (Dreamworks Animation, 2011) e il capitano Haddock in Le avventure di Tintin - il segreto dell'Unicorno (Steven Spielberg, 2011).

Rischiare di non vedere più una persona amata subito dopo un colossale litigio, è capitato a molti. Succede anche alla giovane Pesca, in subbuglio ormonale per il “fico” Ethan, un mammut con cresta bionda dietro cui sbavano la capetta Steffi con al seguito le "sempre-d’accordo-con-lei" Kathie e Megan. 

Per entrare nel ristretto club dei “tosti”, prima disobbedisce al padre poi, per non farsi deridere, dice che il fedele amico Louis (una talpa) non è nulla di speciale. Il giovane roditore, che coltiva palesemente un irrealizzabile sogno d’amore, è li sotto e ha sentito tutto. E con la forza dell’onestà glielo dice. Derisa, anche per il suo modo di dormire da opossum, Pesca alza la testa. Reagisce. Nessuno può permettersi di insultare la sua famiglia. Alla resa dei conti con i pirati, sarà il piccolo animaletto a sfidare il grosso scimmione Sbudellatore per salvare l’amica (amata?), e non certo i più corpulenti e giovani mammut.

Nella storia, se Manfred si comporta come il più classico dei padri ansiosi (potrai uscire con un mammut solo dopo che sarò morto, anzi tre giorni dopo per non correre rischi, dice alla figlia), Allie è una mamma capace di stare vicino a Pesca, ma lasciandola comunque lo spazio per crescere. 

Diego è la figura più malinconica e bisognosa di comprensione e accettazione. L’arrivo della nemica Shira (con la voce originale di Jennifer Lopez) farà fin da subito breccia nel suo cuore solitario e sofferente. Pur non essendo un amante del genere, il solo prequel che vedrei bene, proprio perché si sa poco di lui, riguarderebbe le tigre con i denti a sciabola. Fin dagli esordi infatti Diego non è mai stato visto bene dal suo originale branco. Perché? Cosa si nasconde? Sid invece continua a essere imbranato, ingenuo, abbandonato (dalla sua famiglia che gli sbologna pure la sdentata nonnina) ma perennemente solare. Impossibile non volergli bene.

Handicap di noi italiani è che abbiamo sempre degli ottimi doppiatori e quando uno se ne va, si sente subito. Dopo aver prestato servizio nelle prime tre pellicole della saga dell’Era Glaciale, Leo Gullotta ha lasciato le corde vocali del possente a Manfred a Filippo Timi, il Bane di The Dark Knight Rises (2012), e la differenza purtroppo si è sentita subito. Curiosità. Mentre per la piccola Pesca la voce originale è della diciottenne attrice-cantante Keke Palmer, quindi coetanea adolescenziale della figlia di Ellie e Manfred, la voce italiana è stata affidata alla giornalista/attrice/scrittrice Isabella Adriani, particolarmente a suo agio quando si tratta di storie e fiabe.

L’appartenenza ci accompagna per tutta la nostra esistenza. Ma a dispetto di dove si nasce e con chi si vive, tocca a noi decidere dove vogliamo stare. Una realtà questa con cui ciascuno prima o poi si deve confrontare nella vita. E prima ancora dell’amore, il sentimento con cui si fa inizialmente i conti è l’amicizia. Trascurare persone care in nome della visibilità, come capita a Pesca, o del proprio orgoglio, può anche portare a scrivere lettere di addio lasciando invisibili le proprie lacrime.

Non è mai troppo tardi per ribellarsi alle rassicuranti e vigliacche leggi del gruppo. Non è mai troppo tardi per ribellarsi al nostro trattenuto silenzio. Quale che sia la dinamica non ha importanza, quello che conta è usare la propria testa senza dimenticarsi di ciò che ha davvero importanza. Perché come ci ha tramandato il cantautore rock canadese Neil Young, non siamo altro che i nostri sentimenti.

Il trailer de L'era glaciale 4: Continenti alla deriva
L'Era Glaciale: Continenti alla deriva
L'Era Glaciale: Continenti alla deriva - lo scoitattolo Scrat
L'Era Glaciale: Continenti alla deriva - Syd e Diego

martedì 2 ottobre 2012

Cineluk in Wonderland

Mestre (Ve), cinema Excelsior - il biglietto per la proiezione di The Campaign (Candidato a sorpresa)
Questo è il 300° articolo sul blog giornalistico specialistico Cineluk il cinema come non lo avete mai letto, e invece della recensione di L’Era Glaciale 4: Continenti alla deriva che potrete leggere mercoledì 3 ottobre, ora pubblico l’ingresso. L'attimo prima. Quando ho finalmente in mano il mio pass per il grande schermo. E magari non lo sapete ma dal 2003 annoto tutte le proiezioni cui assisto con tanto di data, e sala. Mica vado sempre nello stesso cinema anche se ultimamente finisco sempre lì dentro, all’Excelsior di Mestre (Ve). Tre sale in tutto, ma con il fascino dei cinema dove si scambiano sempre due parole. E se durante la proiezione, al block-notes e penna si aggiunge anche la vicinanza di una persona davvero speciale, allora è il nirvana più assoluto. Forse il biglietto non sarà così avveniristico da farmi vivere la medesima avventura come capitava al giovane Danny in Last Action Hero, però mentre sono lì dentro, la magia imperversa e dopo ogni proiezione il mondo mi appare sempre diverso. Come si fa? Dall'alto della sua ricerca neverlandiana, James M. Barrie avrebbe risposto così: by believing.

cinema Excelsior - il biglietto di L'Era Glaciale:  continenti alla deriva