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giovedì 26 settembre 2019

Friends, ti amo... ti odio

Friends - da sx Phoebe (Lisa Kudrow), Joey (Matt LeBlanc), Monica (Courteney Cox),
Chandler (Matthew Perry), Rachel (Jennifer Aniston) e Ross (David Schwimmer)
Nozze d'argento per la serie Friends, oggi tornata sulla bocca di tutti per il venticinquennale della prima puntata. 10 stagioni di cui almeno la metà potevano essere scritte molto meglio.

di Luca Ferrari

25 anni or sono, sulla NBC andava in onda la prima puntata della serie televisiva Friends. A cavallo degli anni Novanta-Duemila, nessuno ha saputo meglio raccontare la vita, gli amori e il lavoro. Protagonisti, sei giovani newyorchesi residenti nel quartiere del Greenwich Village, protesi verso la vita adulta. Ma invece di vivere la Grande Mela tra party ed eccessi vari, l'azione era tutta concentrata nei due appartamenti adiacenti dove vivevano quattro di essi, le conversazioni e il luogo di ritrovo, il caffè Central Perk. Pochi semplici ingredienti che hanno fatto di una serie, Friends (1994-2004), La Serie Televisiva.

Friends, la serie cult anni Novanta. Friends, la serie dei record. Friends, la serie con cui molti di noi sono cresciuti e maturati. Friends la serie delle guest star. Da Isabella Rossellini Brad Pitt, questi nei (grandiosi) panni di un ex-compagno di liceo di Monica e Rachel nonché co-fondatore del gruppo "Io odio Rachel" insieme a Ross, passando per il regista John Favreau, la coppia Billy Crystal-Robin Williams, Winona Ryder, lo stripper Danny DeVito, Julia Roberts e Jean-Claude Van Damme, George Clooney, Susan Sarandon, Sean Penn, Alec Baldwin e altri ancora. Ma anche dietro dei grandissimi prodotti si nasconde qualcosa di poco riuscito. Più di qualcosa, a dire il vero.

Ed è proprio lo sconfinato amore per questa serie (vedi anche l'articolo Friends, dal Central Perk al Greenwich Pub) che mi ha spinto a essere spietatamente veritiero. Con la sola eccezione di Rachel Green infatti, nel corso delle 10 stagioni gli altri cinque personaggi subiscono un'autentica involuzione caratteriale, mutando in autentica antipatia e/o stupidità. Ricordo ancora la delusione per l'epilogo della serie. Un finale banale e scontato. Ma i problemi di sceneggiatura erano già iniziati ormai dalla 5° stagione. Detto questo, mettetevi comodi, e preparatevi a una disamina sui sei personaggi principali, iniziando dalle fanciulle e in rigoroso ordine alfabetico nominale.
  • Monica Geller (Courtney Cox): fin dagli esordi si percepisce quanto sia frustrata dal confronto col fratello Ross, prediletto dai genitori Jack (Elliott Gould) e Judy (Christina Pickles) che non fanno altro che snobbarla. La madre in particolare, non lesina critiche spietate e talvolta cade proprio nell'umiliazione. La giovane Geller però è una tosta e col tempo acquisisce sempre più amor proprio. Non ha paura di sporcarsi le mai facendo anche i lavoretti più umili, avendo sempre in mente il sogno di essere la capo chef di un ristorante. Vuole una famiglia con figli e quando il suo grande amore Richard (Tom Selleck) glielo nega, lei lo congeda, passando un periodo nerissimo. Saprà rialzarsi, trasformandosi però in una nevrotica compulsiva dell'ordine, cosa che non era assolutamente nelle prime Stagioni. Se qualcuno avesse l'ardire di contraddirmi, casca male e lo rimando all'inizio della II stagione quando durante una rivelazione di segreti, tra cui il terzo capezzolo di Chandler e la partecipazione di Joey a un film porno, Ross salta con le scarpe (con le scarpe!) sul divano della sorellina senza che questa proferisca parola. Per come si è evoluto (...) il suo personaggio, ciò sarebbe stato impossibile.
  • Phoebe Buffay (Lisa Kudrow): da strana a st****a. Inizia divertente, naif e sensibile, per poi diventare acida e insopportabile. Ogni volta che qualcuno vive un dolore e si confida con lei, deve sempre sbattergli/le in faccia il suicidio della madre (che è viva in realtà). Si crede sempre meglio di Monica e Rachel solo perché lei viene dalla strada. È un'ipocrita con se stessa in moltissime occasioni, dal cibo al vestiario e l'arredamento. Non si fa mai nessun problema a ferire alcuno dei suoi amici, che al contrario dimostrano zero coraggio nel dirle, per esempio, che la sua musica è la cosa peggiore che esista al mondo.
  • Rachel Green (Jennifer Aniston): cosa ci trovi in Ross, è inconcepibile. Pienamente d'accordo col direttore del Central Perk, Gunther (James Michael Tyler), che se lo chiede ogni giorno. Se Friends fosse girato oggi, la coppia Ross & Rachel non potrebbe esistere. In principio Rachel è l'anello debole del gruppo. Si ribella a un matrimonio senza passione e accetta di ripartire da zero. Lei, ricca e viziata, si mette a servire ai tavoli. Mese dopo mese punta alla sua passione, la moda. Anno dopo anno è sempre più lanciata. Lì nel mezzo un tira e molla con un pesante paleontologo che non fa altro che parlare del suo lavoro, incapace di andare oltre le proprie fragilità. Di gran lunga il personaggio migliore, però anche lei cede all'usato sicuro, incapace di uscire dal passato più nostalgico.
  • Chandler Bing (Matthew Perry). Nelle prime stagioni è ironico e divertente. Gli piace lo sport (va allo stadio a vedere hockey, segue il basket) riuscendo anche in conquiste con l'altro sesso non indifferenti, vedi la bellissima Aurora (Sofia Milos) e la straniera dei Paesi Bassi, Margha (Suzanna Voltaire), incontrata durante la sfida a football della Coppa Geller, e soffiata sotto il naso dello straripante Joey. In principio si lascia e si molla con la mitica oh-mio-dio Janice (Maggie Wheeler). E che dire di Kathy (Paget Brewster), anch'essa ragazza di Joey, ma innamorata di Chandler e alla cui relazione Monica e Rachel daranno una grossa mano con spiegazioni e disegni sul sesso con quel epico sette finale. 7... 7... 7... 7... 7!  Da quando però inizia la relazione con Monica, ne diventa succube. Sempre più debole e spesso in contrasto-confronto con Ross in un, consentitemi il termine, "patetico scontro tra sfigati" La sua ironia cede il passo a una conclamata "esistenza senza spina dorsale". Perché? E insisto ancora: perché?
  • Joey Tribbiani (Matt LeBlanc): in principio è un giovane e volenteroso aspirante attore, disposto ad accettare qualsiasi scrittura e/o lavoro alternativo (inclusa pubblicità per la sifilide e folletto di babbo natale), pur di raggiungere il proprio sogno. Ha una carta di credito e paga i conti. Non che sia una cima di intelletto, però ci prova. Col tempo invece diventa un vero e proprio parassita alle spalle di Monica, Chandler e il loro frigo. Spaccone sempre più infantile e incapace di condurre una vita adulta, la sua indubbia simpatia iniziale scema in compassione di un bambino poco cresciuto. Si comporta da porco con la stragrande maggioranza delle sue ragazze ma guai se qualcuno gli tocca le sorelline (o il cibo dal piatto), mettendosi addirittura a fare il moralista.
  • Ross Geller (David Schwimmer): è il personaggio peggiore e se la relazione con Rachel avrebbe potuto dargli una svolta, non è bastata la sua vicinanza e il suo autentico amore a renderlo meno insicuro e farlo diventare un uomo vero. Ross è rimasto il cocco di mamma, quello che prendeva in giro la sorella cicciona e dava sempre la colpa agli altri dei suoi errori. È imbranato a livelli disarmanti con il gentil sesso. È tirchio, geloso e spesso disonesto. Il suo tanto sbandierato amore per Rachel non regge neanche il tempo di una discussione, finendo subito sotto le lenzuola di un'altra, salvo poi dire-urlare in modo isterico l'ormai celebre: Avevamo rotto! No Ross, avevate litigato. È molto diverso. Non va diversamente con Emily (Helen Baxendale). Se il nome sbagliato sull'altare, per quanto atroce, può anche essere comprensibile vista la lunghissima relazione avuta con Rachel, è imperdonabile il fatto che sia pronto a farsi il viaggio di nozze con la sua ex a neanche un giorno dal patatrac nuziale inglese. Emblematica la frase di Joey sul suo conto: Come tu ti sia sposato tre volte, non lo capirò mai. Arriva perfino a provarci con la cugina Cassie (Denise Richards) e a farsi trascinare in un simil-appuntamento dalla sorella minore di Rachel, Jill (Reese Whiterspoon), solo per farla ingelosire. Inqualificabile.
C'è poi il fattore "ipocrisia" in Friends. Quasi nessuno dice mai la verità agli altri, con la sola eccezione di Phoebe, che al contrario la spara in faccia senza la minima sensibilità in nome di non si sa bene quale "status" privilegiato. Un vero amico dice la verità, si, anche se spiacevole. Ovviamente, volendo bene a lui/lei, c'è modo e modo di dirla. Friends in questo fallisce. Accade di rado ed è a senso unico. Sono ancora giovani, è vero, e forse avranno tempo per impararlo ma nei gruppi quasi sempre avviene questo. Le cose spiacevoli non vengono mai dette in faccia e così nessuno si evolve, rimanendo lì dove sono e se qualcuno rompe questo tacito patto, è la fine per il singolo.

Siamo agli sgoccioli. E ora mi rivolgo a tutti coloro che non aspettano altro di finire questo articolo per rigettare punto per punto tutto ciò che ho scritto e massacrarmi pubblicamente. Potete farlo, ma non cambierò idea anche perché se non vedete in tutto questo una lettera d'amore a Friends, allora non avete capito proprio niente. Non si scrivono articoli così lunghi (o lettere... vi dice niente la cosa?) se non amate davvero qualcuno o qualcosa. E io da innamorato autentico di Friends, mi sarei aspettato di più. Avrei voluto di più. Sono rimasto bruciato ma l'amore non si cancella. Friends è stato quel primo grande amore che non scorderò mai e anche se mi fa ancora soffrire, resterà per sempre tale.

Friends, il compleanno di Rachel

Friends si congeda dal piccolo schermo...

mercoledì 25 settembre 2019

Tutta colpa di Reese Whiterspoon

Tutta colpa dell'amore - Melanie (Reese Whiterspoon) e Jake (Josh Lucas)
Ironia, colpi bassi e romanticismo. Reese Whiterspoon è la protagonista della commedia Tutta colpa dell'amore (Sweet Home Alabama - 2002, di Andy Tennant).

di Luca Ferrari

Il primo vero grande amore non si scorda mai, Anche quando si ha una carriera lanciata nell'alta moda della Grande Mela e al proprio fianco c'è un fidanzato perfetto, il benestante Andrew Hennings (il futuro Dott. Stranamore di Grey's Anatomy, Patrick Dempsey), figlio della sindaco di New York, Katherine (Candice Bergen). E una volta ricevuto proposta con tanto di anello di fidanzamento, per Melanie "Carmichael" Smooter (Reese Whiterspoon) è tempo di tornare a casa nella "sudista" Alabama e chiudere per sempre i conti col passato, incluso l'ex-marito Jake (Joshn Lucas).

Reduce dal successo della seconda (grandiosa) stagione della serie televisiva Big Little Lies al fianco di Nicole Kidman, Laura Derna, Shailene Woodley e una mai-così-odiosa Meryl Streep, l'allora 26enne Reese Whiterspoon (Legally Blonde, Walk the Line - Quando l'amore brucia l'anima, Wild) è protagonista della brillante commedia Tutta colpa dell'amore (Sweet Home Alabama - 2002, di Andy Tennant). Non fatevi ingannare troppo dal titolo, ironia e colpi bassi tra coniugi sono la base su cui si costruisce una romantica storia a base di litigi, promesse eterne e un finale ben orchestrato tra storiche rivincite a autentici comportamenti da gentleman.

Melanie abbandonò il Sud quando era ancora una ingenua ragazzina. Ha fatto strada e del suo vecchio mondo non ne vuole più sapere. Niente più sagre paesane. Niente più nomignoli. Rimesso piede nel fango dell'Alabama, va a stare qualche giorno dai genitori Pearl (Mary Kay Place)
ed Earl Smooter (Fred Ward). Prima di chiudere davvero con quel mondo, dovrà affrontare tutti i propri demoni, versando anche quelle lacrime che non pensava più di possedere. Ma chi l'ha detto poi che New York e l'Alabama non possano coesistere dentro la medesima persona? 

Una romantica scena di Tutta colpa dell'amore

Tutta colpa dell'amore - Melanie (Reese Whiterspoon) insieme ai due colleghi
Tutta colpa dell'amore - Melanie (Reese Whiterspoon) e il fidanzato Andrew (Patrick Dampsey)

giovedì 19 settembre 2019

Con amore per Sharon, C'era una volta a Hollywood

C'era una volta a... Hollywood - lo stuntman Cliff Booth (Brad Pitt)
Un attore in fase calante e la sua controfigura ormai senza lavoro. Hollywood non è più quella di una volta? Inevitabile, ma per nostra fortuna Quentin Tarantino, si. Anzi, lui migliora.

di Luca Ferrari

C'era una volta a... Hollywood. C'è ancora Quentin Tarantino. Per il suo nono lungometraggio il regista innamorato della settima arte si è regalato due attori di straordinario talento, affidandogli un copione capace di soddisfare qualsiasi palato e alternando ogni ingrediente possibile. Osservi la performance di Leonardo DiCaprio e ti chiedi possa aver vinto un Oscar per il mediocre Revenant senza che lo bissi nel 2020 per C'era una volta a... Hollywood. Guardi Brad Pitt e ti chiedi esterrefatto come sia possibile che sia ancora a dieta stretta di grossi riconoscimenti (solo un Golden Globe nell'ormai lontano 1996 come Miglior attore non protagonista per L'esercito delle 12 scimmie).

Tarantino sa osare e osa. Archiviato l'accettabile The Eightful Eights, (2015) film divertente ma fin troppo Tarantiniano, questa volta il regista ha cambiato del tutto registro mettendo la storia al servizio dei protagonisti. Le loro vicende umane si muovono come pesanti locomotori con traini gravidi di pietra e sterpaglia. Rick Dalton (DiCaprio), in preda a crisi da star decaduta. Cliff Booth (Pitt), nella quiete di una rassegnazione mentale addolcita solo dall'amata pitbull Brandy. Insieme e separati sparano le ultime cartucce in una Hollywood ormai pronta per la pensione e al cambiamento che colpirà (anche a morte) la società e la cultura.

E poi c'è lei, Margot Robbie, di nuovo al fianco di Leonardo dopo il controverso The Wolf of Wall Street di Martin Scorsese. E' lei a interpretare Sharon Tate, la moglie del regista Roman Polanski di cui tutti conosciamo il tragico epilogo. Un evento questo su cui c'era molta curiosità e soprattutto timore di come e se Taranatino l'avrebbe narrata. Sharon è giovane, solare e innamorata. E' incinta. Vederla al cinema mentre si guarda The Wreckin Crews (1968, di Phil Carlson - Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm), appena uscito sul grande e interpretato anche dalla suddetta, è un trionfo di spontanea semplicità.

Dopo le ruvide ed eccellenti interpretazioni in Tonya (2017, di Graig Gillerspie), nomination come Miglior attrice protagonista ai BAFTA, Golden Globe, premi Oscar 2018, e  Maria, regina di Scozia (2018, di Josi Rourke), questa volta Margot Robbie lascia emergere tutto il suo candore, regalando una rilassata dolcezza alla sua giovane collega, uccisa dalla setta di Charles Manson all'età di 26 anni. Così, mentre Dalton è alla disperata ricerca di un rilancio di carriera, venendo perfino nella poco amata Italia, Cliff, è ormai un segretario tuttofare per l'attore, senza mai comunque eccedere e rimanendo comunque uniti da una sincera amicizia. O per lo meno ci prova, come ama dire nelle interviste.

Rick è nervoso. Cliff rilassato. Anche nelle situazioni più critiche, il primo è facile preda della fragilità, il secondo mantiene il sangue freddo (anche sotto strani effetti). Scorrazza su e giù per gli studios senza scomporsi mai, passando dallo sfidare a botte e per davvero il re del kung fu, Bruce Lee (Mike Moh), scena molto attesa e chiacchierata e poco amata dai suoi fan) a sistemare l'antenna del suo amico. E' in questi viaggi su quattro ruote che incontra Pussycat (Margaret Qualley), hippy autostoppista che conduce in un ranch ex-set cinematografico, ritrovo di personaggi sinistri come l'assente Charles Manson (Damon Harriman).

Una sigaretta, una seconda e poi un'altra ancora. Un drink e poi un altro. La pappa del cane. Un copione. Un matrimonio. La resa dei conti. I sogni nascono lontani e finiscono tutti ad Hollywood. Qualcuno vuole far cessare quelli di altri. Qualcuno, un po' per caso, si ritroverà in mezzo alla Storia e farà quello che deve fare. Rick Dalton e Cliff Booth vanno per la loro strada. Sharon Tate abita accanto a loro ma fino a ora non si sono mai incontrati né rivolti la parola. Adesso è il momento di scrivere nuove pagine. Adesso è arrivato il momento di dare speranza a un mondo che dice di averla già perduta e ne è ancora traumatizzato.

Gestire oltre due ore e mezza di pellicola non è facile, neanche se ti chiami Quentin Tarantino. C'era una volta a... Holliwood (2019). Brad Pitt e Leonardo DiCaprio sono due giganti di recitazione. La storia effettiva passa quasi in secondo piano rispetto alle loro performance. Impossibile dire che uno sia il coprotagonista dell'altro. Per gran parte del film poi, non sembra quasi Tarantino se non per certe inquadrature e i classici cameo dei suoi attori feticcio: Kurt RussellBruce Dern e l'immancabile Michael Madsen. Nella carrellata di figure, si annovera anche il Bobby Axelrod di BillionsDamian LewisDakota FanningAl Pacino, e il compianto Luke Perry, star della sitcom anni novanta Beverly Hills 90210, deceduto lo scorso marzo per un ictus.

Insolitamente rispetto alle canoniche uscite, C'era una volta a... Hollywood è sbarcato il mercoledì e al cinema Rossini di Venezia ha subito riscontrato un successo incredibile. Nell'ampia sala 1 infatti non c'era un posto libero. Tutto il pubblico si è divertito e ha dimostrato di apprezzare davvero la pellicola davanti a sé. Una lunga serata di cui chiunque si porterà aneddoti e ricordi. Un'opera scandita da cinema, storia, dramma, suspense e quell'irrinunciabile ingrediente pulp. Un elemento quest'ultimo che è ormai una sorta di arma finale per Quentin Tarantino. Un qualcosa che tutti speriamo di vedere e accendere al momento giusto. Lui lo fa, come (quasi sempre) in modo originale e coinvolgente. Il pubblico veneziano ne è la più lampante delle cine-dimostrazioni.

Il trailer di C'era una volta a... Hollywood

C'era una volta a... Hollywood - Sharon Tate (Margot Robbie)
C'era una volta a... Hollywood - Rick Dalton (Leonardo DiCaprio)

lunedì 16 settembre 2019

Pennywise, sono IO che vengo a prenderti

It capitolo 2 - il clown assassino Pennywise (Bill Skarsgard)
Una volta dentro, la paura continuerà a tormentarti fino a quando non la guarderai deciso negli occhi in tutto il suo putrido orrore, e la farai finita. Mi state ascoltando, Pennywise?

di Luca Ferrari

Le sghignazzate. La violenza psicologica. Le telefonate anonime. Le aggressioni. E poi lei, l'indifferenza di chi vede e vive attorno a te. E poi lei, la paura. Quella che ti entra dentro e non esce più. Divorandoti fino a non saper più distinguere il tempo. La paura, quella che diventa parte del tuo stesso respirare. Un demone malefico capace di segnare la tua intera esistenza. Una presenza costante che si nasconde visibile ovunque. Una presenza che non morirà mai finché non sarai tu, TU a ucciderla. Questo è Pennywise, pagliaccio assassino. Tutto questo è anche la vita di moltissimi di noi. Pennywise, tornato dopo 27 anni (It - capitolo due, di Andrés Muschietti), è ancora più assetato di sangue e ora anche vendetta. Va affrontato e annientato una volta per tutte.

E' questo che devono fare i membri del club dei perdenti, oggi diventati adulti e di rientro nella cittadina di Derry per unire le forze, dopo essere stati avvisati da Mike" (Isaiah Mustafa), l'unico rimasto in città e testimone del fatto che i palloncini hanno ricominciato a volare e il sangue a sgorgare dal corpo dei più deboli. Per i non più bambini Bill (James McAvoy), Beverly (Jessica Chastain), Ben (Jay Ryan), Richie (Bill Hader), Eddie (James Ransone) e Stan (Andy Bean), è arrivata la resa dei conti. Dovranno ritrovarsi affrontando quel clown malefico che da ragazzini avevano sconfitto, ma che non è morto. Mettere in standby le paure non è mai un buon affare e quella creatura ne saprà approfittare se dovesse vedere delle debolezze.

Il bullismo è un cancro silenzioso e mietitore di una sofferenza inimmaginabile. Ti terrorizza. Ti annienta. Può portarti al precipizio immediato oppure logorarti per tutta la vita. Quanti ne soffrono senza dire nulla? Negli ultimi anni l'omertà sul suddetto ha iniziato a sgretolarsi ma la strada è ancora molto lunga, per non dire infinita. Non è solo il comportamento aggressivo dell'altro a danneggiarti, è l'indifferenza tutt'intorno. Quella è anche peggio. Quei grandi che ti dovrebbero proteggere, e invece si girano dall'altra parte lasciandoti inspiegabilmente solo. E sprofondi, sprofondi fino a quando qualcosa non inizia a implodere. E da quel momento puoi solo vomitare il sangue che hai trattenuto con le conseguenze più diversificate e imprevedibili.

A quanti viene chiesto di tacere per il bene della morale e del collettivo? La realtà interiore è poi un'altra. Il bullismo di Pennywise non è troppo diverso dagli abusi pedofili da parte di preti ai danni di bambini, il cui scandalo venne raccontato con coraggio da un gruppo di giornalisti del Boston Globe e sulla cui vicenda Tom McCarty diresse il film Il caso Spotlight (2015) con Michael Keaton, Liev Schreiber, Stanley Tucci, Rachel McAdams e Mark Ruffalo, vincitore del premio Oscar come Miglior film e sceneggiatura. La gente vuole sapere ma il mondo chiede di tacere. Chi denuncia, viene additato o peggio, emarginato. La cultura va cambiata. I silenzi di oggi possono diventare lapidi.

Quelle facce. Le risate sghignazzanti. Le umiliazioni. Le lacrime nel silenzio della notte. Tutto come se fosse ieri. Chi ha vissuto, non ha dimenticato e non dimenticherà mai. Le vittime di allora oggi sono adulti e molti di essi sono diventati padri. Come si comporteranno se dovessero assistere a un analogo destino nella nuova generazione? Si gireranno dall'altra pare o finalmente reagiranno, regalando ai propri figli un percorso diverso dal proprio? Bisogna rispondere subito al bullismo. Non lasciar passare nemmeno un giorno o quei momenti diventeranno ferite che non si rimargineranno più. Bisogna rispondere al bullismo, in modo deciso, unito ed energico.

Un giorno anche noi dovremo affrontare i Pennywise che ancora si mescolano nella folla e magari voi ci state parlando senza sapere nulla. It - capitolo due è sbarcato sul grande schermo. Il terzo capitolo è una sceneggiatura che deve scrivere ciascuno di noi.


It - capitolo 2, il trailer

mercoledì 11 settembre 2019

Don Camillo, tenero come un papà

Il ritorno di Don Camillo - il piccolo Beppo Bottazzi (Claudy Chapeland) dorme sereno
Lasciare il proprio figlio in lacrime a scuola è un supplizio che capita a qualsiasi genitore. E chi non ha mai desiderato di tornare a riprenderselo? In effetti qualcuno lo fece, Don Camillo.

di Luca Ferrari

Settembre, riaprono le scuole. Chiunque sia genitore avrà provato quel dolore, a volte straziante, nel dover lasciare il proprio figliolo/a in lacrime. Che si tratti del nido, scuola materna o elementare, fa poca differenza. Vedere il proprio pulcino col visetto bagnato è un fendente mortale nel proprio cuore. Lui/lei non ci vorrebbe stare e farebbe di tutto per tornarsene a casa nel "coccoloso" calore di mamma e papà. Assecondarlo però, non gioverebbe a nessuno e sarebbe diseducativo. In questa prima fase di vita poi, la scuola è soprattutto un gioco, anche se alle volte a queste piccole creature non ne vogliono proprio sapere di andarci.

E chi  non ha mai pensato/ardentemente desiderato, almeno una volta, di fare marcia indietro, riprendersi il cucciolo e magari andare a farsi una gita o semplicemente passare una non-prevista giornata insieme? Tutti, nessuno escluso. Qualcuno in effetti è andato molto oltre il semplice pensieri e non è neanche un papà. Il suo nome? Don Camillo (Fernandel). Finalmente rientrato nell'amata Brescello (Il ritorno di Don Camillo - 1953, di Julien Duvivier), eccolo promettere all'eterno rivale-amico Giuseppe "Peppone" Bottazzi (Gino Cervi), sindaco della città, di parlare col suo secondogenito, scontroso e insistente nel non voler più restare in collegio.

Non voio andare in collegio... dice in pigiama Beppo con lo sguardo arrabbiato-impaurito.
"Allora andrai con Don Camillo" replica deciso il babbo.
Non voio andare con Don Camillo!
"Fila a letto! ... Pezzo di somaro" ribatte l'uomo di casa, poi beccato dalla tonaca con un eloquente... "Tutto suo padre!"

Il piccolo Beppo (Claudy Chapeland) intanto è scappato ancora e papà Bottazzi non sa più che cosa fare. Viene così organizzata una giornata tra suo figlio e Don Camillo, nella speranza che gli metta un po' di giudizio. Gli esordi sono da dimenticare. Tra i due c'è diffidenza, poi la natura e l'aperta campagna sbloccano il bambino che trova complicità nel cuore fanciullesco del curato. I due scherzano e si divertono, fino a quando le campane sentenziano il momento che nessuno vorrebbe dover vivere, il rientro. Don Camillo tende al piccolo le ultime castagne. Beppo però gli chiede di passargliele tra le inferriate di una finestra laterale, in caso contrario all'ingresso gli sarebbero sequestrate.

Don Camillo lo guarda mentre gli tende la manina e si sente sprofondare. La tristezza lo assale. Aver trascorso una giornata insieme gli ha fatto comprendere quel bimbo così inquieto e perché mal tolleri il collegio. Muove i primi passi mesto mentre Beppo lo guarda ancora dalle inferriate. Don Camillo allora decide, e agisce. Le conseguenze sono l'ennesima "fuga" dal collegio. Avvisato, Peppone incredulo e preoccupato gli confida, "C'è una cosa che non capisco. Il direttore mi ha detto che per scappare ha allargato le sbarre". Don Camillo allora gli racconta l'accaduto. Peppone s'inalbera ma poi capisce. Come sempre con quei due, la soluzione sta nel cuore.

Il piccolo Beppo adesso dorme sereno. Il suo viso è carezzato da una luce di angelica umanità.

Il ritorno di Don Camillo - Beppo (Claudy Chapeland) saluta Don Camillo (Fernandel)
Il ritorno di Don Camillo - Don Camillo (Fernandel) allunga le castagne a Beppo (Claudy Chapeland)
Il ritorno di Don Camillo - Don Camillo (Fernandel), rattristato, abbandona il ragazzino
Il ritorno di Don Camillo - Don Camillo (Fernandel) se ne va, Beppo (Claudy Chapeland) lo osserva
Il ritorno di Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) si confida con Don Camillo (Fernandel
Il ritorno di Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) si dispera con Don Camillo (Fernandel
Il ritorno di Don Camillo - Peppone (Gino Cervi) si dispera con Don Camillo (Fernandel
Il ritorno di Don Camillo - Don Camillo (Fernandel) tranquillizza l'amico Peppone (Gino Cervi)
Il ritorno di Don Camillo - Don Camillo (Fernandel) tranquillizza l'amico Peppone (Gino Cervi)

domenica 8 settembre 2019

Luca Marinelli, viva l'umanità

Venezia76 - Luca Marinelli con la Coppa Volpi © La Biennale di Venezia foto ASAC
Luca Marinelli vince la Coppa Volpi come miglior attore a Venezia76 per l'interpretazione in Martin Eden e dedica il premio "a coloro che salvano vite in mare."

di Luca Ferrari

"Ho questo premio tra le mani anche grazie a un uomo di nome Jack London che ha creato questo personaggio meraviglioso" dice un commosso Luca Marinelli con in mano la Coppa Volpi per il Miglior attore a Venezia76, "Un marinaio che cercava la verità. Per questo vorrei dedicare questo premio a tute quelle persone splendide che sono in mare a salvare altri esseri umani che fuggono da situazioni inimmaginabili. E grazie anche per evitarci di fare una figura pessima con noi stessi e con il prossimo. Viva l'umanità. Viva l'amore."

Venezia76, è arrivato l'atteso momento della premiazione e nel dettaglio, quello del premio per la Miglior interpretazione maschile. Mentre tutti si aspettano/sono convinti che verrà chiamato Joaquin Phoenix (Joker), a sorpresa viene scandito un altro nome, quello italiano di Luca Marinelli. Come da prassi si comincia con l'elenco dei ringraziamenti, arrivando alla propria famiglia. L'attore romano classe '84 però spiazza tutti e prima di abbandonare il palco del Palazzo del Cinema esce dai ranghi, volgendo il proprio sguardo verso chi lotta ogni giorno perché la morte non abbia il sopravvento sugli ultimi degli ultimi.

Non lo avesse mai fatto (detto). Nel ciarpame dei social network, la becera massa inizia scagliarsi contro di lui, come se un attore non potesse avere un'opinione. Forse questi signori di nobile intelletto ignorano l'esistenza dei Golden Globes. Da quel palco, così come in occasione dei premi Oscar, numerosi attori si sono lanciati in proclami politici senza subire la medesima (e ridicola) gogna mediatica. Tra i più emblematici, il discorso di Meryl Streep che prese di mira l'attuale inquilino della Casa Bianca, Mr Donald Trump. Le critiche sono piovute anche a lei, sia chiaro, ma nessuno certo ha messo in dubbio il suo diritto di parola e di esprimere opinioni nel corso di una cerimonia di premiazione.

Per l'ennesima volta l'Italietta dei Salvini e dei Calderoli ha dimostrato tutta la sua ben nota intolleranza di stampo fascista, dimenticandosi che fino a qualche decennio fa quelli che arrivavano coi barconi eravamo noi. Povera Italietta intollerante e rabbiosa, stupida e ignorante. Capace di addossare agli ultimi arrivati, i migranti, le colpe infinite di classi politiche inette, imprenditori in combutta con la malavita e chissà ancora cosa. Si chiude così il sipario sulla 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, con l'ennesima dimostrazione di stupidità e ignoranza da fiera.

Ma questo è già il passato. Mi ricorderò invece sempre di te, Luca Marinelli, che dal palco della Mostra del Cinema di Venezia hai reso omaggio a chi ci rende orgogliosi di "essere umani".

Il discorso di Luca Marinelli a Venezia76

Venezia76, cinema e laguna

Venezia76 - Todd Phillips e Joaquin Phoenix, regista e attore protagonista di Joker,
con il Leone d'oro per il Miglior film © La Biennale di Venezia foto ASAC
Cala il sipario su Venezia76. Poche le sorprese durante l'assegnazione dei premi, a cominciare proprio dal Leone d'oro andato a...

di Luca Ferrari

Il Leone d'oro per il Miglior film alla 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (28 agosto - 7 settembre) è stato assegnato a Joker di Todd Phillips. Questa forse non è (quasi) nemmeno una notizia. La pellicola è arrivata in laguna già carica di aspettative e premi praticamente assegnati, Oscar inclusi (si vedrà). A dispetto di una giuria molto variegata e non esente di critiche al momento di bacchettare qualcuno (...), il verdetto è stato emesso e come tale va rispettato. Qualora ce ne fosse ancora bisogno, il cinecomic è stato totalmente sdoganato. Vincere a un festival come Venezia non è impresa da poco.

Joker si fa portatore di un messaggio molto ambiguo, capace di giocare un po' troppo con il desiderio di rivalsa degli ultimi arrivando quasi a giustificare certi atti estremi. Se le persone inserite nella società ci vedranno commenti e ragionamenti, per gli emarginati questa pellicola potrebbe rappresentare un pericolosa miccia da cui prendere spunto.

Quanto all'attore protagonista, Joaquin Phoenix è fin troppo bravo nella sua maschera drammatica, ma è qui, diciamo così, il suo problema. Certi attori, a cominciare proprio dal compagno di set Phillipsiano, Robert DeNiro, sanno dare il meglio solo quando si fanno trafiggere dal dolore. Il joker poi, viene caricato di tutti i traumi possibili e immaginabili, e la cui trasformazione in uno schizzato assassino diventa l'inevitabile conseguenza. Il paragone con l'Heath Ledger Nolaniano è inevitabile, quest'ultimo ancora più folle ma con meno alibi e forse più autenticità.

A sorpresa (in parte) ha superato il favoritissimo Phoenix, Luca Marinelli (Non essere cattivoLo chiamavano Jeeg RobotUna questione privata) per il Migliore attore maschile, grazie all'interpretazione in Martin Eden, tratto dall'omonimo romanzo di Jack London. Dal palco del Palazzo del Cinema l'attore romano si è lasciato andare a una toccante dedica rivolta chi salva le vite in mare ogni giorno. Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile invece, a Mariane Ascaride (Gloria Mundi).

Scopri i servizi a Venezia76 pubblicati su cineluk - il cinema come non lo avete mai letto con gli scatti del fotografo veneziano Federico Roiter:
Dopo un anno di assenza sono tornato davanti agli schermi della Mostra del Cinema ed è stata la solita pioggia di emozioni. Sarebbe grandioso che questa manifestazione trovasse il modo (gli spazi non gli mancano, ndr) per essere sempre più presente sul territorio e non solo nei mesi di agosto e inizio settembre. Workshop internazionali. Corsi di regia. Casting. L'isola del Lido potrebbe diventare una Cinecittà a due passi da Venezia, portando occupazione e valorizzando ulteriormente il rapporto della Serenissima con la settima arte.

Au revoir Venezia76. Ci vediamo tra meno di un anno Venezia77.

Il Palazzo del Cinema al Lido di Venezia © Luca Ferrari
Venezia76 - Luca Marinelli riceve la Coppa Volpi © La Biennale di Venezia foto ASAC
Venezia76 - Mariane Ascaride (Gloria Mundi) vince la Coppa Volpi © La Biennale di Venezia foto ASAC
Venezia76 - il saluto affascinante di Chiara Ferragni © La Biennale di Venezia foto ASAC

martedì 3 settembre 2019

Julie Andrews, ti aspettavo Mary Poppins

Venezia76, l'attrice inglese Julie Andrews © Federico Roiter
Dopo il regista spagnolo Pedro Almodovar, a #Venezia76 è stato consegnato il Leone d'oro alla carriera all'attrice inglese Julie Andrews.

di Luca Ferrari

Venezia, 8 marzo 2019. Su proposta del Direttore della Mostra del Cinema, Alberto Barbera, il Cda della Biennale conferisce all'attrice inglese Julie Andrews il Leone d’oro alla carriera della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (28 agosto – 7 settembre 2019). Un brivido mi entra in circolo fino quasi a esplodere. L'estate è ancora molto lontana ma io già mi vedo in sala Grande ad applaudire la diva immerso nel cult Mary Poppins, magari accompagnata anche da Dick Van Dyke. Nella mia fanciullesca illusione, non prendo in considerazione nessun'altra ipotesi. Andrà così. È scritto.

Agosto 2019. Viene distribuito il programma della Mostra del Cinema. Corro subito a cercarla ma di quella tata, non v'è nessuna traccia. Provo a sfogliare tutte le sezioni possibili. Aspetto qualche giorno ancora per vedere, come spesso accade, se dovesse arrivare qualche ulteriore comunicato su proiezioni speciali. Non è così, o meglio, si ma non c'è traccia della immortale fiaba (1964) diretta da Robert Stevenson. Mi sembra impossibile eppure è così. Il solo film della diva che verrà proiettato è Victor Victoria. Mi sento tradito. Mi sento ferito nella mia ingenua certezza. Sarebbe stato il coronamento di un sogno. Il film che ha segnato la mia maturità e il festival che tanto amo.

"Maturità", avete letto bene. A differenza della stragrande maggioranza delle persone, non sono un fan della prima ora e di questo ne vado non fiero, di più. Sono arrivato a innamorami di Mary Poppins attraverso un percorso tutto mio. Qualche scampolo di pellicola deve essermi anche passato davanti in età elementare ma non fece alcun effetto. Parecchi anni dopo invece, con le più belle rivoluzioni sentimentali in corso, il tutto con la complicità del film Saving Mr. Banks, storia di come Walt Disney riuscì a ottenere i diritti dall'acida scrittrice Pamela J. Travers, ecco Mary Poppins conquistarmi diventare un perno insostituibile della mia cinematografia.

Mese dopo mese, la mia storia con Mary Poppins procede oltre. Faccio tappa a Londra sotto la Cattedrale di St. Paul sentendo dolorosamente mia la struggente malinconia di quel papà, Mr Banks (David Tomlinson), d'improvviso ritrovatosi solo e impaurito, e ritrovando la gioia della vita che riesplode con il volume successivo della Travers, Mary Poppins Returns (2018, di Rob Masrhall), con Emily Blunt a raccogliere il testimone di Julie Andrews. Tutto mi aveva portato fin qua, a Venezia76. Io ero pronto, novello spazzacamin(o) delle parole cinematografiche a omaggiare l'attrice. Non è andata così e lo sappiamo.

Si, non l'ho fatto come avrei voluto ma in fin dei conti, credo di esserci riuscito lo stesso e ora posso congedarmi canticchiando:

Io sto fra l'inchiostro
eppure non c'è...
Nessuno quaggiù
più felice di me...

Venezia76, l'attrice Julie Andrews riceve il Leone d'oro alla carriera © Biennale di Venezia foto ASAC
Venezia76, l'attrice inglese Julie Andrews © Federico Roiter
Venezia76, l'attrice inglese Julie Andrews © Federico Roiter

lunedì 2 settembre 2019

Penelope Cruz e le spie di Cuba

Venezia76 -l'attrice Penelope Cruz protagonisti di Wasp Network © Federico Roiter
Dalla Florida anti-Castrista al red carpet di Venezia76 dove risplende l'attrice premio Oscar, Penelope Cruz, protagonista del film  in Concorso, Wasp Network di Olivier Assayas.

di Luca Ferrari

Un'altra sceneggiatura estrapolata dalla cronaca vera. Un'altra storia ad alto contenuto drammatico.
Dopo l'angoscia incarnata dalla brillante Kristen Stewart e la strepitosa Meryl Streep contro la finanza delle scatole cinesi, adesso è arrivato anche il suo turno. Indiscussa protagonista della settima arte e di Venezia76Penelope Cruz (Vicky Cristina BarcelonaVenuto al mondoDolor y gloria) è tornata in laguna a distanza di soli due anni per l'anteprima mondiale di Wasp Network di Olivier Assayas, in Concorso. Charme ed eleganza. Presenza, bravura e una semplice bellezza latina.

Il film racconta la storia di cinque agenti del controspionaggio cubano inviati in Florida per monitorare un gruppi anti-Castrista deciso a organizzare un attacco contro la madrepatria. In laguna, oltre a Penelope, anche Gael Garcia Bernal (Babel, Letters to Juliet, No - I giorni deel'arcobaleno), Leonardo Sbaraglia, Edgar Ramirez (La furia dei titani, Joy, Gold - La grande truffa) e il regista Olivier Assayas. Una storia ambientata alla fine del millennio e che ancora oggi getta luci e ombre su di un embargo del tutto assurdo da parte dell'economia più potente al mondo verso un'isola che al massimo può guardare uno spicchio glorioso di Storia nei lontani anni Cinquanta.

Venezia76 - l'attrice Penelope Cruz protagonisti di Wasp Network © Federico Roiter
Venezia76 Penelope Cruz e Gael Garcia Bernal © Federico Roiter
Venezia76 - l'attore Gael Garcia Bernal © Federico Roiter

Meryl Streep contro la finanza dei Panama Papers

Venezia76 - Meryl Streep e Gary Oldman, protagonisti di The Laundromat © Federico Roiter 
La finanza incontrollata dei Panama Papers. A tu per tu con Meryl Streep e Gary Oldman, sbarcati a Venezia76 con il regista Steven Soderbergh per l'anteprima di The Laundromat.

di Luca Ferrari

Dopo il fantasy, arriva l'horror. Quello peggiore. La reality. A Venezia76 il contemporaneo si presenta. Archiviato Joaquin Phoenix e il mezzo comics-politico Joker di Todd Phillips, adesso si fa sul serio e per davvero.  Steven Soderbergh (Erin Brockovic - Forte come la verità, Ocean's Rwelve, Dietro i calndelabri) è piombato sulla 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia con il suo tris d'assi: Meryl Streep, Antonio Banderas e Gary Oldman, raccontado la vincenda dei cosiddetti Panama Papers nel film The Laudromat, in Concorso.

Sulla scia di film politico-finanziari, vedi il corale La grande scommessa di Adam McKay, il regista americano ci offre una grandissima lezione su come lavora la finanza. E mentre noi siamo a discutere tra chi doveva vincere l'ennesimo talent show o perché l'arbitro ha fischiato quel fallo invece di un altro, la finanza si prende amorevolmente cura di noi. La finanza si prende sempre cura di noi e quando ce ne accorgiamo, ormai è tardi per contestare. Ormai non c'è più nessuno a rispondere al telefono e i colpevoli, quelli veri, sono belli che lontani dalla giurisdizione.
Pene

Sbarcati in laguna e prontamente immortalati dal fotografo veneziano Federico Roiter, Meryl Streep (I ponti di Madison County, Il diavolo veste Prada, The Post) e Gary Oldman (JFK - Un caso ancora aperto, La talpa, L'ora più buia) rappresentano una grande fetta di storia del cinema. Se nel suo Joker il regista Todd Phillips ci ha messo in guardia dalla deriva incontrollata delle masse arrabbiate, sempre più ai margini delle società di tutto il mondo, il più salace Soderbergh ci mostra delle fauci ancor più potenti e aggressive, capaci di agire senza chissà quale clamore, nell'inconsapevolezza quotidiana di chiunque.

Attenzione però, il nemico non è mai uno solo e Steven, presentatosi al photocall con una t-shirt tributo all'Oscar alla carriera che verrà consegnato nel 2020 alla "nostra" Lina Wermuller, lo ha sottolineato a chiare lettere. Per un nemico che viene bloccato, ce ne sono già altri in attività che hanno preso il loro posto. Bisogna essere vigili e caparbi. Intelligenti e decisi. Bisogna imparare a denunciare e ribellarsi. Possiamo iniziare da qui, dalla 76. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, cominciando a informarci di più senza cedere alle facili lusinghe di populisti e imbonitori del web. Usando la nostra testa senza per forza farlo sapere al mondo, o quanto meno fino a quando i giochi, anzi le carte non saranno rivelate.